COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Toscana sez. 8 – Sentenza n. 2158 depositata il 4 ottobre 2017
Nel procedimento RGA 1704/2014, con ricorso presentato da ……….., ……………., …………. e ………….. (eredi di ………..) è stato interposto appello avverso la sentenza n. 511/14 pronunciata dalla Prima Sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Siena il 28.11.2013 e depositata in data 16.1.2014, richiedendone la revoca, con la cancellazione del fermo amministrativo iscritto sul veicolo targato ……… di proprietà di ………….., l’annullamento delle cartelle di pagamento e degli atti successivi e presupposti, oltre alla condanna delle parti resistenti al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
In virtù della sentenza oggetto del gravame è stato rigettato il ricorso presentato avverso il fermo amministrativo n. …………… I.V.A. 2000, eseguito sulla base di cartelle non pagate per tributi iscritti a ruolo per euro 5.027,64. La CTP ha riconosciuto, anzitutto, il difetto di legittimazione passiva della Direzione Provinciale di Siena dell’Agenzia delle Entrate, che aveva addotto la sua estraneità al contenzioso trattandosi di contestazioni che riguardavano la gestione delle cartelle esattoriali e la loro notifica, riferibili alla competenza esclusiva della società che cura la riscossione. I giudici di primo grado, inoltre, hanno riconosciuto che l’agente della riscossione aveva operato in termini conformi alla legge, comunicando ed allegando documentazione probante la regolare notifica delle cartelle contestate e del preavviso di fermo amministrativo, non impugnato, rendendo così definitivo l’atto di fermo.
Gli appellanti hanno illustrato i seguenti motivi di appello, riproponendo le seguenti questioni ed eccezioni non accolte in primo grado e riproposte in appello.
1^ Motivo: nullità della sentenza di primo grado per difetto di motivazione e di indicazione degli elementi previsti dall’art. 36, nn. 2, 3, 4 d.lgs. n. 546/1992.
Mancherebbe e comunque sarebbe insufficiente l’esposizione dello svolgimento del processo, delle richieste delle parti e dei motivi di fatto e di diritto (in violazione dell’art. 36, nn. 2, 3, 4 d.lgs. n. 546/1992, art 118 disp. att. c.p.c.). Ne deriverebbe la nullità della prima pronuncia, come riconosciuto da consolidato orientamento di legittimità (C., Sezione Tributaria, n. 25138/2015).
2^ Motivo: errata interpretazione e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 65 D.P.R. 602/1973, del combinato disposto degli artt. 26 e 60 D.P.R.602/73 nonché della Legge 31/2008.
La CTP ha omesso di esaminare la questione della regolare notifica delle cartelle di pagamento, presupposto dell’iscrizione del fermo amministrativo, e del preavviso di fermo amministrativo, avendone immotivatamente ritenuto offerta la prova. In realtà, poiché ……. era deceduto il 9.3.2009, la notifica del preavviso (avvenuta in data 21.12.2009) doveva attenersi all’art. 65 D.p.r. n. 600/73 (ovvero realizzarsi presso l’ultimo domicilio fiscale del de cuius ed essere indirizzata agli eredi collettivamente ed impersonalmente) ed all’art. 7, comma 6, legge n. 890/1982 (trattandosi di consegna del plico avvenuta non personalmente al destinatario, l’agente postale avrebbe dovuto dar notizia al destinatario dell’avvenuta notifica a mezzo di lettera raccomandata).
L’omessa notifica del preavviso di fermo, quale atto presupposto del fermo, può essere fatta valere anche impugnando quest’ultimo, contestando radicalmente la pretesa creditoria (C., SU, 16412/2997).
Per gli atti di riscossione, ai sensi dell’art. 60 D.p.r. n. 602/73 (in realtà il riferimento sembrerebbe inteso al D.p.r. n. 600173) , la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente deve essere realizzata secondo le modalità degli artt. 137 e ss. c.p.c.; in caso di notifica a mezzo posta, ai sensi dell’art. 26, comma 1, D.p.r. n. 602/73, sono obbligatori (a pena di inesistenza) la compilazione della relata di notifica nell’originale e nella copia e l’intervento di un intermediario abilitato (art. 148, 160 c.p.c., 3 legge n. 890/1982; art. 14 legge n. 890/1982; Cass., n. 398112), anche ove si realizzi a mezzo posta, tale non potendosi considerare l’agente della riscossione (Equitalia Gerit); nel caso di specie, ne deriverebbe l’inesistenza giuridica della notifica del preavviso di fermo amministrativo.
3^ Motivo: prescrizione del diritto a riscuotere le somme della cartella di pagamento.
4^ Motivo: erronea interpretazione della legge n 212/2000 e dell’art. 3 legge n. 241/1990 per difetto di adeguata motivazione dell’atto opposto.
Ha presentato controdeduzioni l’Agenzia delle Entrate.
In particolare, l’Ufficio ha osservato:
(i) il difetto della propria legittimazione passiva, vertendo la controversia esclusivamente sulla regolarità degli atti esecutivi (cartelle di pagamento, avviso di mora e fermo amministrativo) del concessionario (artr.10 d.lgs. n. 546/1992 e 39 d.lgs. n. 112/1999) e non alla legittimità sostanziale della pretesa tributaria;
(ii) l’intervenuto passaggio in giudicato, per mancata impugnazione degli appellanti, della sentenza CTP Siena n. 5/1/14 nella parte in cui ha riconosciuto l’estraneità dal giudizio della Agenzia delle Entrate, non potendo considerarsi contestato sotto tale profilo il primo pronunciamento in ragion della dedotta assenza di motivazione dello stesso, ritenuta in ogni caso infondata.
L’Agente di riscossione (ora denominata Equitalia Centro S.p.a.) ha svolto le seguenti controdeduzioni rispetto ai motivi di appello, chiedendo il rigetto di questi ultimi, con vittoria di spese, diritti ed onorari nel secondo grado di giudizio:
1^ controdeduzione: infondatezza del primo motivo, poiché la motivazione, seppure coincisa, presenta i contenuti previsti dall’art. 36 d.lgs. n. 546/1992ed ha riconosciuto il difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate e la conformità della condotta dell’Agente della riscossione.
2^ controdeduzione: infondatezza del secondo motivo di appello (errata interpretazione e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 65 D.P.R. 60211973, del combinato disposto degli artt. 26 e 60 D.P.R. 602/73 nonché della Legge 31/2008, con riferimento alle notificazioni delle cartelle di pagamento e del preavviso di fermo.
In particolare, la cartella di pagamento n. ………… è stata notificata in data 3.5.2001 a mezzo raccomandata A/R; la cartella di pagamento n. ………… è stata notificata in data 29.10.2001 a mezzo raccomandata AIR; la cartella di pagamento n. ………. è stata notificata in data 14.5.2007 ai sensi dell’art. 139 c.p.c., mediante consegna di copia dell’atto a ………. che si qualificava “figlia convivente”; la cartella di pagamento n. ………………… è stata notificata in data 3.12.2003 ai sensi dell’art. 139 c.p.c., mediante consegna di copia dell’atto a ……….. che si qualificava “figlia convivente”; il preavviso di fermo n. ………, è stato notificato in data 21.12.2009 a mezzo raccomandata A/R.
L’articolo 26 del d.p.r. n. 602/73 (disposizione speciale per le notifiche della cartella di pagamento) ammette la notifica da parte degli ufficiali esattoriali, dagli altri soggetti abilitati dal concessionario o con l’invio di raccomandata A.R. (da parte dell’esattore, cfr. Cass., sent. n. 14327/2009; o da parte degli altri soggetti abilitati dall’esattore o dai messi comunali e agenti della polizia municipale, cfr. CTP Milano n. 4/1/2012 del 13.1.2012; CTP Lecce n. 329 dell’8.10.1993).
Quanto alla notifica del preavviso di fermo, la notifica al contribuente deceduto aveva rispettato l’art. 65 d.p.r. n. 602/1972. Non avendo gli eredi eseguiti l’apposita comunicazione ex art. 65, comma 2, d.p.r. n. 602/1972, regolarmente la notifica era avvenuta nei confronti degli eredi presso l’ultimo domicilio del defunto.
3^ controdeduzione: infondatezza del terzo motivo di appello. L’eventuale vizio della notifica del preavviso di fermo, non importerebbe la prescrizione del diritto di esigere le somme indicate nelle cartelle di pagamento poiché tra la notifica di esse (cartelle n. …………, n. …………, n. …………. e n. …………., avvenuta rispettivamente in data 3.5.2001, 29.10.2001, 14.5.2007 e 3.12.2003) e quella del successivo provvedimento di fermo (avvenuta invece in data 23.11.2010) sarebbero in ogni caso trascorsi meno di dieci anni.
4^ controdeduzione: infondatezza del quarto motivo di appello (erronea interpretazione della legge n 212/2000 e dell’art. 3 legge n. 241/1990 per difetto di adeguata motivazione dell’atto impositivo e del provvedimenti di fermo). Il fermo non doveva contenere una motivazione alla stregua di un atto impositivo, potendo la stessa essere assolta per relationem ad atti specificamente indicati (anche se non allegati) dei quali il contribuente abbia integrale e legale conoscenza. Nel caso il fermo indicava le cartelle di pagamento già notificate.
L’appello è infondato.
Venendo a trattare partitamente i motivi di appello, con riferimento al primo, è indubitabile che «in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (e, dunque, anche alle sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma secondo, del D.lgs. 546/1992, è applicabile al nuovo rito tributario così come disciplinato dal citato decreto il principio desumibile dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. stesso codice secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo» (cfr. Cass. Civ., Sez. 5, Sentenza n. 13990 del 22/09/2003, Rv. 567045 – 01; Cass. Civ., Sez. 6- 5, Ord. n. 9745 del 18/04/2017, Rv. 643800 – 01; sulla stessa linea, per quanto attiene a difetti di motivazione delle sentenze di secondo grado cfr. Cass. Civ., Sez. 6 – 5, Ord. n. 28113 del 16/12/2013, Rv. 629873 – 01; Id. Ord. n. 15884 del 26/06/2017, Rv. 644726 – 01).
Il parametro fondamentale alla cui stregua apprezzare l’eventuale difetto espositivo e motivazionale, dunque, è quello della possibilità, o meno, di definire il “thema decidendum” e di comprendere le ragioni della decisione assunta e dunque l’iter logico-giuridico che ha condotto ad essa.
La sentenza di primo grado è stata sicuramente succinta, ma non lacunosa, avendo riguardo al parametro rilevante ai fini in esame. Se è vero che le ragioni di doglianza dei contribuenti (in sintesi, riferibili alla regolarità della notifica degli atti presupposti del fermo impugnato) non sono state esposte in termini diretti, è altrettanto fondato rilevare che le – illustrate controdeduzioni dell’agenzia fiscale (incentrate su quanto lamentato dai ricorrenti in merito alla gestione ed alla notifica delle cartelle esattoriali) e dell’agente di riscossione (volta a rimarcare la regolare notifica delle cartelle di pagamento e del preavviso di fermo, non impugnato) permettono di desumerle e consentono di chiarire sia il thema decidendum sia le ragioni della decisione; statuizione giudiziale tratta sulla base dell’analisi della documentazione prodotta dall’agente della riscossione a conforto della regolarità della notifica degli atti presupposti del fermo impugnato. Ritenere integrata la prova della regola notifica, in altri termini, testimonia come la deduzione contraria dei ricorrenti sia stata presa in esame e valutata, disattendendone la sottostante prospettazione logico-giuridica.
L’infondatezza del primo motivo assume valore decisivo per rilevare fondate le deduzioni dell’agenzia fiscale in punto di difetto della propria legittimazione passiva (vertendo la controversia esclusivamente sulla regolarità degli atti esecutivi del concessionario (art.10 d.lgs. n. 546/1992 e 39 d.lgs. n. 112/1999) e di intervenuto passaggio in giudicato, per mancata impugnazione degli appellanti, della sentenza CTP Siena n. 5/1/14 nella parte in cui ha riconosciuto l’estraneità dal giudizio della Agenzia delle Entrate.
Quanto al secondo motivo, con particolare riferimento al preavviso di fermo, l’art. 65 d.p.r. n. 600/73, dopo aver chiarito che gli eredi del contribuente rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa (art. 65, comma 1), dispone che gli eredi del contribuente devono comunicare all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale (art. 65, comma 2, che specifica ulteriormente che la comunicazione può essere presentata direttamente all’ufficio o trasmessa mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si intende fatta nel giorno di spedizione); inoltre, la notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma (art. 65, comma 4).
Nella specifica materia, l’orientamento della Corte di Cassazione appare consolidato nel ritenere che «in caso di morte del contribuente, la notificazione della cartella esattoriale a lui intestata è legittimamente effettuata presso l’ultimo domicilio del defunto ed è efficace nei confronti degli eredi, ove questi ultimi non abbiano tempestivamente provveduto alla comunicazione prescritta dall’art. 65, ultimo comma, del D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, non potendo trovare applicazione l’art. 60, ultimo comma, del medesimo D.p.r., il quale si riferisce alle sole variazioni anagrafiche riguardanti l’indirizzo del destinatario, e non assumendo alcun rilievo le indicazioni contenute nella dichiarazione dei redditi, le quali non possono validamente sostituire la predetta comunicazione, che dev’essere presentata direttamente all’Ufficio o trasmessa mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento» (cfr. Cass. n.15417del 11/06/2008); in termini Cass.n.17430 del 17/7/2013 la quale ha rilevato come la pronuncia della Cass. n. 26124/2007, non si pone in contrasto con detti principi avendo ritenuto che l’obbligo della comunicazione ex art. 65 cit., non sussiste nel caso particolare (non dimostrato né addotto dai ricorrenti nella specie) in cui l’Ufficio sia già in possesso delle necessarie informazioni per procedere alle notifiche presso il domicilio degli eredi avendo già notificato l’avviso di accertamento personalmente a ciascuno di essi.). Ancora, di recente, l’ordinanza n. 28192 del 17/12/2013 ha specificato che «in tema di notifiche di atti tributari, l’art. 65 del D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, prevede, come unico limite alla notifica collettiva e impersonale agli eredi del contribuente nell’ultimo domicilio dello stesso, il fatto che questi abbiano comunicato, almeno trenta giorni prima, le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale, dovendosi pertanto ritenere che sia posto a carico degli eredi un onere di informazione che se non assolto dispensa gli uffici finanziari dalla ricerca specifica e individuale di ciascun erede, quale che sia il tempo trascorso dall’apertura della successione, non applicandosi il diverso limite temporale di un anno dall’apertura della stessa previsto dall’art. 303, secondo comma, cod. proc. Civ.>> (cfr., in termini, Cass. ord. n. 27284 del 2014). Principi confermati pure in recente occasione (Cass. ‘Civ., Sez. 6 · 5, Ord. n. 23416 del 16/11/2015 (Rv. 637408 · 01).
Occorre inoltre rammentare che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 65, secondo comma, del D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 è volto a consentire agli uffici finanziari di azionare direttamente nei confronti degli eredi le obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del contribuente: pertanto, se la comunicazione viene effettuata, l’avviso di accertamento va notificato personalmente e nominativamente agli eredi nel domicilio fiscale da loro indicato, mentre, se essa non viene effettuata, gli uffici possono intestare l’atto al dante causa e notificarlo presso l’ultimo domicilio dello stesso, nei confronti degli eredi collettivamente ed impersonalmente; tale procedimento di notificazione, la cui inosservanza comporta la nullità assoluta ed insanabile della notifica e dell’avviso, presuppone tuttavia che l’Amministrazione abbia comunque acquisito la notizia della morte del contribuente, non sussistendo altrimenti la giuridica possibilità di procedere alla notifica impersonale prevista dalla legge (Cass. Civ. Sez. 5, Sentenza n. 12886 del 01/06/2007 (Ru. 598405 – 01)».
Nel caso che occupa, il quadro dei principi esposti permette di ritenere che la procedura seguita sia stata corretta, in linea con quanto ritenuto dai primi giudici. A ben considerare gli appellanti, infatti, non negano che la procedura dovesse attenersi al disposto dell’art 65 cit. ma sembrano ritenere che nella spedizione del plico dovessero essere indicati gli eredi e non il de cuius, senza contestare che l’agente della riscossione non fosse a conoscenza del decesso di quest’ultimo; in ogni caso, avendo l’ufficio indicato nel plico le generalità di quest’ultimo e non potendo essere (per evidenti ragioni) il de cuius il consegnatario storico del documento recapitato, l’art. 7, comma 6, legge n. 890/1982 (introdotto dall’art. 36, comma 2-quater, del d.l. n. 248 del 2007, conv., con modif., dalla l. n. 31 del 2008, in materia di consegna di plichi a persona diversa dal suo destinatario) avrebbe imposto di dar notizia al destinatario a mezzo di lettera raccomandata dell’avvenuto recapito dell’atto al terzo estraneo, pur abilitato a ricevere notifica. In realtà, tale ricostruzione non è affatto quella sistematicamente imposta, atteso che l’art. 65 cit. è norma sicuramente speciale della particolare situazione governata. Proprio tale norma, infatti, consente di ritenere perfezionata la notifica del preavviso di fermo realizzata impersonalmente e collettivamente nei confronti di uno dei eredi (nel caso, la vedova ………., come risulta dall’avviso di ricevimento prodotto in primo grado dall’agente di riscossione); senza che risulti, né una diversa comunicazione effettuata dagli eredi ex art. 65, comma 2, cit, né la mancata conoscenza dell’agente della riscossione della morte del de cuius. In altre parole, il destinatario diretto del plico (tale essendo, impersonalmente e collettivamente, uno degli eredi) nel caso in esame ne ha ricevuto la consegna, onde non vi era ragione di spedire ulteriore avviso di recapito (non venendo in rilievo la situazione delineata dall’articolo 7, comma 6, legge n. 898/1982); pena la sostanziale disapplicazione della norma speciale rammentata.
In merito alla questione della legittimazione dell’agente della riscossione alla notifica delle cartelle di pagamento a mezzo del servizio postale, la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 26 D.p.r. n. 602/1973.
Alla stregua di essa, “la cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda“, ai sensi dell’articolo 26, comma 4, D.p.r. n. 602/73 quando la notificazione della cartella di pagamento avviene mediante consegna nelle mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, ali ‘ufficio o all’azienda, non è richiesta la sottoscrizione dell’originale da parte del consegnatario».
In proposito, la Cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 6395 del 19/03/2014, Rv. 630819 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 4567 del 06/03/2015, Rv. 634996 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 20918 del 17/10/2016, Rv. 642933 – 01) ha già avuto modo di precisare che «in tema di riscossione delle imposte, la notifica dellacartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del comma 1 dell’art. 26 del D.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un ‘apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella,come confermato implicitamente dal penultimo comma del citato art. 26, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione».
Onde, il principio di diritto ora ripercorso rivela la infondatezza della contraria prospettazione dell’appellante.
Il rigetto del secondo motivo di appello (posta la regolarità della notifica delle cartelle di pagamento e del preavviso di fermo), presupposto argomentativo del terzo (prescrizione del diritto a riscuotere le somme della cartella di pagamento per decorso del relativo termine in assenza di valido atti interruttivo), si rileva decisivo per dimostrare l’infondatezza di quest’ultimo.
Quanto all’ultimo motivo di appello, appare corretta la considerazione svolta dall’agente di riscossione allorché ha rimarcato come nel caso del fermo lo standard motivazionale adeguato possa essere riconosciuto attraverso il richiamo alla motivazione di altro atto impositivo; nel caso, il fermo opera esplicito richiamo ad atti specificamente indicati (le cartelle di pagamento già notificate, anche se non allegate) dei quali il contribuente ha avuto integrale e legale conoscenza. Onde non si ravvisano violazioni o erronee interpretazioni della legge n 212/2000 e dell’art. 3 legge n. 241/1990.
Le spese, che seguono la soccombenza, possono essere liquidate forfettariamente nella somma di euro 1.000,00
Rigetta l’appello.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in 1.000,00 euro, pari a 500,00 euro in favore di ciascuna parte resistente.
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