COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sez. 1 sentenza n. 4102 depositata il 6 luglio 2017
Violazioni tributarie e sanzioni – Infedeltà dichiarativa – Sentenza di condanna del Tribunale – Esclusiva responsabilità del management – Inapplicabilità nei confronti della Società
Massima:
Sulla base del principio del favor rei, considerato che il Tribunale con sentenza penale ha riconosciuto sussistente in capo al management di una Società in amministrazione controllata la condotta illecita dissipativa che aveva determinato i recuperi operati dall’Ufficio, le sanzioni tributarie vanno poste a carico del management e non della società. (G.T.)
Testo:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate -Ufficio Grandi Contribuenti- con l’Accertamento in epigrafe rettificava la Dichiarazione presentata per l’anno di imposta 2003, dalla società “XXXX” in Amministrazione Straordinaria. La ripresa traeva origine dal P.V.C. redatto dalla Guardia di Finanza di Roma, in esito alla chiusura di indagini di PG, svolte su delega della Procura di Roma, mirate a far luce sulla gestione della vecchia Compagnia di Bandiera a seguito della sentenza del Tribunale Fallimentare di Roma che ne aveva dichiarato lo stato di insolvenza, per riscontrare ipotesi delittuose di cui all’art. 216 R.D. 267/42. Nel corso dell’attività investigativa, si accertava la diffusa malagestione della Compagnia per gli esosi compensi al management, per la dissennata gestione del personale, per gli spropositati oneri di consulenza, per l’ antieconomicità della gestione di fornitura catering di bordo, per le dismissioni di velivoli e per la gestione abnorme del settore Cargo.
Su tali presupposti, i Verificatori, in considerazione dell’antieconomicità dei predetti atti di gestione ed in considerazione del consolidato orientamento giurisprudenziale in merito all’impossibilità di riferire all’impresa costi che non possano ritenersi funzionali al risultato economico perseguito, per radicale non inerenza, proponevano il recupero a tassazione dei maggiori costi contrassegnati dalla evidenziata “abnormità economica” e delle maggiori componenti positive di reddito, connesse ad operazioni contrarie ai canoni dell’economicità. Conseguentemente, l’Ufficio, preso atto dell’ingente danno all’erario tale da far assurgere le violazioni fiscali, nel periodo di imposta, a penale rilevanza in misura ampiamente eccedente il limite di cui all’art. 4 del D.Lgs 74/00, rettificava, con riferimento all’anno 2003, la perdita contabilizzata dalla società, recuperando a tassazione costi e determinando maggiori imposte dovute, oltre sanzioni ed interessi. In particolare, i recuperi riguardavano
1) la cessione della partecipazione detenuta nella società “YYY”, in relazione alla quale veniva contestata una plusvalenza pari ad euro 23.422.882,72;
2) l’esorbitante importo contabilizzato per consulenze ;
3) le perdite derivanti dalla malagestione del settore cargo;
4) i rilevanti ed irragionevoli costi per il personale, derivanti da operazioni di incentivazione all’esodo per personale non incentivabile o già incentivato e poi riassunto e corsi di riqualificazione di personale subito dopo incentivato all’esodo;
5) maggiori costi sostenuti per il servizio di ristoro di bordo, rispetto all’offerta media nel settore;
6) l’iperbolico importo dei compensi pagati al management pur a fronte di perdite rilevantissime da questi prodotte nel corso del loro mandato.
Avverso l’Avviso di Accertamento proponeva ricorso la società “XXXX” in Amministrazione Straordinaria, opponendo censure di carattere pregiudiziale ed altre afferenti al merito del recupero; in particolare si contestava la tardività dell’Accertamento, per illegittima applicazione del raddoppio dei termini, inoltre si eccepiva la carenza di motivazione dello stesso, per insufficienza ed inadeguatezza del fondamento dei recuperi operati, contestando il presupposto della cosiddetta antieconomicità, dal momento che tale criterio valutativo ha rilievo in ipotesi di abuso del diritto.
L’Ufficio contestava tutte le avverse doglianze e chiedeva il rigetto del ricorso.
La C.T.P. rigettava le pregiudiziali di decadenza dall’attività accertativa per legittima applicazione del c.d. “raddoppio dei termini” e nel merito confermava i recuperi fondati sul rilievo dell’antieconomicità, ad esclusione di quello relativo alla plusvalenza derivante dalla dismissione del pacchetto azionario “YYY” e quello relativo al servizio di Catering. Inoltre abbatteva le sanzioni in relazione alla ripresa a tassazione dichiarata illegittima.
Avverso la sentenza propone appello principale (rga n. 9823/16) l’Agenzia delle Entrate che, pur ritenendo corretta e condivisibile la pronuncia di prime cure sul punto della ripresa relativa alla plusvalenza derivante dalla dismissione del pacchetto azionario “YYY”, ne lamenta l’erroneità in riferimento all’abbattimento del recupero dei costi relativi al servizio Catering. Osserva infatti che tale recupero originava dalle medesime contestazioni sollevate, sempre in termini di antieconomicità, per gli altri recuperi i quali, invece, avevano trovato pieno accoglimento.
Ribadisce, peraltro, il totale disallineamento di tali costi con i normali criteri di gestione economica.
Nè può applicarsi fondatamente nella specie, diversamente da come sostenuto in prime cure, il principio di neutralità dell’IVA. Lamenta altresì l’illegittimità della sentenza in punto dell’abbattimento delle sanzioni in relazione alla ripresa a tassazione dichiarata illegittima.
Con proprie controdeduzioni e memoria conclusionale la parte resiste.
Avverso la sentenza propone appello incidentale (rga n. 10355/16), con contestuale istanza di riunione, la società XXXX censurandone il contenuto, sia in merito alla statuizione sull’eccepita illegittimità dell’Accertamento per intervenuta decadenza dell’Ufficio, insistendo sulla violazione del raddoppio dei termini in specie con riguardo all’IRAP e censurandone altresì il contenuto con riguardo ai recuperi, ritenuti legittimi ai fini delle imposte dirette, dei costi, in quanto erroneamente qualificati come antieconomici, posto che l’Ufficio non dimostrava quale sarebbe stato il c.d. “costo normale”. Osserva inoltre che l’antieconomicità della componente negativa non costituisce circostanza sufficiente per provare, ex art. 39 co. 1 DPR 600173, la non inerenza della stessa. Dopo aver riesaminato, nel caso di specie, la portata di ogni costo recuperato, insiste per l’integrale annullamento dell’atto, in riforma dell’impugnata sentenza. Chiede altresì l’applicazione, nella specie, del principio del favor rei con riguardo alle sanzioni, osservando che la descritta condotta illecita dissipativa è stata attribuita, dal Tribunale di Roma con la sentenza r.g.n. 9618713, pronunciata dalla VI Sez. Penale in data 10/10115, ai componenti del C.d. A. di XXXX e che tale condotta ha determinato i recuperi operati dall’Ufficio, per cui ogni responsabilità di infedeltà dichiarativa deve essere imputata solo al menagement e non alla contribuente XXXX.
L’Ufficio resiste con le proprie controdeduzioni.
La parte formula Memorie di replica insistendo sulla violazione del raddoppio dei termini in specie con riguardo all’accertamento della maggiore IRAP; insiste altresì sul principio della neutralità dell’IVA e sulla deducibilità dei costi afferenti alla commissione di un illecito, giusta art. 8, co. l del DL 16/12.
Durante la discussione pubblica l’Ufficio conferma di aver desistito dalle pretese plusvalenze, relative all’operazione “YYY” e precisa che, per l’anno 2003, non sussisteva il recupero relativo alle consulenze il quale, pertanto deve ritenersi abbandonato. Insiste invece sulla fondatezza delle censure mosse avverso la sentenza, in specie con riguardo ai costi del catering di bordo, in quanto contrassegnati dai medesimi criteri di antieconomicità degli altri costi. Precisa altresì che il costo non inerente, non è neutro ai fini dell’IVA. Precisa altresì che l’antieconomicità non è sempre collegata con ipotesi di abuso del diritto, ma rileva in quanto fenomeno di interruzione del nesso di inerenza e determina la non deducibilità del costo. Insiste sulla legittimità del raddoppio dei termini anche in relazione ad accertamenti dell’Irap.
La società XXXX insiste sull’illegittimità del raddoppio dei termini e quindi sulla decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo, mentre nel merito insiste sulla correttezza della sentenza di prime cure con riguardo al recupero dei costi relativi al servizio catering, in applicazione del principio di neutralità dell’iva.
La Commissione, preliminarmente dispone la riunione dell’appello con r.g.a. n. 10355/16, all’appello più risalente distinto da r.g.a. n. 9823/16, per connessione oggettiva e soggettiva. Ancora preliminarmente, preso atto di quanto espresso dall’Ufficio la riguardo, ritiene rinunciate, le pretese impositive relative all’operazione “YYY” e quelle relative ai costi per consulenze.
Ciò posto, nel merito, preso atto delle censure mosse dalle parti avverso l’impugnata sentenza, ritiene entrambi gli appelli meritevoli di parziale accoglimento. In particolare:
con riguardo all’appello proposto dall’Ufficio, nel confermare la correttezza dell’impugnata sentenza sulla legittimità del raddoppio dei termini, in applicazione del principio del tempus regit actum e della irrilevanza della “successiva” estinzione del reato per prescrizione, posto che i presupposti del raddoppio, ex art. 331 cpp, sussistevano in origine; nel confermare altresì la correttezza della sentenza con riguardo al recupero a tassazione di tutti i costi, come recuperati dall’Ufficio, in quanto fondati sul rilievo dell’antieconomicità degli stessi la quale interrompe il nesso dell’inerenza del costo stesso (ex pluribus Cass. n. 3243/13), ritiene tuttavia meritevole di accoglimento la censura di erroneità e carenza di motivazione della sentenza sul punto della ritenuta deducibilità dei costi relativi al catering di bordo. Osserva infatti che i primi giudici i quali avevano riconosciuto la correttezza dei recuperi fondati sull’antieconomicità dei costi, non chiariscono perché il recupero riguardante i costi di catering, peraltro ugualmente caratterizzati dall’esorbitanza e dalla antieconomicità, debba differenziarsi dagli altri. Si ritiene invece che, diversamente da come ritenuto in prime cure, anche tale costo sia stato legittimamente recuperato a tassazione dall’Ufficio, in quanto l’antieconomicità dello stesso ha interrotto il nesso dell’inerenza. Nè può condividersi l’annullamento operato dai primi giudici per il principio della neutralità dell’IVA, poiché l’indetraibilità dell’iva deriva dal fatto che i costi non inerenti non sono più configurabili come costi dell’impresa e come tali, non soggiacciono alla regola della neutralità.
Con riguardo all’appello proposto dalla parte contribuente, nel confermare la correttezza dell’impugnata sentenza su tutti i punti di cui avanti, respinge altresì la doglianza relativa all’inapplicabilità del raddoppio dei termini di accertamento con riguardo all’imposizione Irap, in quanto doglianza proposta per la prima volta in questo grado di appello, in violazione dell’art. 57 del D. lgs. 546/92. Si accoglie, invece, il motivo di appello riguardante l’abbattimento delle sanzioni, ritenendosi condivisibile l’applicazione, nella specie, del principio del favor rei, posto che la descritta condotta illecita dissipativa è stata attribuita, dal Tribunale di Roma con la sentenza r.g.n. 9618713, pronunciata dalla VI Sez. Penale in data 10/10/15, ai componenti del C.d. A. di XXXX e che tale condotta ha determinato i recuperi operati dall’Ufficio, per cui ogni responsabilità di infedeltà dichiarativa si ritiene che debba essere imputata solo al menagement e non alla contribuente XXXX.
Le spese di giudizio si compensano tra le parti, in considerazione della complessità della materia trattata e del parziale accoglimento degli appelli.
Riuniti gli appelli, accoglie parzialmente l’appello dell’Ufficio e di XXXX, come in motivazione. Spese compensate.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2017
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