Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sez. 8 sentenza n. 2603 depositata il 18 dicembre 2017
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – INAMMISSIBILITA’ DELL’APPELLO – PER MANCANZA O ASSOLUTA INCERTEZZA DEI MOTIVI SPECIFICI DELL’IMPUGNAZIONE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel procedimento RGA 2517/2014, con ricorso presentato da -omissis – S.a.s., ………… e ……….., veniva interposto appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Prato n. 337/01/2014 del 15.10.2014, depositata in data 05.11.2014, che aveva deciso i ricorsi riuniti n. 198/14 e 199/14.
La controversia originaria aveva riguardo ad avvisi di accertamento in materia di IRPEF, IRAP ed IVA notificati all’esito di una verifica fiscale conclusasi con un PVC che aveva rilevato profili di incongruenze ed irregolarità; in particolare essi si sostanziavano: – nell’anti-economicità della gestione con perdite dal 2001; – nella non congruità e non coerenza con gli studi di settore; – negli ingenti versamenti dei soci nella società non giustificati e incongruenti rispetto al reddito dichiarato; – nell’inattendibilità delle rimanenze per gravi incongruenze contabili. Poste la ritenuta l’inattendibilità della contabilità, le incongruenze e le irregolarità ricordate, era stato ricostruito induttivamente il reddito di impresa contestandone uno maggior per euro 191.310,59 e nei riguardi dei soci al 50% ……… e ………., per le imposte sui redditi di partecipazione. La procedura di accertamento con adesione non aveva prodotto alcuna definizione.
In primo grado, i ricorrenti (società e soci) avevano chiesto di annullare gli avvisi impugnati, con vittoria di spese, lamentando:
– la nullità degli avvisi di accertamento, difettando i presupposti legittimanti l’applicazione della metodologia accertativa induttiva ex art. 39, comma 2, lett. a) e c) del DPR 600/73; infatti, la società non aveva omesso l’indicazione del reddito di impresa e non aveva tenuto o sottratto all’ispezione una o più scritture contabili, risultate disponibili;
– nel merito, l’inesistenza di fatti indizianti idonei a giustificare qualsiasi tipologia di accertamento prevista dall’art. 39 del DPR 600173, sia in riferimento alla pretesa incongruità ed incoerenza rispetto agli studi di settore applicati alla società, sia riguardo alla pretesa incompatibilità delle dichiarazioni dei redditi dei soci con i versamenti da costoro effettuati nelle casse della società;
– in subordine, l’erroneo mancato riconoscimento dei costi occulti.
L’Ufficio si era costituito chiedendo che fosse dichiarato inammissibile il ricorso e in subordine il suo rigetto, con condanna alle spese. A tal fine, aveva avanzato le seguenti controdeduzioni:
– inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 22 del d.lgs. 546/92 per tardiva costituzione in giudizio non avendo il ricorrente provveduto a depositare presso la competente Commissione copia conforme del ricorso nel termine prescritto;
– nel merito, la ricostruzione induttiva del reddito traeva ragione dal giudizio di inattendibilità della contabilità, così come il rilievo tributario si fondava su ineccepibili argomentazioni giuridiche e incontrovertibili elementi di fatto; si richiamavano a supporto di ciò: – l’antieconomicità della condotta imprenditoriale, indizio di evasione, con perdite ininterrotte dal 2001 al 2011, che per giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione legittimava l’accertamento sulla base presuntiva sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (ed in particolare la presunzione di incassi reali superiori a quelli indicati nella denuncia dei redditi); – gli ingenti versamenti nelle casse aziendali, a fronte di un esiguo reddito complessivo dichiarato dai soci, incongruenze da cui scaturivano elementi gravi, precisi e concordanti che consentivano di presumere che gli stessi costituivano ricavi non dichiarati: – l’incongruenza rilevata dai verificatori delle rimanenze rispetto ai dati contabili, elemento sufficiente a sostenere un giudizio di inattendibilità della contabilità, con legittimità del ricorso al metodo accertativo di tipo induttivo; – la non congruità dello studio di settore che non aveva rappresentato, nel caso, l’elemento alla base della rettifica, fondata su una pluralità di elementi fattuali e di irregolarità che portavano ad un giudizio di inattendibilità della contabilità, elementi che costituivano indizi di evasione; la ricostruzione reddituale conseguente veniva realizzata mediante applicazione al costo del venduto, operazione che conteneva in sé la considerazione dei costi sostenuti e in ogni caso nessun obbligo aveva l’Amministrazione a riconoscere a deduzione costi non contabilizzati e di cui non esisteva prova documentale.
I primi giudici dichiaravano inammissibile il ricorso e condannavano la società al pagamento delle spese. Ad avviso del primo Collegio la proposizione del ricorso coincideva, nel caso di spedizione per posta, con l’invio della raccomandata e dal predetto termine (e dunque non dalla ricezione del ricorso) decorrevano i trenta giorni per la costituzione in giudizio, in linea con l’insegnamento della Corte di Cassazione (sentenza n. 7374/2011); nel caso in specie il ricorso era stato spedito (e quindi proposto) in data 03.04.2014; la costituzione in giudizio, mediante deposito presso la Commissione Tributaria della copia conforme era stata effettuata in data 06.05.2014, oltre il termine previsto del 05.05.2014.
La società ed i soci contribuenti proponevano appello, articolando i seguenti motivi di gravame.
1^ Motivo: erroneo accoglimento dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardiva costituzione.
Ad avviso di parte appellante il termine di trenta giorni dalla proposizione del ricorso, previsto dall’art. 22, co. 1, del D.lgs. n. 546/1992, per la costituzione del ricorrente decorre, in caso di notifica del ricorso a mezzo posta (come nella fattispecie), dalla data di ricezione del ricorso e non da quella di spedizione, come chiarito dalla sentenza n. 12027 del 28.5.2014 della Corte di Cassa zione (peraltro conforme ad altre recenti decisioni del giudice di legittimità: cfr. Cass. n. 12185 del 2008, n. 7173 del 2011, n. 4002 del 2012, n. 10816 del 2012, n. 16565 del 2012, n. 18373 del 2012).
2^ Motivo: nel merito, fondatezza delle altre questioni rimaste assorbite in primo grado ai sensi e per gli effetti dell’art. 346 c.p.c., riportandosi a quanto argomentato nel ricorso introduttivo.
In particolare, avendo l’Ufficio finanziario eseguito un accertamento induttivo o extracontabile ex art. 39, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, avrebbe dovuto tener conto nella determinazione induttiva del reddito di impresa della società ricorrente dei costi occulti o extracontabili inerenti l’attività imprenditoriale, In linea con l’insegnamento della Corte di Cassazione, «in caso di rettifica induttiva … alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un ‘incidenza percentualizzata dei costi» (cfr. Cass. civ., sez. V, 20- 10-2011, n. 21759), tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, evitando di assoggettare ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con l’art. 53 Cost. (cfr. Cass. civ., sez. V, 27-01-2012, n. 1166).
In tal senso: – il fatto che una parte dei ricavi ricostruiti in via indiretta sia stata determinata partendo dal costo della materia prima, applicando la percentuale di ricarico dichiarata dalla parte contribuente, non poteva esimere l’Ufficio dal valutare le spese relative al lavoro dipendente ed ai beni strumentali dell’azienda, determinando in via induttiva tale componente negativa del reddito d’impresa; – una parte dei ricavi accertati e riferiti alle lavorazioni in proprio è stata determinata prescindendo del tutto dalla considerazione dei costi, prendendo come parametri le ore di lavoro e la percentuale di ricarico desunti dalla dichiarazione della parte contribuente (v. P.V.C. in atti: doc. 3 allegato alle controdeduzioni di primo grado).
Conclusivamente i ricorrenti chiedevano che l’adita CTR dichiarasse la nullità e/o l’annullamento dell’avviso di accertamento n. ……….. a carico di ……….S.a.s., dell’avviso di accertamento n. …………. a carico di ………, nonché dell’avviso di accertamento n. ……… a carico di …………
L’Ufficio presentava le seguenti controdeduzioni.
1^ controdeduzione: intempestività della costituzione del ricorrente in primo grado.
Già il testo delle norme (art. 22 e 23 d.lgs. n. 546/1992), prescrivendo che il contribuente, al momento della costituzione in giudizio, deve allegare la copia della ricevuta di spedizione della raccomandata (e non l’avviso di ricevimento), mostra inequivocabilmente che il termine per la costituzione in giudizio dell’attore e del convenuto da due momenti diversi; per il primo, dalla proposizione del ricorso (quindi dalla data di invio della raccomandata) e per il secondo (il convenuto) dal ricevimento della stessa. Ciò trova conferma in numerose pronunce della Cassazione (n. 20787 del 11.09.2013 n. 7374/2011).
2^ controdeduzione: inammissibilità del richiamo delle questioni rimaste assorbite in primo grado ai sensi e per gli affetti dell’art. 346 c.p.c., «riportandosi a quanto argomentato nel ricorso introduttivo».
E’ assolutamente illegittimo un tale rinvio con conseguente inammissibilità delle eccezioni richiamate, ove non siano esposti i motivi d’impugnazione o lo siano in modo tale da renderne assolutamente incerta l’identificazione (Cass. n. 20979/2004). L’onere di specificazione dei motivi di appello, quindi, non può essere assolto con il semplice richiamo per relationem alle deduzioni, eccezioni e conclusioni svolte in primo grado «in quanto, da una parte, i motivi di gravame devono, per dettato di legge, essere contenuti nell’atto di impugnazione e riferirsi alla decisione appellata, e tali non possono essere le osservazioni e le difese esposte prima di essa; dall’altra, perché un siffatto richiamo obbligherebbe il giudice ad quem ad un’opera di relazione e di supposizione che la legge processuale non gli affida» (Cass. n. 13756/2002; cfr. nello stesso senso Cass. n. 573/2001; n. 10493/1999; n. 9270/1999; e n. 1147/1999, quest’ultima nella specifica materia del contenzioso tributario).
3^ controdeduzione: legittimità formale e fondatezza sostanziale del recupero fiscale contestato, richiamando quanto già espresso dall’Ufficio nelle sue difese in primo grado, riprodotte.
In particolare, la ricostruzione induttiva del reddito d’impresa della società per l’anno d’imposta 2008 si legittimava per l’inattendibilità della contabilità scaturente dalle molteplici irregolarità formali e sostanziali riscontrate nel corso dell’attività di verifica fiscale, come previsto dagli artt. 39, 2° comma, del DPR 600/73 e 55 del DPR 633/72. L’Ufficio, pertanto, nel contraddittorio con controparte, aveva individuato il ricarico medio da applicare ai diversi settori d’impresa (materiali impiegati, lavorazioni presso terzi, lavorazioni in proprio) ed ricostruito il reddito di impresa conseguito nell’anno 2008 dalla società.
La legittimità del ricorso alla metodologia induttiva di accertamento si fondava sui elementi di seguito indicati, richiamando la giurisprudenza che ne riconosceva la valenza indiziaria legittimante il giudizio di inattendibilità delle scritture contabili.
1.a L’antieconomicità della condotta imprenditoriale, con mancata remunerazione del capitale investito, quale grave indizio di evasione legittimava la rettifica presuntiva del reddito dichiarato: dal 2001 – anno di costituzione – all’anno 2011 la società ha dichiarato di aver subito ininterrottamente perdite economiche in contrasto con i principi di redditività ed economicità posti a fondamento dell’esercizio di qualsivoglia attività imprenditoriale.
1.b. L’incongruenza tra gli ingenti versamenti effettuati dai soci nell’anno oggetto della verifica nelle casse aziendali (circa 45 mila euro) a fronte della loro situazione reddituale dichiarata (nell’anno della verifica ed in quelli precedenti), non meglio giustificata se non con un generico riferimento a situazioni patrimoniali, prive di maggior dettaglio sull’esistenza, modalità e tempi di accumulo.
1.c. L’inattendibilità del dettaglio delle rimanenze incongruenti con i dati contabili, in contrasto con i doveri di rappresentazione chiara ex artt. 14, 15 DPR n. 600/1973. Alcuni articoli delle rimanenze finali 2008 non venivano ritrovati nel dettaglio delle esistenze iniziali 2008 né tra le fatture di acquisto con DDT del 2008.
Non risultava possibile ricostruire le rimanenze a fine periodo 2008, posta la genericità delle indicazioni nelle fatture di vendita, con richiamo enigmatico a misure rilevate, a forniture, a sintetiche indicazioni di quantità.
1.d. L’incongruenza con lo studio di settore relativo al 2008, quale indizio ulteriore corroborante la verifica fiscale di per sé legittimata dalle incongruenze e gravi irregolarità
Era infondata l’eccepita mancata considerazione dei costi occulti ai fini della ricostruzione reddituale.
In primo luogo, infatti, la ricostruzione reddituale era stata realizzata applicando al costo del venduto delle singole categorie (materiali, lavorazioni presso terzi e lavorazioni in proprio) la percentuale di ricarico dichiarata in contraddittorio dalla controparte (la quale deve averne operato la definizione in copertura e remunerazione di tutti i costi sostenuti nel singolo processo produttivo, anche con riguardo alle lavorazione proprie): onde i costi sostenuti sono il parametro su cui calcolato il reale ricavo realizzato.
In ogni caso, l’A.F. non è tenuta a riconoscere costi non contabilizzati dei quali non esista prova oggettiva e documentale, nel rispetto dei principi di effettività, inerenza e competenza ex art. 109 TUIR.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è parzialmente fondato, nei termini in appresso spiegati. Pur imponendosi la riforma della sentenza impugnata deve essere confermata la legittimità della pretesa erariale.
Anzitutto, è fondato il motivo di parte appellante che segnala l’erroneo accoglimento dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardiva costituzione.
Ai sensi dell’art. 22, comma 1, d.lgs. n. 546/1992 «Il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d’inammissibilità deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita, o trasmette a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, l’originale del ricorso notificato a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale … ».
Ponendo termine ad un risalente dissidio esegetico, testimoniato anche dai richiami giurisprudenziali svolti dalle parti nei rispettivi scritti difensivi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno recentemente (sentenza n. 13452/2017) affermato il seguente principio di diritto: «Nel processo tributario, il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente e dell’appellante, che si avvalga per la. notificazione del servizio postale universale, decorre non dalla data della spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata, con avviso di ricevimento, ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario (o dall’evento che la legge considera equipollente alla ricezione)». Nel caso in esame, posto che la spedizione del ricorso è intervenuta in data 3.4.2014 ma la ricezione è avvenuta in data 7.4.2014, la costituzione in giudizio del ricorrente effettuata in primo grado in data 6.5.2014 deve considerarsi tempestiva rispetto al termine ex art. 22 d.lgs. n. 546/1992.
Ciò apre alla necessità di considerare le doglianza di merito illustrate dalla parte appellante, riproponendo le eccezioni già avanzate in primo grado. Ma prima di esse, va in ogni caso disattesa anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso in appello per mancanza di specificità dei motivi di impugnazione.
Infatti, la Suprema Corte ha ribadito, anche di recente, il principio di diritto per cui «in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni» (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20379 del 24/08/2017, Rv. 645045 – 01). In altri termini, «il requisito della specificità dei motivi di appello ove le argomentazioni svolte, correlate con la motivazione della sentenza impugnata, ne contestino il fondamento logico-giuridico, non richiedendosi necessariamente una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate che possono, invece, essere ricavate anche implicitamente, sia pure in maniera univoca, dall’atto di impugnazione considerato nel suo complesso» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9083 del 07/04/2017, Rv. 643625 – 01). Inoltre, in tema di contenzioso tributario, l’inammissibilità, per difetto di specificità dei motivi, dell’atto di appello che, limitandosi a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, è limitata al caso in cui nell’appello si ometta il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, ovvero a quello in cui «non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata». (Cass,. Sez. 6 · 5, Ordinanza n. 1461 del 20/01/2017 (Rv. 642900 – 01). Per contro, non è preclusa la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere, e tale modalità di formulazione del gravame «assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n .546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14908 del 01/07/2014, Rv. 631559 – 01).
Muovendo da tali principi può affermarsi la specificità dei motivi di doglianza già illustrati in primo grado e riproposti integralmente dall’appellante in secondo grado, tenuto conto, oltretutto, che nel caso in analisi su tali eccezioni è mancata qualsiasi statuizione giudiziale con il quale l’appellante avrebbe potuto confrontarsi. Ad avviso del primo collegio evidentemente la trattazione di tali questioni è risultata assorbita dell’accoglimento della questione pregiudiziale dell’eccepita inammissibilità del ricorso introduttivo per intempestività ex art 22 d.lgs. n. 546/1992, di cui si è ora dichiarata l’infondatezza.
Infondata è, per contro, la dedotta la nullità d egli avvisi di accertamento per carenza dei presupposti legittimanti e dei fatti indizianti idonei a giustificare l’applicazione della metodologia accertativa induttiva ex art. 39 del DPR 600/73.
In argomento, occorre rimarcare che la metodologia di accertamento seguita risulta giustificata in seno al processo verbale di constatazione per prolungata condotta antieconomica, per l’incongruità reddituale dell’impresa rispetto agli studi di settore (cfr. art. 62-sexies comma 3, DL n. 33111993, convertito nella legge n. 427/1993) e dei soci rispetto ai finanziamenti a favore della società nonché per l’inattendibilità del dettaglio delle rimanenze iniziali e finali 2008; elementi che, complessivamente considerati, costituirebbero indizi di irregolarità tributarie, richiamando l’art. 39, comma 1, lett. d), DPR n. 600/1973; norma citata espressamente anche negli avvisi di accertamento impugnati ed alla cui stregua – per i redditi determinati in base alle scritture contabili) – per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica: …. d) se l ‘incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’ articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’ articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti>>.
La Suprema Corte (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/20 15, Rv. 638203 – 01) assume ormai stabilmente che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 (metodo di accertamento applicabile per estensione analogica anche in materia N A, ai sensi dell’art. 54 commi 2 e 3 D.p.r. n. 633/ 72: Cass. n. 3197 del 11/02/2013, in motivazione) qualora, la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto configgente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (cfr. Cass. n. 7871 del 18/05/2012) e ciò indipendentemente dalla riscontrata regolarità formale delle scritture contabili, atteso che la grave incongruità o abnormità del dato economico esposto in dichiarazione priva le stesse scritture contabili di qualsiasi attendibilità (cfr. Cass. n. 20201 del 24/09/2010; id. Cass. n . 26167 del 06/12/2011, secondo cui in tema di IVA, la circostanza che un’impresa commerciale dichiari per più annualità un volume di affari di molto inferiore agli acquisti ed applichi modestissime percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare, da parte dell’Amministrazione, una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 54 del D.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633; id. n. 3197 del 11/02/2013; id. Cass. n. 6929 del 20/03/2013; id. Cass. n. 14941 del 14/06/2013)’Cass. n.26508/2014». Nello stesso senso, di recente, cfr. S.C., Sez. 5, Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017, Rv. 645975 – 01 per cui nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l ‘antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a, carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità».
Nel caso che occupa plurimi, gravi, precisi e concordanti sono gli elementi presuntivi – utili ai fini anzidetti – posti in evidenza dall’Ufficio nel processo verbale di constatazione, negli gli avvisi di accertamento e nelle controdeduzioni, che di seguito si riepilogano:
1.a. L’antieconomicità della condotta imprenditoriale, con mancata remunerazione del capitale investito, quale grave indizio di evasione legittimava la rettifica presuntiva del reddito dichiarato: dal 2001 anno di costituzione – all’anno 2011 la società ha dichiarato di aver subito ininterrottamente perdite economiche in contrasto con i principi di redditività ed economicità posti a fondamento dell’esercizio di qualsivoglia attività imprenditoriale.
1.b. L’incongruenza tra gli ingenti versamenti effettuati dai soci nell’anno oggetto della verifica nelle casse aziendali (circa 45 mila euro ) a fronte della loro situazione reddituale dichiarata (nell’anno della verifica ed in quelli precedenti), non meglio giustificata se non con un generico riferimento a situazioni patrimoniali, prive di maggior dettaglio sull’esistenza, modalità e tempi di accumulo.
l.c. L’inattendibilità del dettaglio delle rimanenze incongruenti con i dati contabili, in contrasto con i doveri di rappresentazione chiara ex artt. 14, 15 DPR n. 600/1973.Alcuni articoli delle rimanenze finali 2008 non venivano ritrovati nel dettaglio delle esistenze iniziali 2008 né tra le fatture di acquisto con DDT del 2008.
Non risultava possibile ricostruire le rimanenze a fine periodo 2008, posta la genericità delle indicazioni nelle fatture di vendita, con richiamo enigmatico a misure rilevate, a forniture, a sintetiche indicazioni di quantità.
1.d. L’incongruenza con lo studio di settore relativo al 2008, quale indizio ulteriore corroborante la verifica fiscale di per sé legittimata dalle incongruenze e gravi irregolarità. In definitiva, gli elementi posti in rilievo consentivano all’Ufficio di dubitare della veridicità dei dati dichiarati e di desumere, sulla base di presunzioni semplici – in quanto gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi, determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente. La regolarità formale dei dati contabili, peraltro, nel caso in esame è stata seriamente posta in crisi da quanto rilevato in punto di rimanenze. E per questa via, come rimarcato nelle controdeduzioni, vi potevano essere spazio per ritenere praticabile altresì una rideterminazione del reddito d’impresa ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett d) D.p.r. n. 600/73.
I contribuenti, per contro, hanno continuato a contestare la praticabilità di qualsiasi metodologia di accertamento induttivo ex art. 39 DPR n. 600173 senza contrastare diversamente la pretesa erariale e senza davvero confrontarsi con le ragioni di inattendibilità dei dati contabili segnalate dall’Ufficio, fidando nell’apparente regolarità formale di essi.
Infondato appare infine, il dedotto erroneo mancato riconoscimento dei costi occulti.
Secondo la Corte di Cassazione, la determinazione del reddito di impresa – nel caso di accertamento induttivo – presuppone l’individuazione ed il computo dei costi che, nella ricostruzione del reddito, valgono a bilanciare i ricavi accertati in via presuntiva. Ed infatti, la S.C. ha già avuto modo di precisare, in materia di imposte sui redditi inerenti ad attività di impresa, il principio sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (e ribadito dal D.L. n. 90 del 1990, art. 6 bis), secondo cui le spese sono deducibili se e nella misura in cui siano annotate nelle scritture contabili, non si applica in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentualizzata dei costi (Cass. 640/01, 2946/06). Ma non sembra che nel caso in analisi tale indicazione del Supremo Consesso sia stata disattesa.
Come rimarcato dall’Ufficio, infatti, la ricostruzione reddituale è stata realizzata applicando al costo del venduto delle singole categorie (materiali, lavorazioni presso terzi e lavorazioni in proprio) la percentuale di ricarico dichiarata in contraddittorio dalla controparte. Più in dettaglio, scorrendo il processo verbale di constatazione ciò risulta documentato per la quota di ricavi riconducibile ai materiali impiegati (pari a euro 178.846,60) e per le lavorazioni commissionate a terzi (quota di ricavi pari a euro 14.252,68). Per le lavorazioni eseguite in proprio la società contribuente, pur avendo presentato un listino di prezzi relativi alle varie tipologie di lavorazioni raggruppate per categoria di materiale lavorato, non è stata in grado di quantificare una percentuale di maggiorazione, ma ha offerto quale riferimento il numero giornate di lavoro previste per il completamento del lavoro commissionato dal cliente, considerandole di otto ore ciascuna con addebito al cliente di euro 40/50 per ciascuna ora. Seguendo i dati offerti dalla società verificata (totale delle ore risultanti dal libro delle presenze pari ad euro 3.851,5 moltiplicato per il valore economico orario intermedio indicato dalla parte, pari ad euro 45) è stata quantificata la quota di ricavi riferibili alle lavorazioni proprie (euro 173.317,50). Dalla somma dei ricavi (pari ad euro 366.416,59) tratta rispetto all’acquisto di materie prime, alle lavorazioni di terzi ed alle lavorazioni proprie sono stati detratti i ricavi dichiarati (pari ad euro 175.106,00) pervenendo
a definire la quota dei maggiori ricavi accertati in euro 191.310,59. Il percorso esposto dimostra come il costo sia esattamente la base di definizione dei maggiori ricavi ed in difetto di ulteriori specifiche prove (oggettive documentali) di costi non contabilizzati afferenti a detti ricavi, nel rispetto dei principi di effettività, inerenza e competenza ex art. 109 TUIR, non vi sono le condizioni per riconoscerne di maggiori. Del resto, corrisponde a preciso onere del contribuente indicare gli ulteriori costi non contabilizzati effettivamente sostenuti per il con seguimento de i maggiori ricavi a loro volta non contabilizzati (Cass. civ., Sez. 5, n. 16198 del 27/10/2001, Rv. 551333; Cass. civ. Sez. 5, n. 11514 del 07/09/2001, Rv. 549206; Cass. civ. Sez. 5, n. 12330 del 08/10/2001, Rv. 549549; Cass. civ. Sez. 5, n. 1709 del 26/01/2007, Rv. 595661; Cass. civ. Sez. 5, n. 11205 del 16/05/2007, Rv. 599458; Cass. civ. Sez. 5, n. 21184 del 08/10/2014, Rv. 632824; Cass. civ. Sez. 6-5, ord. n. 27458 del 09/12/2013, Rv. 629460; cfr. altresì Cass. civ. Sez. 5, n. 5192 del 04/03/2011, 617112; Cass. civ. Sez. 5, n. 2935 del 13/02/2015, Rv. 634377; Cass. civ. Sez. 5, n. 20679 del 01/10/2014, Rv. 632502).
Le spese seguono la soccombenza e si ritiene di doverle quantificare forfettariamente in euro 1.000,00.
P.Q. M.
Rigetta l’appello e dichiara la legittimità degli avvisi di accertamento impugnati. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate forfettariamente in euro 1.000,00 (euro mille).
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 10389 depositata il 31 marzo 2022 - In tema di contenzioso tributario, la mancanza o l'assoluta incertezza dei motivi specifici dell'impugnazione, le quali, ai sensi dell'art. 53, comma 1, del d.lgs. 546 del 1992,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 giugno 2021, n. 18485 - In tema di contenzioso tributario, la mancanza o l'assoluta incertezza dei motivi specifici dell'impugnazione, le quali, ai sensi dell'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, determinano…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 20030 del 21 giugno 2022 - In tema di contenzioso tributario, la mancanza o l'assoluta incertezza dei motivi specifici dell'impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 2763 depositata il 30 gennaio 2023 - Deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado quando la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 6375 depositata il 3 marzo 2023 - La motivazione per relationem è ammissibile purché il giudice d'appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 6403 depositata il 3 marzo 2023 - La motivazione per relationem è ammissibile purché il giudice d'appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024 le cause di esclusione per l’anno 2
La legge istitutiva degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) ha una…
- Il diritto riconosciuto dall’uso aziendale n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositat…
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…