COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 5260 sez. 14 depositata il 18 settembre 2017
PROCESSO TRIBUTARIO – RICORSO INTRODUTTIVO – DOCUMENTI DEPOSITATI ANCHE IN APPELLO – PROPOSIZIONE TARDIVA – ERRORE SUL TERMINE – CONSEGUENZE
FATTO E DIRITTO
GP impugnava l’avviso di accertamento riguardante l’anno 2007, notificato il 7.12.2013, con cui l’Agenzia delle Entrate gli aveva ingiunto il pagamento di euro 112.000; deduceva che erroneamente l’Agenzia delle Entrate a seguito di indagini finanziarie, aveva contestato un reddito da lavoro autonomo non dichiarato, con volume di affari di euro 74.000 ed acquisti in nero per euro 28.000 dati da presunti compensi desumibili da prelievi e versamenti su un conto corrente intestato all’associazione culturale SM di cui egli era vice presidente, e su altro conto corrente intestato alla madre, J.C., presidente dell’associazione culturale, su cui il P aveva la delega; deduceva l’illegittimita’ dell’avviso, affermando che l’acquisto di un immobile a Roma in via X per euro 495.000 era avvenuto utilizzando interamente il ricavato di un mutuo di cui non erano state pagate le rate, tanto che l’immobile era stato pignorato; che lo stesso P si era reso garante per le rate di leasing che aveva sottoscritto la moglie da lui separata sig.ra M ma che non aveva mai effettuato pagamenti per tali rate; che il P aveva intestate le utenze di gas e luce di un immobile di via X di proprieta’ della M, in quanto ex casa coniugale prima della separazione; che non vi erano incongruenze tali da procedere ad indagini finanziarie; che il P aveva utilizzato i due conti correnti citati per conto dell’associazione culturale SM quale vice presidente dell’associazione e delegato dalla presidente C; chiedeva dichiararsi la nullita’ dell’accertamento; impugnava quindi per motivi analoghi l’avviso di accertamento per l’anno 2008 per l’importo di euro 385.000 e l’avviso per il 2009 per euro 344.000, notificati sempre il 7.12.2013.
I giudizi erano riuniti.
L’Agenzia delle Entrate eccepiva la tardivita’ delle impugnazioni degli avvisi di accertamento, notificati il 2.12.2013, il cui termine scadeva, tenuto conto dell’istanza di adesione, il 1.5.2014 ed invece impugnati il 6.5.2014; ribadiva nel merito l’infondatezza delle impugnazioni, operando di fatto il P su un conto intestato alla associazione SM , e su un altro conto intestato alla madre, su cui aveva la delega, e che tali conti evidenziavano lo svolgimento di attivita’ commerciale da parte dello stesso P
La CTP, ritenuta la tardivita’ del ricorso, pur tenuto conto del termine di 90 gg del procedimento di adesione; ritenuto anche che la gestione dei due conti dell’associazione culturale e della madre del P, doveva imputarsi allo stesso P. non emergendo alcuna attivita’ dell’associazione, che non svolgeva riunioni associative ne’ presentava dichiarazione dei redditi, mentre i clienti rinvenuti nella sede non conoscevano la SM ma solo l’attivita’ commerciale del P ; cio’ premesso, dichiarava i ricorsi inammissibili, condannando il ricorrente alle spese.
Propone appello GP, deducendo: il ricorso era stato assegnato inizialmente alla sez 16, e fissata udienza il 2 dic 2015; richiesta la riunione con gli altri due ricorsi, gli stessi erano assegnati alla sez 31 e fissata udienza il 18.2.2016; l’Agenzia delle Entrate aveva presentato una prima memoria illustrativa il 20 novembre 2015 ed una seconda memoria con documenti l’11.12.2015; afferma che il deposito di memoria e documenti dell’11.12.2015, essendo decorso il termine di cui all’art 32 D.Lgs 546/92, rispetto alla prima udienza fissata, era inammissibile e pertanto che i documenti non potevano essere acquisiti ed esaminati. Non vi era quindi prova della notifica degli avvisi e della dedotta tardivita’ del ricorso. Aggiunge che i documenti non erano validi in quanto prodotti in copia non autenticata. Con altro motivo, afferma la scusabilita’ dell’errore sul temine per ricorrere, e chiede validita’ della istanza di rimessione in termini effettuata, avendo l’Agenzia dichiarato, nel verbale di accertamento con adesione, l’avvenuta notifica degli avvisi il 7.12.2013; nel merito, contesta che l’attivita’ si possa ricollegare al P personalmente, il quale agiva sui due conti indicati ma solo come vice presidente dell’associazione e non per affari personali; allega ulteriore documentazione che dimostrerebbe l’attivita’ riferibile all’associazione. Chiede dichiarare ammissibili e fondati i ricorsi.
L’Agenzia delle Entrate contesta, afferma la tempestivita’ dei documenti prodotti, dovendosi tenere conto dell’udienza fissata il 18.2.2016, e comunque produce tali documenti anche in appello; ribadisce la tardivita’ dei ricorsi; nel merito, deduce che la disponibilita’ da parte del P dei due conti correnti citati da’ luogo alla presunzione che gli accreditamenti ed i prelevamenti effettuati costituiscano esercizio di attivita’ commerciale da parte del contribuente, per importi rilevanti nei tre anni considerati; fa presente che avverso tale presunzione e’ ammessa prova contraria dal contribuente, che non sarebbe stata fornita. Chiede il rigetto dell’appello.
L’appello e’ infondato.
La tempestivita’ della proposizione del ricorso introduttivo e’ questione che va verificata d’ufficio sulla base dei documenti in atti, che come e’ noto, possono sempre essere prodotti in appello (art 58 D.Lgs n 546/1992). E, nel caso in esame, non vi e’ dubbio che il ricorso introduttivo sia stato proposto tardivamente, dovendo considerarsi gli avvisi notificati il 2 dicembre 2013 (dieci gironi dopo la spedizione della raccomandata) e scadendo il termine, anche tenuto conto dell’istanza di adesione, il 1° maggio 2014, essendo invece stati impugnati gli avvisi il 6 maggio 2014.
Ne’ puo’ ritenersi scusabile l’errore sul termine, per il solo fatto che nel verbale del procedimento di adesione, sia erroneamente stata indicata come data della notifica il 7 dicembre 2013. L’eccezione poi di non conformita’ delle copie prodotte va rigettata, risultando in base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione che l’eccezione di non conformita’ agli originali non puo’ essere generica, ma deve essere specificamente motivata.
La sentenza di primo grado pertanto, nel dichiarare l’inammissibilita’ dei ricorso, e’ del tutto corretta e va confermata. Segue la condanna alle spese dell’appellante.
PQM
Rigetta l’appello e condanna l’appellante alle spese di lite, per euro 2.500,00.
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