COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE LAZIO – Sentenza 11 aprile 2017, n. 2043
Tributi – IVA – Istanza di rimborso – Inosservanza delle forme previste dagli artt. 30 e 38-bis, del D.P.R. n. 633 del 1972 – Non rileva – Natura giuridica dell’istanza – Presupposto per l’esigibilità del credito – Mancata contestazione del credito – Rimborso – Spetta
Svolgimento del processo
Con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la ditta S.M. di V.S. impugnava il provvedimento di diniego prot. N. 2012/229962 del 30 novembre 2012, relativo all’istanza di rimborso IVA presentata dalla Ditta contribuente per un importo pari ad euro 25.000,00 di cui alla dichiarazione dei redditi 2005 (MU 2006).
Il diniego veniva motivato dall’Amministrazione con riferimento alla omessa osservanza delle forme previste dagli artt. 30 e 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1973, ovvero tramite presentazione di apposito modello ministeriale (cd Modello “VR”).
La predetta Commissione tributaria, condividendo il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui “deve tenersi distinta la domanda di rimborso o restituzione del credito d’imposta maturato dal contribuente, da considerarsi già presentata con la compilazione nella dichiarazione annuale del quadro “VX”, che configura formale esercizio del diritto, rispetto alla presentazione altresì del modello “VX”, che costituisce, ai sensi dell’art. 38-bis, comma primo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, presupposto per l’esigibilità del credito e dunque adempimento necessario solo a dar inizio al procedimento di esecuzione del rimborso” accoglieva il ricorso.
Con atto notificato il 4 febbraio 2016 propone appello l’Agenzia delle Entrate deducendo la erroneità della sentenza laddove non si limita all’annullamento del provvedimento di diniego, ma dispone il rimborso della somma richiesta dal contribuente, esonerando l’Ufficio dal dovuto accertamento circa la spettanza o meno di tale rimborso.
Conclude per l’accoglimento dell’appello, con ogni consequenziale ordine alle spese ed onorari di giudizio.
Con atto depositato il 1° aprile 2016 si costituisce la Ditta S.M. di V.S., puntualizzando di aver dimostrato il proprio diritto al rimborso con la produzione della dichiarazione in cui è riportato l’esatto credito IVA né l’Amministrazione finanziaria risulta abbia contestato la dichiarazione prodotta dall’appellato. Peraltro, l’Ufficio sino ad oggi non ha effettuato alcuna verifica mentre avrebbe potuto effettuare i dovuti controlli e disporre il dovuto rimborso.
Espone poi uno schema riepilogativo dell’origine del credito IVA richiesto.
Conclude per la reiezione dell’appello, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese ed onorari di giudizio.
Alla Pubblica Udienza del 20 marzo 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
L’appello non merita accoglimento.
L’Amministrazione finanziaria si duole del fatto che la sentenza impugnata non si limiti ad annullare il provvedimento di diniego, ma dispone il rimborso della somma richiesta dal contribuente, esonerando l’Ufficio dal dovuto accertamento circa la spettanza o meno di tale rimborso.
Giova rammentare che in tema di IVA vige il principio secondo cui ” l’esposizione di un credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi fa sì che non occorra, da parte del contribuente, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento, dovendo solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere – dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte ovvero, ricorrendone i presupposti, attraverso lo strumento della rettifica della dichiarazione. Ne consegue che il relativo credito del contribuente è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, mentre non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, in quanto l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso” (Cass. n. 20678 del 2014).
Ciò posto, osserva il Collegio che si è in presenza di un credito di imposta non contestato dall’Ufficio e già desumibile dalle dichiarazioni presentate dalla contribuente.
La dichiarazione dei redditi, invero, costituisce una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’Iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria, sicché – come correttamente osservato dal contribuente – l’Amministrazione avrebbe potuto contestare la dichiarazione prodotta. Non essendo emersa alcuna contestazione in merito alla dichiarazione presentata dal contribuente, deve ritenersi che l’Amministrazione abbia esercitato il proprio potere, rilevando la correttezza di quanto ivi esposto.
Né grava, nel caso di specie, l’obbligo in capo al contribuente di fornire prova dell’esistenza del diritto al rimborso, poiché il medesimo contribuente ha chiaramente esposto in dichiarazione la propria pretesa e l’Amministrazione non ha proceduto ad alcuna rettifica della dichiarazione medesima.
L’appello va quindi rigettato, con conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese del giudizio, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Respinge l’appello e dispone il rimborso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 1.000,00 (mille/00) per il primo grado ed € 2.000,00 (duemila/00) per il secondo grado.
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