COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 5286 sez. 6 depositata il 19 settembre 2017
RISCOSSIONE E MISURE CAUTELARI – CARTELLA ESATTORIALE – EQUITALIA – DEBITO ERARIALE – GARANZIA FIDEIUSSORIA – CONFIDI – ISCRIZIONE NUOVO ALBO INTERMEDIARI FINANZIARI – VALIDITA’ DELLA CARTELLA
Fatto.
Con atto di appello notificato il 13 gennaio 2017 all’Agenzia delle Entrate di Roma 2 e ad Equitalia Servizi di Riscossione spa (di seguito Equitalia) VL (nata nel 1935 e facente parte del c.d. GB, sottoposto, a suo tempo, nel 2009/2010, a verifica fiscale cumulativa dalla Guardia di Finanza per le societa’ di riferimento) impugnava – avanti a questa Commissione tributaria regionale (CTR) – la sentenza n. 3852/16, emessa in data 8 giugno 2016 dalla locale Commissione tributaria provinciale (CTP), Sezione 28.
Segnatamente, con detta decisione, i primi giudici avevano rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso la cartella di pagamento X (della quale l’interessata aveva chiesto l’annullamento)” emessa da Equitalia Sud, a seguito di iscrizione a ruolo da parte dell’Ufficio per il recupero di somme non versate, relative agli esercizi 2005 e 2006 (II.DD. ed IVA) , nonche’ 2007 e 2008 (II.DD.)- con condanna della V al pagamento delle spese”di lite, liquidate in euro 2.000,00, in favore di ciascuna delle controparti.
Si costituivano” con distinte difese – entrambi gli appellati, chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza di prime cure.
All’esito della pubblica udienza del 3 luglio 2017, il Collegio decideva come da dispositivo.
Motivi della decisione.
Il gravame e’ infondato e va respinto.
Prima di ogni altra considerazione, occorre dare atto .che le censure mosse dall’appellante investono esclusivamente la asserita illegittima iscrizione a ruolo delle somme oggetto della cartella n. Xe, quindi, l’attivita’ dell’ente creditore.(l’Agenzia delle Entrate di Roma 2).
Sicche’, Equitalia, sotto il profilo sostanziale, e’ carente di legittimazione passiva, in quanto ad essa non e’ ascrivibile alcuna eventuale responsabilita’ in ordine alla legittimita’ e correttezza dei ruoli, di esclusiva competenza dell’ente impositore.
Infatti, l’Agente della Riscossione, una volta ricevuto il ruolo, deve provvedere alla sua notifica, senza essere tenuto ad alcuna verifica di controllo sulla legittimita’ e correttezza della pretesa tributaria dell’Ufficio, risultando, esso Concessionario, del tutto estraneo al processo di formazione del ruolo stesso (Cass. 12385/2013).
Cio’ premesso, giova subito precisare che all’esito di una annosa e complessa controversia – scaturita da parziali e deliberatamente incompleti pagamenti del debito tributario da parte della V – e’ stata emessa da Equitalia la cartella esattoriale riepilogativa, indicata in narrativa.
Con detto atto impositivo l’Ufficio ha provveduto al recupero integrale delle somme dovute e non versate dalla parte, rimasta inadempiente all’obbligazione verso il Fisco, definitivamente maturata a seguito sia del mancato perfezionamento dell’accertamento con adesione per le annualita’ 2007 e 2008 (essendo stata saldata solo la prima rata) che del procedimento di conciliazione giudiziale per le annualita’ 2005 e 2006 di cui alle sentenze n.308/10/12 e n. 309/10/12 della locale CTP.
Come gia’ sopra anticipato, il ricorso della contribuente e’ stato respinto nel presente giudizio dalla CTP su tutta la linea.
Tanto detto, avverso la decisione di prime cure “di cui la V ha chiesto anche la sospensiva dell’esecutorieta’” sono stati dedotti dall’interessata cinque motivi di impugnazione che di seguito Si esaminano.
Segnatamente con il primo motivo (pp. 7/12 dell’atto di appello) la contribuente ha eccepito in via preliminare la nullita’ dell’iscrizione a ruolo ( presupposta all’emissione della cartella) in quanto meramente reiterativa di una iscrizione a ruolo gia’ dichiarata illegittima.
A dire dell’appellante, la CTP aveva a torto considerata legittima, solo per il formale mutamento del titolo, una iscrizione a ruolo ordinaria dell’Ufficio, ripetitiva di una iscrizione a ruolo straordinaria (relativa alle annualita’ 2007 e 2008) a suo tempo dichiarata illegittima, con conseguente e palese violazione dell’art. 67 DPR 600/1973 (secondo cui la stessa imposta non puo’ essere applicata piu’ volte, in dipendenza del medesimo presupposto).
In buona sostanza per la V , stante la avvenuta consumazione della potesta’ impositiva dell’Ufficio, nella fattispecie, la CTP aveva errato, poiche’ “… ritenendo legittima l’iscrizione a ruolo ordinario di una pretesa impositiva non piu’ sussistente, in quanto venuta: meno con l’annullamento disposto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, nella sentenza n. 421/01/2012 (annullamento resosi definitivo per La mancata impugnazione da parte dell’Agenzia delle Entrate) ha ritenuto legittima la:riproposizione di un’identica richiesta di pagamento da parte dell’Ufficio che si era limitato semplicemente a reiterare un atto (la richiesta di pagamento) per il quale aveva gia’ esaurito il proprio potere impositivo, non avendo impugnato la sentenza dei giudici di prime cure che avevano annullato le cartelle di pagamento ma anzi predisponendo lo sgravio delle somme ivi contenute” (p. 8 dell’atto di appello).
L’eccezione di nullita’ dell’iscrizione a ruolo, per intervenuto giudicato e per pretesa violazione del principio dl ne bis in idem ex art. 67 DPR 600/1973, sollevata dalla contribuente, non e’ fondata.
Come desumibile dalla motivazione, la sentenza n. 421/01/12 della CTP, richiamata dall’appellante e passata in giudicato, ha annullato le cartelle di pagamento, presupposte all’iscrizione a ruolo straordinario, per un vizio formale ( assenza del requisito del fondato pericolo per la riscossione ex artt. 11 e 15 DPR 602/1973), ma senza incidere, nel merito, sul quantum debeatur (imposta + sanzioni).
Ne consegue .che il giudicato, invocato dalla contribuente, precludeva all’Ufficio soltanto la potesta’ di ricorrere nuovamente ad una iscrizione a ruolo a titolo straordinario per escutere il debito erariale della contribuente, ma non gia’ di procedere ad una iscrizione a (diverso) titolo ordinario, in presenza di un debito certo e definito, fatta salva la intervenuta decadenza della potesta’ impositiva dell’Ufficio e/o la eventuale- prescrizione del. diritto ad agire (circostanze ostative, queste, insussistenti nella fattispecie).
Nel caso di specie l’Ufficio ha, quindi, agito sul presupposto di un diritto certo, liquido ed esigibile, costituito dal perfezionamento dell’atto di adesione, conseguente al mancato intero pagamento del dovuto da parte della contribuente.
Ancora: lo sgravio del ruolo e delle somme da esso portate, a carico della V. disposto dall’Ufficio, in esecuzione della sentenza n. 421/01/12 della CTP di Roma, in conseguenza dell’annullamento della cartella di pagamento per un vizio formale della stessa, per evitare ulteriori spese e costi – non e’ dirimente.
Ed, invero, lo sgravio (sul cui affidamento contava la contribuente) non fa cessare la materia del contendere e non elimina il debito fiscale, come ipotizzato in termini preclusivi dalla interessata, in quanto non e’ susce’ttibile di produrre, di per se’ solo, alcun effetto abolitivo sull’avviso di accertamento, anche con riferimento alle sanzioni, nel caso in cui tale atto prodromico non sia stato annullato in sede di autotutela (in termini, in un caso analogo, v. Cass. 24064/2012).
Parimenti, nessuna violazione dell’art. 67 del DPR 600/1973 e’ configurabile nella fattispecie.
Detta norma si riferisce, infatti, al divieto per l’Amministrazione di accertare e chiedere l’imposta sullo stesso presupposto, in base al principio generalissimo del ne bis in idem.
Nel caso di specie, invece, non soltanto non vi e’ stata tecnicamente alcuna doppia iscrizione, ma- non vi e’ stata neanche una doppia imposizione, poiche’, come bene evidenziato a p. 6 (ultime due righe) delle controdeduzioni dell’Ufficio appellato, quest’ultimo ha “…provveduto a rinnovare il titolo esecutivo costituito dagli atti di adesione e conciliazione, a fronte dell’annullamento della cartella di pagamento per un vizio di forma e non di sostanza”.
Se tali sono le risultanze processuali il primo motivo di gravame (limitato alle annualita’ 2007 e 2008 e non anche esteso alle annualita’ 2005 e 2006) deve essere, percio’, rigettato.
Ancora: con il secondo complesso motivo di gravame l’appellante ha lamentato (ibidem, pp. 12/14) che con riferimento alla procedura di accertamento con adesione mediante versamenti rateali (all’inizio conclusasi ne’gativamente per essa contribuente,per la mancata accettazione ed escussione della garanzia fideiussoria prestata) i primi giudici non avessero motivato il rigetto della domanda circa la affermata inidoneita’ ed omessa escussione della fideiussione presentata , ritenendo semplicemente che la novella recata dal D.l. 98/2011, applicabile nella fattispecie, non prevedesse alcuna prestazione di fideiussione per il perfezionamento della procedura di adesione (ibidem, p. 13).
Inoltre la contribuente, a prescindere dalla questione della fideiussione, ha contestato l’affermazione dei primi giudici secondo cui nella fattispecie l’applicazione del menzionato ius superveniens non avesse comportato alcuna violazione del principio di legalita’ sotto il profilo sanzionatorio.
All’uopo, l’appellante rilevava che l’atto di accertamento per adesione era stato sottoscritto in data 11.3.2011 e che, quindi, non potevano applicarsi retroattivamente le sanzioni previste dal successivo D.I. 98/2011 del 6 luglio 2011 , convertito nella L. 111 del 15 luglio 2011.
Le critiche dell’appellante noti colgono nel segno.
Iniziando dalla questione della fideiussione, e’ agevole rilevare, ad integrazione della motivazione della decisione di prime cure, come, ai fini del perfezionamento della procedura di accertamento con adesione, l’Ufficio abbia, all’inizio, legittimamente rifiutato la garanzia fideiussoria prestata dal C per il debito erariale degli anni 2007/2008 della V, sul presupposto che detta societa’ finanziaria non fosse iscritta nel nuovo albo degli intermediari finanziari , sottoposto all’Autorita’ di Vigilanza della Banca d’Italia ed introdotto dall’art. 9, comma 5, D.lgs. n.141/2010 in luogo dell’albo ex art. 106 TUB. (ove C risultava, peraltro, iscritta).
In proposito, a conferma della legittimita’ dell’operato e del rifiuto dell’Ufficio, si impongono due considerazioni.
Innanzi tutto, in generale, il creditore resta libero di valutare se il garante abbia la possibilita’ di soddisfare o no il debito del contribuente e, quindi, il diniego all’accettazione della polizza fideiussoria prestata da C e’ stato legittimamente esercitato dall’Ufficio.
Ma vi e’ di piu’: la V ha formalmente impugnato il diniego dell’Ufficio circa la invalidita’ della polizza fideiussoria C, ma la locale CTP con sentenza n.123/60/15 (allegata in copia alle controdeduzioni dell’Ufficio) ha respinto il ricorso, confermando la legittimita’ dell’operato dell’Agenzia delle Entrate.
In tale contesto, la mancata accettazione “per inidoneita’ – della polizza fideiussoria, presentata dalla V ha fatto legittimamente ritenere all’Ufficio che non si fosse perfezionata la procedura di accertamento con adesione (con versamenti rateali) in forza della normativa vigente ratione temporis in materia (art. 9 d.lgs. n. 218/1997).
Detta norma dispone, infatti, che la definizione si perfezioni con il versamento integrale della somma concordata con il Fisco (art. 8, comma 1 d.lgs. cit.)” ovvero con il versamento della prima rata e con la prestazione della garanzia, previsti dall’art. 8, comma 2″.
Sicche’, nella fattispecie, non essendo stata accettata dall’Ufficio la garanzia fideiussoria e non essendo sufficiente la mera sottoscrizione dell’accertamento con adesione, presentata dalla contribuente, la procedura non poteva considerarsi perfezionata (in termini, v. Cass. 26681/2009).
La prestazione della garanzia costituisce, infatti, in materia, un presupposto fondamentale e’d indefettibile e senza di essa la procedura di accertamento con adesione del contribuente non puo’ perfezionarsi ( Cass. 22510/2013).
Alla stregua di quanto sopra esposto, ad integrazione della motivazione della sentenza della CTP sul punto, il Collegio ritiene di avere qui ampiamente dato conto della legittimita’ dell’iniziale rifiuto dell’Ufficio a ritenere idonea la polizza fideiussoria C. a suo tempo presentata dalla contribuente.
Quanto poi all’avvenuto e successivo perfezionamento dell’accertamento con adesione in forza del d.l. 98/2011, e’ utile rilevare come i primi giudici si siano limitati a dare atto che il sopravvenire della novella legislativa aveva solo consentito il perfezionamento della detta procedura (p. 2 della sentenza) tant’e’ che la stessa appellante ha riconosciuto il fatto che la nuova disciplina appaia piu’ favorevole perche’ permette di accedere in maniera agevolata al beneficio dell’accertamento con adesione anche senza la presentazione di una fideiussione” (p. 13 dell’atto di appello).
All’evidenza, sul punto, vi e’ una palese carenza di interesse ad impugnare da parte della V.
Rimane da esaminare la questione della dedotta irretroattivita’ delle disposizioni sanzionatorie ex dl 98/2011 che, a dire dell’appellante, in quanto emanate nel luglio 2011, erano state erroneamente applicate ad un atto di accertamento per adesione sottoscritto antecedentemente (11.3.120911) con conseguente inosservanza del principio di legalita’, previsto dall’art. 3 d.lgs. n. 472/1997.
Piu’ precisamente con la doglianza in esame la contribuente ha contestato il fatto che l’Ufficio abbia provveduto “unitamente al recupero delle rate non pagate” ad applicare, in conformita’ al disposto di cui all’art. 8 , comma 3 bis, L. n. 98/2011, la sanzione pari al 60% delle somme residue.
La censura non e’ condivisibile, per intervenuta acquiescenza e, comunque, per carenza di interesse.
Infatti, come evidenziato a p. 9 delle controdeduzioni dell’Ufficio, la contribuente nulla ha obiettato ed impugnato, a seguito della comunicazione di avvenuto perfezionamento dell’adesione ex d.l. 98/2001, accettando, quindi, in blocco (sanzioni comprese) l’applicazione della nuova normativa (peraltro piu’ favorevole) e che se non applicata avrebbe fatto rivivere l’accertamento tributario originario ben piu’ penalizzante.
Sul punto non vi e’ contestazione e, quindi, anche tale doglianza (per pretesa violazione del principio di legalita’ in tema di sanzioni) deve essere disattesa.
In senso sostanzialmente conforme, v. Cass. 6340/2016, secondo cui , in tema di sanzioni tributarie relative ad imposte dirette, una disciplina normativa nuova non viola il principio di stretta legalita’ ex art. 3 d.lgs. n. 472/1997 allorquando si traduca in un comportamento meno gravoso per il contribuente rispetto alla previgente disciplina.
Ebbene, nella fattispecie, come bene osservato dall’Ufficio appellato (ibidem, p. 9), l’intervento normativo ex di. 98/2011, lungi dal costituire un trattamento peggiorativo, costituisce applicazione di una sorta di favor rei in considerazione del fatto che l’applicazione della disciplina ratione temporis avrebbe di reso di fatto inefficace l’adesione e fatto rivivere l’accertamento tributario originario”.
Riepilogando, il secondo motivo di gravame deve essere rigettato in toto.
Passando all’esame del terzo motivo di gravame (pp. 14/23 dell’atto di appello) con cui la contribuente ha contestato l’applicazione della sanzioni, stante la inesistenza del requisito soggettivo della colpevolezza e, comunque, eccepito la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 472/1997, il Collegio osserva quanto segue.
All’uopo, la V ha sostenuto che la sua adesione alla definizione agevolata dell’obbligazione tributaria e la insussistenza dell’elemento soggettivo della colpa – dimostrata dalla mole di documenti depositati in giudizio ed “evidentemente” non esaminata dalla CTP- avrebbero dovuto portare i primi giudici ad escludere il requisito della colpevolezza (ibidem, p.15).
Piu’ precisamente, la contribuente si e’ dilungata, per giustificare il mancato pagamento del debito tributario personale, in una unilaterale e complicata ricostruzione della vicenda, basata, in buona sostanza, sulla circostanza che l’obbligazione della V verso il Fisco rientrasse in un piu’ ampio contesto di pretese tributarie nei confronti delle societa’ familiari del c.d. GB (operanti a Pomezia nel settore delle costruzioni e nella vendita di mobili ed arredi), che il pagamento integrale dei debiti erariali poteva essere effettuato escutendo la garanzie immobiliari aziendali rilasciate dalla societa’ CO (facente parte del menzionato Gruppo e proprietaria di un immobile ad uso commerciale sito in Pomezia di oltre 12.000 mq) e previa liberazione dei sequestri preventivi delle quote sociali, disposti dalla Procura della Repubblica di Velletri, su richiesta dell’Agenzia delle Entrate, «al fine di permettere lo sblocco dei finanziamenti bancari e, quindi, delle Entrate, «al fine di permettere lo sblocco dei
finanziamenti bancari e, quindi, l’adempimento dei debiti erariali.
Al riguardo, la stessa appellante, nel tentativo di scagionarsi, ha incidentalmente riconosciuto la fittizieta’ dei movimenti bancari (definiti meri giroconti) verificati dalla Guardia di Finanza (ibidem, p. 16) in quanto gran parte delle movimentazioni bancarie considerate … era riferibile a numerose operazioni poste in essere al solo fine di dimostrare alla Banca X ” per le valutazioni sul merito creditizio dei soggetti affidati — una- vitalita’ operativa delle societa’ del Gruppo non corrispondente alla realta’”.
In tale contesto, le argomentazioni difensive dell’appellante sono prive di qualsiasi valore esimente e non in grado di scalfire gli addebiti di colpevolezza a lei mossi.
Ed, invero, il dato di fatto incontrovertibile da cui partire e’ che la richiesta di Pagamento portata dalla cartella “riepilogativa” qui impugnata trovava il suo legittimo presupposto nel recupero delle imposte e delle sanzioni come da accordo sottoscritto e perfezionato in adesione dalla contribuente e dal mancato deliberato pagamento delle rate successive alla prima, con conseguente, iscrizione a ruolo delle residue somme dovute al Fisco e delle connesse sanzioni ex art. 8, comma 3 bis Dlgs. n. 218/1997.
In altri termini, il mancato pagamento delle rate successive alla prima, una volta perfezionata la .procedura di accertamento per adesione, deve considerarsi, a tutti gli effetti, comportamento volontario e colpevole, con conseguente legittima irrogazione effetti, comportamento volontario e colpevole, con conseguente legittima irrogazione delle relative sanzioni:
Nella fattispecie deve, quindi,trovare applicazione il principio fissato da Cass. 13755/2013, secondo cui, in materia di violazioni tributarie punite con sanzioni amministrative, non e’ sufficiente la mera volontarieta’ del comportamento sanzionato, ma e’ richiesta anche la colpevolezza del contribuente cui deve potersi rimproverare di avere tenuto una condotta, se non necessariamente dolosa, quanto meno negligente.
L’art. 6 d.lgs n. 472/1997 che regolamenta la materia deve tuttavia essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi (coscienza e volonta’) senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che detta norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di avere agito senza colpa.
Ebbene, nella fattispecie, nessuna prova liberatoria a fini esimenti e’ stata offerta dal contribuente, – con conseguente applicabilita’ dell’invocato art. 5 d.lgs.n. 472/1997, sulla base della dedotta mancata previa escussione, da parte del Fisco, delle garanzie immobiliari rilasciate dalla societa’ collegata Center Office a saldo del debito tributario.
In proposito, persuasiva appare l’osservazione spiegata a p. 10 delle controdeduzioni dell’Uffibio, rilevando, come al di la’ delle petizioni di principio dell’appellante, i beni di CO posti a garanzia del pagamento, fossero liberi da sequestri e potessero essere alienati e che, quindi, nulla ostava all’adempimento dell’obbligazione tributaria gravante sulla V, a conferma della consapevole e volontaria scelta personale di quest’ultima (collegata del Gruppo societario di riferimento) di sottrarsi al pagamento integrale del debito fiscale, onorato solo in Parte (con la corresponsione della prima rata).
In conclusione anche il terzo motivo di impugnazione deve essere rigettato.
Ancora: con il quarto motivo (pp. 23/26 dell’atto di appello) la V ha eccepito lacarenza di motivazione della sentenza in relazione all’iscrizione a ruolo straordinario, con riferimento alle annualita’ 2005 e 2006, per essere stata la sua domanda sul punto definita dalla CTP inammissibile per carenza di interesse.
La doglianza e’ destituita di fondamento.
Preliminarmente devono essere dichiarate inammissibili ex art. 57 d.lgs. n. 546/1992 tutte le diffuse argomentazioni difensive ed eccezioni nuove, dedotte per la prima volta in fase di gravame dalla contribuente.
Al riguardo, fermo restando che la Originaria censura, spiegata dalla V in primo grado in poche righe, doveva essere dichiarata ictu oculi inammissibile dalla .CTP per evidente genericita’ (p. 28 del ricorso) e non per carenza di interesse, non sembra dubitabile che i primi giudici abbiano, comunque, dato ampiamente conto in sentenza (p.2) della legittimita’ dell’operato, per cosi dire vincolato, dell’Ufficio.
Infatti, nel caso di specie, l’iscrizione a ruolo straordinario ex art. 15 bis DPR 602/1973 e’ stata effettuata non gia’ in sede di riscossione frazionata di un atto impositivo” come lasciato intendere a p. 24 dell’atto di appello, con conseguente necessita’ di motivare il fondato pericolo per la riscossione (art.11 DPR 602/1973)” ma in base alla conciliazione giudiziale, rimasta poi inottemperata dalla contribuente (p. 2 della sentenza della CTP).
All’uopo, non si dimentichi che con riferimento alle annualita’ 2005 e 2006, nelle avvertenze standard dell’atto di conciliazione, era espressamente previsto che il mancato pagamento della rata avrebbe comportato l’applicazione del regime previsto dall’art. 48; comma 3 bis del d.lgs. n. 546/1992.
Anche sotto questo profilo, percio’, il motivo di gravame della contribuente deve essere respinto, non sussistendo alcun vizio di motivazione sul punto.
Infine, con il quinto ed ultimo motivo (pp. 26/27 dell’atto di appello) la V ha lamentato l’omessa pronunzia della CTP sulla sua domanda subordinata di riduzione della pretesa tributaria, in forza:del rilievo da essa proposto, nel ricorso di primo grado, in punto di violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 218/1997, per esserle stata irrogata una sanzione esorbitante rispetto a quella dovuta.
Piu’ precisamente, per l’appellante, la sanzione prevista dall’art. 8 cit. “…avrebbe dovuto essere applicata unicamente sulle somme dovute a titolo di tributo, senza le sanzioni ed interessi determinati a titolo di adesione e conciliazione”.
La censura e’ generica e, come tale inammissibile, non avendo l’interessata specificatamente chiarito e quantificato la divergenza contabile tra la misura sanzionatoria applicata dall’Ufficio ed il valore, a suo dire, inferiore che si sarebbe ricavato, applicando il criterio da essa indicato.
In ogni caso, anche sotto l’aspetto dell’an debeatur, del tutto errata appare l’interpretazione riduttiva dell’art. 8 cit., offerta dall’appellante: l’Ufficio ha spiegato, a pag. 11 delle controdeduzioni, il criterio sanzionatorio applicato, sul presupposto della definitivita’ ed irrevocabilita’ degli importo dovuti mediante accertamento con adesione ( Cass. 9847/2016).
Alla stregua di quanto sopra esposto, va, quindi, dichiarata inammissibile “per incertezza dei motivi di impugnazione sull’an e sul quantum” la domanda subordinata dalla contribuente di riduzione della pretesa tributaria, azionata dall’Ufficio.
In conclusione, la sentenza della CTP e’ meritevole di integrale conferma ed in tale pronunzia di merito resta assorbita l’istanza accessoria di sospensiva dell’esecutorieta’ dell’atto impugnato e della decisione di prime cure (p. 27 e ss. Dell’atto di appello).
Le spese di lite del grado “liquidate pro quota e per intero, nella misura di euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori, in favore di ciascuna parte appellata (Ufficio ed Equitalia)” seguono la soccombenza della V.
Quest’ultima deve essere, inoltre, dichiarata tenuta al versamento dell’ulteriore pagamento del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater DPR 115/2002.
PQM
Rigetta l’appello. Condanna il contribuente a rifondere le spese del grado, liquidate pro quota in euro4.000,00 oltre accessori. Sussistono i presupposti per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.
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