COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sez. 16 sentenza n. 1037 depositata il 7 marzo 2017
Accertamento, liquidazione e controlli – Avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine di 60 giorni previsto per l’emanazione – Ipotesi non rientrante nelle previsioni dell’art. 12, co. 1, legge n. 212/2000 – Legittimità
Massima:
In tema di diritti e garanzie del contribuente l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dall’ art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, comporta un vizio di legittimità dell’atto impositivo nella sola ipotesi in cui l’avviso di accertamento sia stato preceduto da accessi, ispezioni o verifiche nei locali destinati all’esercizio dell’attività controllata, come previsto dal comma 1 del medesimo art. 12. Non sussistendo nella fattispecie le circostanze previste dal comma 1 dell’art 12 della legge n 212 del 2000, il successivo comma 7 dell’art. 12 non può trovare applicazione ed è pertanto legittimo l’avviso di accertamento. (G.T.)
Riferimenti normativi: art. 12, co. 1 e 7, legge 27 luglio 2000, n. 212;
Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni unite, sentenza 29 luglio 2013, n. 18184.
Testo:
L’Agenzia delle Entrate propone appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina, Sezione 3, 16 aprile 2014 n. 795/03/14, con la quale è stato accolto il ricorso della signora N. S. avverso un avviso di accertamento IRPEF ed addizionali per l’anno 2006.
Detto accertamento riguardava, in particolare, operazioni non giustificate per euro 327.610,09 (da indagini finanziarie), redditi di partecipazione (ad una società in accomandita semplice, nella misura del 32%) per euro 7.481,60, e redditi di lavoro dipendente per euro 15.853,00. Il tutto in assenza della prescritta dichiarazione annuale dei redditi.
L’Agenzia delle Entrate dichiara di avere attivato il contraddittorio, soprattutto per permettere alla contribuente di giustificare le poste dei conti correnti bancari in ordine ai quali era avvenuto l’accertamento.
A seguito dell’avvenuta notifica dell’avviso di accertamento, la contribuente produceva istanza per la definizione con adesione che, però, non giungeva a buon fine.
Di qui, la proposizione del ricorso che veniva accolto dalla CTP sul presupposto che non era stato rispettato il termine di 60 giorni dalla conclusione dell’istruttoria, senza che sussistessero ragioni di urgenza, secondo quanto previsto dall’art. 12 dello Statuto del contribuente.
Deduce la violazione della norma da ultimo citata, la quale troverebbe applicazione esclusivamente alle ipotesi di accertamenti effettuati in base a verifiche esterne, in ordine alle quali, prima di adottare un atto di accertamento, il contribuente va coinvolto per consentirgli di esprimere il suo avviso in proposito e, quindi, le proprie difese.
Nella specie, per converso, non vi sarebbe stata alcuna attività ispettiva, ma esclusivamente un accertamento “a tavolino”, i cui resoconti cartacei si ridurrebbero ai verbali delle sedute in contraddittorio fra l’Amministrazione ed il contribuente. In tal senso sarebbe la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr., sentt., n. 6088/2011 e SS.UU. 29 luglio 2013 n. 18184).
Sul piano sostanziale, si osserva che alcuna violazione del principio del contraddittorio procedimentale si sarebbe verificata nella specie.
Non risulta costituita in giudizio la contribuente.
All’udienza del 13 febbraio 2017 la causa è passata in decisione.
L’appello è fondato.
Deve osservarsi che la sentenza impugnata si è limitata a rilevare la violazione dell’art. 12 dello Statuto del contribuente, nella parte in cui prevede che l’avviso di accertamento non possa essere emanato prima della scadenza del termine di 60 giorni riservato al contribuente per la presentazione di osservazioni e richieste, a seguito del rilascio da parte dell’Ufficio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo.
Una volta constatata la fondatezza del motivo di doglianza riguardante l’aspetto procedimentale, la Commissione tributaria provinciale si è posta il problema se affrontare le
doglianze di merito portate al suo esame, concludendo per l’assorbimento delle stesse a cagione della decisione in rito che andava ad assumere.
Pertanto, la questione da affrontare in questa sede riguarda, solo ed esclusivamente, la corretta applicazione dell’art. 12 anzidetto.
Il primo Giudice ha dato atto che la sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite, 29 luglio 2013 n. 18184 aveva limitato l’ambito di operatività della norma invocata dalla contribuente, ma se n’è dichiaratamente discostato, affermando che il suddetto termine dilatorio troverebbe applicazione a tutte le tipologie di avvisi di accertamento. In tal modo, la CTP ha inteso valorizzare la giurisprudenza precedente al suddetto arresto della Suprema Corte.
Il Collegio reputa più corretta ed aderente ai principi la soluzione raggiunta dalle Sezioni Unite nella suddetta sentenza.
Deve precisarsi, peraltro, che la decisione testé citata ha inteso affrontare e risolvere un unico punto di diritto, concernente gli effetti dell’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento e, precisamente, se detta inosservanza comporti un vizio di legittimità dell’atto impositivo che può essere fatto valere dal contribuente al fine di ottenere l’annullamento dell’atto stesso.
E’ solo su questo aspetto, dunque, che si sostanziava il contrasto di giurisprudenza che le Sezioni Unite intendevano comporre.
Nessun dubbio, invece, sussisteva in ordine all’applicazione della norma recata dal comma 7 dell’art. 12 ai soli avvisi di accertamento preceduti da accessi, ispezioni o verifiche nei locali destinati all’esercizio dell’attività controllata; ciò, in quanto il disposto del comma 7 si salda con quanto previsto dal comma 1 del medesimo art. 12, che regola segnatamente (ed esclusivamente) “gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”…”effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo.”
E’ solo per le suddette ipotesi, pertanto, che si applica il principio di diritto fissato dalla Suprema Corte in ordine all’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus.
L’appello va, pertanto, accolto.
Le spese di giudizio vanno poste a carico della parte soccombente e liquidate come in dispositivo.
accoglie l’appello dell’Ufficio e condanna il contribuente al pagamento di euro 2.000,00 per spese.
Roma, 13 febbraio 2017