COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE LAZIO – Sentenza 04 settembre 2019, n. 4933

Tributi – IMU – ICI – Agevolazione abitazione principale – Dimora abituale – Prova – Bollette delle utenze – Sufficienza ai fini ICI – Risultanze anagrafiche – Necessità ai fini IMU

Svolgimento del processo

Con la sentenza n. 54/2018 pronunciata il 7 dicembre 2017 (depositata il 2 gennaio 2018), la Sezione n. 26 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso presentato da D. F. avverso l’avviso di accertamento n. 54766 concernente l’omesso versamento I.C.L per l’anno 2011, emesso dal Comune di Roma Capitale relativamente all’immobile di proprietà della medesima, sito in Roma, Via xxx.

I primi giudici, dopo aver preliminarmente respinto le eccezioni di prescrizione/decadenza del potere impositivo e di difetto di sottoscrizione dell’atto, hanno ritenuto che la contribuente non avesse i requisiti per usufruire del beneficio concesso a coloro che dimorano abitualmente in un immobile e abbiano ivi la residenza anagrafica, ex art. 13, comma 2 del d.l. n. 201/2011 convertito con legge n. 214/2011, in quanto dal certificato storico anagrafico emergeva che ella non avesse la residenza anagrafica nell’abitazione per cui è causa, avendola ivi trasferita solo nel 2016 e risiedendo, in precedenza, in altro Comune.

Soggiungevano i giudici di prime cure che la ricorrente non aveva fornito prove idonee a dimostrare che nell’abitazione in questione, indipendentemente dalla residenza anagrafica, avesse comunque la sua dimora abituale, giacché i bassi e costanti importi delle bollette delle utenze di luce e gas prodotte in giudizio inducevano a ritenere che esse coprissero solo le spese fisse ma non i consumi.

Neppure il fatto che sia stata pagata la tassa sui rifiuti, ad avviso della C.T.P. risultava convincente circostanza a sostegno dell’assunto della contribuente, posto che, attesa la natura obbligatoria del tributo in questione, la sua corresponsione non dimostra che l’immobile sia la dimora abituale del soggetto che la assolve.

Infine, si osserva nella motivazione della sentenza che dalla busta paga prodotta non si evince il luogo di lavoro nell’anno 2012, ma soltanto la circostanza che la ricorrente, nell’anno 2015, era dipendente a tempo indeterminato della Società XXX S.p.A., con nessuna indicazione, né per quell’anno, né per i precedenti della sede di lavoro.

Di qui il rigetto del ricorso, con condanna alle spese, liquidate nella misura di euro 200,00.

Con la sentenza n. 62/2018 pronunciata il 7 dicembre 2017 (depositata il 2 gennaio 2018), la Sezione n. 26 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con motivazione identica a quella della sentenza di cui sopra, respingeva il ricorso presentato da D. F. avverso l’avviso di accertamento n. 68430, emesso dal Comune di Roma Capitale relativamente all’ immobile suindicato, con il quale era stato richiesto il pagamento della differenza tra quanto corrisposto dalla contribuente a titolo di I.M.U. per l’anno 2012, sulla base dell’aliquota agevolata per l’abitazione principale, e quanto ritenuto dovuto in base all’aliquota ordinaria.

Avverso entrambe le decisioni interponeva separati appelli la contribuente, articolando i seguenti motivi di gravame:

– la motivazione delle sentenze di primo grado è insufficiente e/o erronea in ordine alla mancanza dei requisiti per usufruire del beneficio previsto per l’abitazione principale, essendo stato dimostrato – mediante la produzione delle bollette delle utenze domestiche (energia elettrica, gas, telefono e servizio Sky) nonché di documentazione afferente al rapporto di lavoro a tempo indeterminato in Roma – che l’immobile era utilizzato dal nucleo familiare quale abitazione principale (come definita dall’ art. 8 del d.lgs. 504/1992) e, dunque, competeva l’esenzione totale per l’I.C.I. del 2011 e l’aliquota ridotta per l’ I.M.U. del 2012;

– dalla documentazione prodotta in primo grado, e da quella unita all’atto di appello (dettagliate attestazioni del datore di lavoro circa gli orari di servizio, bollette e bollettini quote condominiali), si evince che la contribuente dimorava stabilmente nell’immobile, dal quale raggiungeva quotidianamente il luogo di lavoro in Roma (non essendo ipotizzabile un pendolarismo giornaliero dalla residenza anagrafica, sita a 250 km di distanza) e, quanto ai consumi di gas ed energia elettrica, ritenuti dai primi giudici troppo contenuti e non compatibili con una stabile dimora, dai documenti prodotti risulta che il servizio di riscaldamento e acqua sanitaria erano condominiali centralizzati e, quindi, pagati a parte;

– i primi giudici hanno fatto riferimento al disposto dell’ art. 11 del d.lgs. n. 504/1992, che è disposizione abrogata dalla legge n. 296/2 (ndr legge n. 296/2006), e non hanno recepito la fondata eccezione della ricorrente in ordine alla decadenza del Comune di Roma dal potere di esigere il tributo, dovendosi applicare il termine triennale di cui al comma 163 del della legge n. 296/2006 e non quello quinquennale stabilito dal comma 161, giacché l’Ente non avrebbe dovuto emettere un avviso di accertamento, ma procedere alla riscossione coattiva dell’imposta, trattandosi di imposta per la quale è prevista l’autoliquidazione da parte del soggetto obbligato;

– anche per l’avviso di accertamento relativo all’I.M.U. del 2012 deve ritenersi non rispettato il menzionato termine di decadenza triennale, posto che l’atto è stato notificato l’ 8 gennaio 2016, quando il termine scadeva il 31 dicembre 2015;

– la C.T.P non ha tenuto conto della mancata dimostrazione, da parte del Comune di Roma dell’esistenza di idoneo titolo e/o incarico del funzionario responsabile della riscossione dei tributi, contestato dalla ricorrente;

– la decisione è erronea e generica in ordine all’eccepita illegittimità dell’atto impositivo perché formato da soggetto (YYY S.p.A.) non avente titolo a svolgere le attività concernenti l’ accertamento sui tributi;

– è ingiusta per disparità di trattamento la condanna al pagamento delle spese di lite, giacché per altro processo relativo all’ I.C.I. del 2010, trattato nella stessa udienza e conclusosi con sentenza favorevole alla contribuente, vi è stata compensazione delle spese;

– è stata omessa la pronuncia in ordine all’eccepita tardività della costituzione in giudizio della controparte e alla richiesta di espunzione delle controdeduzioni dalia medesima presentate.

Per gli esposti motivi l’ appellante ha chiesto che, in riforma delle sentenze impugnate, previa riunione dei processi, siano annullati gli avvisi di accertamento in epigrafe, con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio.

Si è costituito il 17 giugno 2019 il Comune di Roma-Capitale, il quale ha svolto le seguenti controdeduzioni :

– le sentenze sono congruamente motivate e danno pienamente e correttamente conto delle ragioni del rigetto dei ricorsi;

– il beneficio spettante per l’abitazione principale non compete, come giustamente ritenuto dalla C.T.P., non avendo la contribuente dimostrato la stabile dimora nell’immobile, per I.C.I. del 2011, e mancando, per l’I.M.U del 2012, il requisito della residenza anagrafica, unitamente alla dimora abituale, previsto dall’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201/2011, convertito con la legge n. 214/2011;

– non vi è decadenza dalla pretesa tributaria, trattandosi di avviso di accertamento, soggetto al termine quinquennale, e non di cartella di pagamento;

– la condanna al pagamento delle spese di lite è corretta, stante la soccombenza.

Per tali ragioni l’appellato ha chiesto il rigetto degli appelli, con vittoria di spese.

La difesa dell’appellante ha depositato il 27 giugno 2019 memorie illustrative per entrambi i procedimenti, nelle quali ha ribadito i suoi assunti, anche con riferimento all’eccepita tardività della costituzione del Comune di Roma in primo e in secondo grado, con conseguente impossibilità di produzione in appello di documenti.

All’odierna udienza, su concorde richiesta delle parti è stata disposta la riunione dei processi di appello, avendo essi ad oggetto atti impositivi relativi ad annualità contigue e afferenti alle medesime questioni di fatto e di diritto. All’esito la difesa dell’ appellata ha insistito per l’accoglimento degli appelli, mentre il difensore del Comune di Romane ha chiesto il rigetto.

Motivi della decisione

1.Preliminarmente occorre esaminare, per il loro carattere pregiudiziale, i motivi di gravame concernenti la legittimità degli avviso di accertamento in epigrafe, sotto il profilo della validità della sua formazione e della sua sottoscrizione.

1.1.. Quanto all ‘eccezione afferente all ‘emissione degli avvisi da parte della società YYY S.p.A. va detto, in piena concordanza con i primi giudici, che non ricorre alcun difetto di legittimazione in quanto detta Società è in house del Comune e, come tale, pienamente titolata (Cass., Sez. 5, sent. n. 1138 del 21/01/2008, in C.e.d. Cass., rv. 601469 – 01);

1.2. Neppure l’eccezione concernente la sottoscrizione degli avvisi ha fondamento, giacché, come condivisibilmente rilevato dalla C.T.P., il firmatario è funzionario responsabile del procedimento nell’ambito del competente dipartimento del comune di Roma che ha agito con la collaborazione della società YYY S.p.A. Peraltro, la contribuente non ha, nel corso del giudizio, provato la non appartenenza del sottoscrittore all’Ufficio o, comunque, l’usurpazione dei relativi poteri (Cass., Sez. 5, sent. n. 220 del 09/01/2014, in C.e.d. Cass., rv. 629872 – 01; Cass., Sez. 6-5, ordinanza n. 15470 del 26/07/2016, ivi, rv. 640640 – 01)

2.Altrettanto infondata è l’eccezione di decadenza dell’Ente impositivo dal potere di esigere il tributo. Invero, l’emissione degli avvisi di accertamento va ritenuta tempestiva, ai sensi dell’art. 1, comma 161, della legge n. 296/2006, in quanto avvenuta il 31 dicembre 2015, quindi entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuti essere effettuati (31 dicembre 2016 e 31 dicembre 2017). Diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, secondo la citata disposizione, ” …gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono … all’accertamento di ufficio … degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati.” Pertanto, trattandosi dell’accertamento di omesso versamento, e non di riscossione coattiva del tributo (art.1, c. 163 della legge 296/06), come erroneamente ritenuto nel gravame, il termine di decadenza è di cinque anni e non di tre.

1.Priva di pregio è anche la questione della tardività della costituzione del Comune di Roma in primo grado, in quanto la tardiva costituzione non può comportare l’inutilizzabilità delle controdeduzioni della controparte, come preteso dall’appellante. La giurisprudenza di legittimità è, infatti, costante nel ritenere che «[…] nel processo tributario, la violazione del termine previsto dall ‘art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 per la costituzione in giudizio della parte resistente comporla esclusivamente la decadenza dalla facoltà dì proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata dì terzi, sicché permane il diritto dello stesso resistente di negare i fatti costitutivi dell ‘avversa pretesa, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate e di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e

1.Passando al merito, va detto che si deve pervenire a diverse conclusioni relativamente ai due appelli, essendo nel merito fondato soltanto quello concernente la sentenza n. 54/2018, avente ad l’avviso di accertamento per l’I.C.I. dell’anno 2011.

2.In proposito si deve rilevare preliminarmente che è erroneo il riferimento fatto dai primi giudici all’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201/2011 convertito con legge n. 214/2011 (entrata in vigore il 28 dicembre 2011), in quanto tale disposizione, che ha introdotto la nuova imposta denominata LM.U sostitutiva delFI.C.L, non è applicabile ratione temporis al caso di specie, regolato, invece dal combinato disposto dell’artt. 8 del d.lgs. n. 504/1992 e 1 del d.l. n. 93/2008 conv. con legge n. 126/2008.

Ciò premesso, ritiene la Commissione, in difformità rispetto alle conclusioni cui è pervenuta la C.T.P., che la contribuente abbia positivamente comprovato l’effettiva dimora nell’immobile di cui trattasi, profilo di fatto che costituisce il presupposto per l’esenzione dall’ I.C.I. per l’abitazione principale.

In effetti, anche sulla base dell’ulteriore documentazione allegata all’atto di appello, deve riconoscersi che risulta essere stata adeguatamente provato l’utilizzo dell’alloggio in questione come abitazione principale. La contribuente ha, infatti, addotto di aver nell’anno in questione dimorato nell’abitazione di cui trattasi, producendo a supporto bollette di gas, energia elettrica, utenza telefonica e abbonamento al servizio Sky intestate al coniuge, nonché documentazione attestante il rapporto di lavoro con la Soc. XXX S.p.A. con sede di servizio in Roma, Via jjjj, con relativi orari di servizio.

In proposito va soggiunto che la Commissione ritiene di non poter concordare con i primi giudici circa il carattere non probante delle bollette relative alle utenze di energia elettrica e gas a causa dei bassi importi delle stesse. Invero, la circostanza non appare dirimente, sia perché i consumi sono legati ai comportamenti dei singoli, agli orari di presenza in casa e alla composizione del nucleo familiare (che nella specie era costituito soltanto dalla contribuente e dal coniuge), sia perché è stato documentalmente comprovato che il servizio di riscaldamento e di produzione di acqua calda sanitaria dell’immobile è condominiale centralizzato e che i consumi di energie elettrica e gas nel periodo considerato non si discostano significativamente da quelli dei successivo periodo nel quale l’interessata aveva trasferito la residenza anagrafica a Roma, alloggiando nell’immobile de quo.

A ciò si deve aggiungere che risulta condivisibile, e di determinante caratura, la considerazione dell’appellante in ordine al fatto che, data la distanza (circa 250 km) tra il luogo di lavoro (Roma) e quello di residenza anagrafica (Pietrabbondante – IS), non risultava ipotizzabile un pendolarismo quotidiano, dati gli orari di servizio (08.00 – 16.28), pur volendo considerare una eventuale flessibilità riconosciuta contrattualmente.

Per quanto detto, si deve ritenere provato che nell’anno 2011 l’immobile oggetto dell’avviso di accertamento fu utilizzato dalla contribuente come abitazione principale, sicché le spettava l’esenzione prevista per tale situazione, secondo quanto stabilito dal combinato disposto degli artt. 8 del d.lgs. n. 504/1992 e 1 del d.l. n. 93/2008, conv. con legge n. 126/2008.

1.A tal riguardo va sottolineato che nessun dubbio sorge in ordine alla possibilità di per il contribuente di provare in giudizio l’utilizzo dell’immobile come abitazione principale, essendo in tal senso consolidata la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, «In tema di ICI, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione prevista dall’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 per l’immobile adibito ad abitazione principale, le risultanze anagrafiche rivestono un valore presuntivo circa il luogo dì residenza effettiva e possono essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte dì convincimento e suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito» (Cass., n. 14793/2018; conf. Cass. n. 12299/2017; Cass. n. 13062/17).

2.Neppure ha fondamento l’obiezione del Comune di Roma secondo la quale per fruire dell’esenzione necessitasse un’apposita dichiarazione, secondo il Regolamento I.C.I. comunale, in quanto la giurisprudenza della Corte di cassazione è consolidata nel ritenere che «[…] In tema di ICI, l’agevolazione prevista dall’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 per l’immobile adibito ad abitazione principale non può essere negata a causa dell’omessa indicazione dell’abitazione principale nella dichiarazione effettuata ai sensi dell’art. 11 dello stesso decreto, né per la divergenza tra il luogo indicato e la residenza anagrafica del contribuente, in quanto la dichiarazione, quale manifestazione di scienza, può essere liberamente modificata dal contribuente, in qualunque momento, anche in sede processuale, mentre le risultarne anagrafiche rivestono un valore presuntivo e possono essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento e suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito.» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 13062 del 24/05/2017, in C.e.d. Cass., rv. 644349 – 01; confi Cass., Sez. 5, sent. n. 13151 del 28/05/2010, ivi, rv. 613463 – 01).

3.A diversa conclusione deve giungersi, invece, per l’avviso di accertamento n. 68430 concernente l’omesso versamento I.M.U. per l’anno 2012, oggetto della sentenza n. 62/2018.

3.1 Invero, per I’I.M.U. l’art. 13 del d.l. n. 201/2011 (conv. con legge n. 214/2011), che l’ha introdotta a partire dal 2012, prevede, al comma 2, che “…per abitazione principale si intende l’ immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente“. Si tratta di una modifica legislativa, determinata dall’intento di prevenire elusioni dell’imposta mediante residenza fittizie, che impone, ai fini del riconoscimento dei benefici per la prima abitazione, l’indispensabile concomitanza dì dimora e residenza anagrafica, non essendo più sufficiente il mero utilizzo dell’immobile come dimora abituale.

Nella specie, come osservato sopra, tale concomitanza non ricorre, in quanto nell’anno 2012 la contribuente, pur dimorando stabilmente nell’immobile de quo, non vi aveva la residenza anagrafica Pertanto, ella non aveva titolo a detti benefici e, conseguentemente, risulta del tutto legittimo l’avviso di accertamento in questione, con il quale è stato richiesto il pagamento della differenza tra quanto corrisposto sulla base dell’aliquota agevolata e quanto dovuto in base all’aliquota ordinaria.

1.Per le esposte ragioni la sentenza n. 54/2018 deve essere integralmente riformata, con conseguente annullamento dell’avviso di accertamento n. 54766 concernente l’omesso versamento I.C.I. per l’anno 2011. L’appello avverso la sentenza n. 62/2018 deve, invece, essere respinto, con conseguente conferma della piena legittimità dell’avviso di accertamento n. 68430 relativo all’ I.M.U. per l’anno 2012.

2.La parziale reciproca soccombenza induce alla totale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie l’appello avverso la sentenza n. 54/2018 pronunciata dalla Sezione n. 26 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma e, per l’effetto, annulla l’avviso di accertamento n. 54766 emesso nei confronti di D. F. per l’omesso versamento I.C.I. per l’anno 2011; respinge l’appello avverso la sentenza n. 62/2018 pronunciata dalla Sezione n. 26 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma. Compensa totalmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.