COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sez. 35 sentenza n. 3352 depositata il 9 giugno 2017
Accertamento, liquidazione e controlli – Definitività accertamento s.n.c. – Cartella di pagamento nei confronti del socio solidalmente responsabile – Impugnazione nel merito – Ammissibilità – Sussiste
Massima:
Il socio di una società in nome collettivo, mediante l’impugnazione del primo atto della riscossione notificatogli, quale responsabile in solido, ai sensi dell’art. 2291, primo comma, c.c., per il pagamento dei tributi accertati in capo alla società, è comunque legittimato a far valere tutte le ragioni che, anche nel merito, avrebbe potuto opporre all’avviso di accertamento sociale, pur in presenza di un ricorso della società che sia stato precedentemente dichiarato inammissibile. (A.T.)
Riferimenti normativi: art. 2291 c.c., d.P.R. n. 600/73, art. 40, d.lgs. n. 546/92, art. 19
Testo:
L’Agenzia delle Entrate notificava al signor P. G., nella qualità di socio solidalmente responsabile, la cartella di pagamento n. 09720050128023456/002 per IVA e IRAP anno 1998, iscritte a ruolo dall’Ufficio e dovute dalla Società XXXX di F. C. e C. snc. a seguito di sentenza n. 495/22104 depositata il 01.02.2005, della C.T.P. di Roma, con la quale veniva dichiarato inammissibile, per motivi procedurali, il ricorso proposto dalla società stessa contro l’avviso di accertamento n.832020010049, emesso neiconfronti della sola società.
Il P. ricorreva tempestivamente avverso la suddetta cartella di pagamento ai sensi dell’art. 19, 3° comma, D.Lgs. n. 546 del 1992. Rappresentando, in particolare, la mancata notificazione dell’accertamento posto a base della pretesa e la mancata partecipazione sia all’accertamento operato nei confronti della società, sia al giudizio definito con la citata sentenza n. 495/22/04, il ricorrente chiedeva che venisse pronunciata la nullità della cartella impugnata con sospensione della escussione coattiva dell’imposta e contestava, nel merito, i presupposti dell’obbligazione.
Con sentenza n. 298/15/06 depositata il 29.09.2006 la C.T.P. di Roma rigettava il ricorso sulla base dei seguenti motivi:
- Il socio di società in nome collettivo è personalmente ed illimitatamente responsabile per tutte le obbligazioni della società, così che il socio, dopo l’iscrizione a ruolo a carico della società, resta sottoposto all’esazione del debito anche se estraneo agli atti impositivi.
- L’obbligazione solidale del socio ha assunto i caratteri della definitività a seguito della pronuncia di inammissibilità del ricorso della società avverso l’atto di accertamento , per cui è inammissibile il motivo di impugnazione del socio che attiene al merito dell’accertamento.
- L’emissione della cartella non costituisce l’inizio dell’esecuzione, per cui non necessita della prova della preventiva escussione del patrimonio sociale.
Avverso detta sentenza il signor P. presentava appello deducendo seguenti motivi di gravame:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 19, 3° comma, del d.lgs. n. 546 del 1992;
Violazione dell’art. 40, comma 3, del DPR n.600/’73;
Illegittimità dell’iscrizione a ruolo per inosservanza della disciplina prevista dall’art. 1292 e.e.;
Illegittimità del ruolo per nullità del giudizio tributario societario, instaurato e celebrato senza i litisconsorti necessari;
In via subordinata, illegittimità della iscrizione a ruolo delle sanzioni a carico del socio in quanto relative a violazioni commesse dal rappresentante/responsabi le della società partecipata;
Questione di legittimità costituzionale dell’art.2291 e.e.in riferimento all’art. 53 Cost.;
Incompatibilità dell’art. 2291 e.e. con la direttiva n. 77/388/CEE;
Nel merito, illegittimità e infondatezza dell’accertamento societario.
La CTR di Roma, con sentenza n. 190/09/07 del 24/01/08 rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado, ritenendo corretto quanto affermato dai primi giudici circa la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali del socio della società in nome collettivo, signor G. P..
Avverso detta sentenza il contribuente presentava ricorso in Cassazione deducendo :
1.Violazione e falsa applicazione dell’art. 19, 3° comma del d.lgs. n. 546/92, per la omessa motivazione, da parte della CTR, in relazione al merito dell’accertamento, nonché sull’ammissibilità del ricorso avverso la cartella di pagamento ed anche l’avviso di accertamento societario presupposto;
2.Violazione e falsa applicazione dell’art. 40, comma 3°, del DPR n. 600/73 e dell’art. 14 d.lgs. n. 546/’92, per avere la sentenza di seconde cure rigettato l’appello ritenendo legittimo l’operato dell’amministrazione che ha notificato l’avviso di accertamento societario alla sola società e non anche ai soci, e per aver ritenuto opponibile al socio il giudicato, posto a base della cartella, formatosi solo nei confronti della società, in violazione del litisconsorzio originario necessario;
3.Violazione e falsa applicazione dell’art. 1292 e.e. e ss. e dell’art. 1306 e.e., per avere la sentenza di secondo grado rigettato l’appello ritenendo legittimo il comportamento dell’Amministrazione finanziaria, dinotifica dell’atto impositivo alla sola società e non anche ai soci e per non avere valutato che – notificando al solo ricorrente la cartella con l’intimazione del pagamento del debito erariale societario – l’Amministrazione ( a mezzo dell’agente della riscossione) avrebbe violato la piena autonomia dei rapporti tra creditore e ciascuno dei condebitori e della non comunicabilità agli altri debitori degli effetti pregiudizievoli degli atti compiuti nei confronti del condebitore solidale;
4.Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 e.e., suglieffetti del giudicato;
5.Violazione e falsa applicazione dell’art. 41 comma 2, del D.L. n. 331/’93, sulla doppia imposizione;
6.Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 472/’97 e dell’art. 11 del D.Lgs. n. 471 del 1997, sulla irresponsabilità del socio per le sanzioni per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della società.
La Suprema Corte di Cassazione, sez. trib., con sentenza n. 23544/ 15 depositata il 18.11.2015, accoglieva i primi tre motivi del ricorso, assorbiti gli ulteriori tre motivi, cassava la sentenza impugnata e rinviava ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, rilevando, in particolare, che la CTR era incorsa in errore di diritto in quanto aveva rigettato l’appello del socio senza esaminare le censure da questo formulate nei confronti della società, e quindi ai motivi di impugnazione dell’avviso, atto non notificatogli ma prodromico alla cartella di pagamento a lui invece notificata, in violazione dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992.
Con atto depositato il 9 febbraio 2016 e notificato a tutte le parti originariamente citate il signor P. ricorre in riassunzione dinanzi a questa Commissione tributaria regionale affinché vengano riesaminate nel merito le domande proposte nel gravame, secondo i principi di diritto affermati dai giudici di legittimità; a tale scopo, riproduce i motivi di appello originariamente proposti – sopra richiamati – nonché nuovi motivi. In particolare, il contribuente deduce:
a.In via preliminare e pregiudiziale, la nullità del procedimento tributario in prime cure della società per mancanza di integrazione del litisconsorzio originario necessario e, quindi, la nullità della sentenza n.495/22/04 posta a base del ruolo; l’obbligo di notifica dell’atto di accertamento societario anche al socio e, su questo, l’intervenuta decadenza dell’Amministrazione;
b.Nel merito: la nullità dell’atto di accertamento societario presupposto alla cartella per difetto di sottoscrizione da parte del dirigente;
c.violazione e falsa applicazione dell’art. 19, terzo comma, del d.lgs. n. 546/’92 stante la legittimità dell’impugnazione, da parte del socio, dell’atto di accertamento societario, a lui non notificato, unitamente alla cartella di pagamento notificatagli
d.Violazione e falsa applicazione dell’art. 40, comma 3, del DPR n. 600 del 1973 per la legittimità dell’impugnazione proposta contro l’avviso di accertamento;
- Illegittimità dell’iscrizione a ruolo per inosservanza della disciplina ex art. 1292 e.e. e 1306 e.e.
- Illegittimità dell’iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento nei confronti del socio o, in subordine, illegittimità dell’iscrizione a ruolo per le sanzioni;
- Illegittimità dell’iscrizione a ruolo nei suoi confronti , poiché la responsabilità solidale ed illimitata dei soci ex art. 2291 e.e. può essere fatta valere solo nella fase di esecuzione e solo previa prova della preventiva escussione della società da parte dell’Amministrazione finanziaria;
- Illegittimità dell’iscrizione a ruolo delle sanzioni, in quanto derivanti da comportamenti e violazioni imputabili alla società;
- Questione di legittimità costituzionale dell’art. 2291 e.e. in riferimento alla Direttiva n. 77/388/CE, in quanto la responsabilità solidale prevista dall’art. 2291 e.e. per i soci di società in nome collettivo, qualora venisse estesa anche all’IVA, introdurrebbe una figura di debitore di imposta diversa da quella prevista dalle norme comunitarie;
- Nel merito, errata considerazione da parte dei primi giudici degli acquisti di auto usate quali operazioni intracomunitarie, con la conseguente erronea applicazione dell’IVA al 20% sulle vendite, calcolando l’imposta sul prezzo di vendita pieno e non invece scorporandolo dal margine; erronea determinazione della base imponibile IVA e IRAP.
Il ricorrente in riassunzione formula le seguenti richieste conclusive:
- Rilevare e dichiarare d’ufficio la nullità del processo di primo grado celebrato a seguito di ricorso della società in nome collettivo XXXX avverso l’avviso di accertamento e senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari ed in particolare del P. G.;
- Rilevare d’ufficio e dichiarare la nullità della relativa sentenza n. 495/22/04 emessa in data 5.10.2004;
- Rilevare d’ufficio e dichiarare l’Amministrazione finanziaria decaduta, nei confronti del socio P. G., dal potere di accertamento operato nei confronti della sola società, per decorrenza del termine prescritto per la notificazione di detto accertamento;
- Nel merito:
- Dichiarare l’illegittimità ed infondatezza della cartella di pagamento impugnata e per l’effetto annullarla perché basata su sentenza nulla, emessa a seguito di giudizio nullo perché celebrato senza la partecipazione ditutti i litisconsorti ;
- Dichiarare nullo l’avviso di accertamento per carenza del potere di firma dirigenziale del sottoscrittore e per l’effetto dichiarare nulla o annullare la
cartella impugnata;
- Annullare o dichiarare l’inefficacia dell’avviso di accertamento;
- Annullare o dichiarare inefficace l’iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento impugnata e dichiarare non dovuta alcuna somma di denaro;
In subordine: dichiarare non dovute le somme iscritte a ruolo a titolo di sanzione, pari ad euro 299.559,46;
- Dichiarare non dovute le somme iscritte a ruolo a titolo di imposta sul valore aggiunto e relativi interessi, pari a complessivi euro 42.984,36 più le relative sanzioni.
- Con vittoria dispese, diritti ed onorari di giudizio.
Si è costituita l’Agenzia delle Entrate, sostenendo, in sintesi:
- l’assenza di litisconsorzio necessario originario tra la società ed i soci nella fattispecie all’esame; ciò, tuttavia, ad avviso dell’Ufficio non esclude che la sentenza emessa nei confronti della società in nome collettivo spieghi, quale titolo esecutivo, effetti riflessi anche nei confronti del socio illimitatamente responsabile, e ciò anche quando lo stesso non sia stato citato in giudizio. .
- l’inammissibilità del motivo sulla sottoscrizione dell’atto di accertamento societario da parte del dirigente in quanto proposto per la prima volta con il ricorso in riassunzione e, comunque, sua infondatezza nel merito;
-inapplicabilità nella specie dell’art. 2304 e.e. che prevede la preventiva escussione sui beni della società, ritenendo che la cartella impugnata non costituisca titolo esecutivo ma atto prodromico all’esecuzione coattiva;
-la responsabilità solidale del socio della s.n.c. sussiste anche per le sanzioni amministrative tributarie irrogate in capo alla società;
-nel merito della pretesa, l’Ufficio ha ribadito la correttezza del proprio operato, poiché in caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente medesimo ricorrendo anche a presunzioni semplici, salva la prova contraria intesa a dimostrare che quel reddito non è stato prodotto e che grava sul contribuente.
L’Ufficio ha concluso chiedendo il rigetto dell’appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- In ordine al primo motivo di appello, sulla sussistenza del litisconsorzio originario necessario tra la società ed il socio, questo Collegio di rinvio deve osservare che il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte di cassazione con la sentenza n. 23544/15 riguarda, in modo espresso, l’ammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente anche avverso l’atto di accertamento societario e quindi la censurabilità, ad opera del contribuente, del merito della pretesa originaria, contenuta nell’atto di accertamento societario, e non solo dei vizi afferenti alla cartella di pagamentoimpugnata in prime cure.
L’accoglimento di tale motivo, quindi, ha giustificato il rinvio a questa sezione del giudice di seconde cure, che dovrà quindi esaminare anche le censure di merito.
Il Collegio non ritiene, invece, che sia stata statuita dalla sentenza sopra citata anche l’illegittimità del ruolo contenuto nella cartella di pagamento quale conseguenza della presunta nullità della sentenza di prime cure n. 495/22/04 in ragione della mancata realizzazione del litisconsorzio originario necessario tra società e soci nel giudizio incardinato per effetto del ricorso della società avverso l’avviso di accertamento.
Tale motivo, infatti, ove accolto, in quanto dirimente ed assorbente rispetto agli altri fatti valere, avrebbe dovuto portare alla decisione della controvers ia nel giudizio di legittimità senza necessità di ulteriore rinvio per l’esame dei motivi di merito.
La Cassazione, con la sentenza sopra citata, ha infatti delegato questa Sezione all’esame dei motivi di merito della controversia, e a tal fine la Suprema Corte ha ribadito il principio della responsabilità solidale del socio per i debiti tributari di quest’ultima, anche se è rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo, senza che ne consegua una lesione del suo diritto di difesa potendo impugnare, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, unitamente all’avviso di mora anche gli atti presupposti – nella specie l’avviso di accertamento – che non glisono stati notificati (Cass. n. 25275/2014; n. 10584/2007).
Può pertanto ritenersi che – secondo quanto statuito dalla Suprema Corte – il su menzionato principio del litisconsorzio necessario originario non rileva, nella specie, ai fini di impedire una pronuncia nel merito della questione, dal momento che la salvaguardia del diritto didifesa è assicurata dalla tutela ad ampio spettro – non solo avverso la cartella esattoriale, ma anche avverso l’atto impositivo – riconosciuta al contribuente nel momento in cui l’Amministrazione finanziaria ha fatto valere la pretesa erariale nei suoi confronti.
- Quanto al motivo relativo alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento societario da parte del legittimo dirigente, il Collegio osserva che la censura è inammissibile in quanto proposta per la prima volta in appello. In ogni caso, la stessa si presenta infondata anche nel merito, dal momento che la giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che il principio della necessaria continuità della azione amministrativa e quello, più volte affermato, della recessività dei vizi formali del provvedimento amministrativo ogni volta che lo stesso abbia raggiunto lo scopo, inducono a sostenere che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla citata sentenza n. 37 del 2015, sottoscritti da soggetti che al momento rivestivano funzioni di capo dell’Ufficio ovvero di funzionari della terza area appositamente delegati, e dunque idonei a esprimere la volontà dell’Amministrazione nei rapporti esterni, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto di disposizioni successivamente censurate dalla Corte costituzionale.
- In ordine alla censura sulla necessità di preventiva escussione del patrimonio sociale, il Collegio rammenta che la Corte di Cassazione ha sostenuto che i creditori sociali possono agire nei confronti dei soci per munirsi del titolo esecutivo ed iscrivere così ipoteca giudiziaria sui loro immobili in modo che, risultando incapiente il patrimonio sociale, possano soddisfarsi prontamente su tali beni (Cass. n. 5434/2008). Applicando tali principi, la Suprema Corte ha giudicato legittima la cartella di pagamento notificata al socio, ritenendo evidentemente che l’atto impugnato sia solamente prodromico all’esecuzione coattiva, riunendo in sé le funzionidel titolo esecutivo e del precetto, con conseguente inapplicabilità, nella specie, dell’art. 2304 e.e.
4) Venendo al merito della pretesa, va ritenuto fondato il motivo secondo cuiil socio, mediante l’impugnazione del primo atto che gli è stato notificato, che per quanto attiene all’IRAP e all’IVA ed alle relative sanzioni si identifica nella cartella di pagamento di cui si discute, può far valere tutte le ragioni che avrebbe potuto opporre all’avviso di accertamento (Cass.trib., n. 10093 del 2003).
Osserva il Collegio che l’awiso di accertamento e la conseguente cartella di pagamento sono basati sul verbale di verifica redatto dai funzionari del Dipartimento delle Dogane e recepito dall’Agenzia delle Entrate, in cui emergeva che la XXXX di F. C. e C. s.n.c. non aveva presentato i corrispondenti elenchi riepilogativi degli acquisti intracomunitari previsti dall’art. 50, comma 6, del D.L. n. 331 del 1993. Dagli atti di causa emerge che la società, nell’anno 1998, aveva posto in essere operazioni di compravendita di auto usate provenienti dalla Germania, documentate da n. 16 fatture di acquisto e da altrettante n. 16 fatture di vendita.
La normativa di riferimento ai fini del rispetto delle prescrizioni IVA è rappresentata dall’art. 37 del D.L. n. 41/’95, che nell’ambito del regime dei beni usati disciplina le operazioni con l’estero. Al riguardo appare fondato il motivo di censura rappresentato dal contribuente, secondo cui in base alla disciplina di cui all’art. 37 del D.L. n. 41/’95 i relativi acquisti e cessionieffettuati nei confronti di soggetti residenti nei paesi UE con il regime del “margine”, non sono considerate operazioni intracomunitarie, per evitare una doppia imposizione, bensì operazioni interne da assoggettare all’imposta nel paese in cui risiede il cedente del bene stesso.
Non costituendo acquisti intracomunitari, pertanto, non vi è l’obbligo di presentazione degli elenchi riepilogativi INTRASTAT ai fini sostanziali, bensì il solo obbligo di presentazione a fini statistici. Ne consegue che la mancata presentazione di tali elenchi non può essere sanzionata alla stessa maniera.
Nella fattispecie in questione, la XXXX s.n.c., rivenditore nazionale, ha acquistato i beni assoggettati a tale regime del margine nel Paese del cedente, e pertanto non doveva integrare con IVA la fattura estera di acquisto, bensì doveva assoggettare la successiva rivendita al regime del margine vigente in Italia, di cui all’art. 36 del D.L. n. 41/’95, come correttamente indicato in fattura. Ad ulteriore riprova della correttezza del comportamento della società, il Collegio rileva che le fatture emesse dal cedente tedesco indicano che trattasi di beni usati, evidenziano sia la data di immatricolazione anteriore di oltre sei mesi che la percorrenza di più di 6.000 Km.
Pertanto la XXXX ha operato correttamente ed appaiono quindi non corretti gli importi indicati nell’avviso di accertamento e nella successiva cartella di pagamento quanto all’IVA da applicare per l’anno 1998, che invece va determinata non assoggettando all’aliquota del 20% le vendite effettuate calcolando l’imposta sul prezzo di vendita pieno, bensì va calcolata, in base al regime del margine, sottraendo al corrispettivo di vendita di ciascun bene il prezzo di acquisto, eventualmente aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie. Il margine così ottenuto va scorporato determinando l’imponibile e l’imposta dovuta; così che corretto appare il calcolo dell’IVA operato tenendo conto del margine di Lire 88.661.965, pari ad IVA per Lire 14.762.217.
5)Anche con riferimento alle presunte violazioni in materia IRAP, l’Ufficio ha calcolato l’imposta dovuta determinato la base imponibile induttivamente, stimando l’importo dei ricavi in Lire 1.145.546.000 applicando la percentuale del 20% al costo del venduto di Lire 954.622.000, rappresentato dagli acquisti delle auto usate. Osserva il Collegio che il ricorso al metodo induttivo non appare corretto, poiché si è in presenza di fatture di vendita e di acquisto anche in questa sede. Correttamente, quindi, il valore della produzione avrebbe dovuto essere quantificato non in Lire 189.423.580, bensì in Lire 73.899.748, pari cioè al valore del margine annuale.
Per le ragioni sopra esposte l’appello del contribuente merita accoglimento, con assorbimento degli ulteriori motivi di gravame. Va pertanto dichiarato illegittimo l’awiso di accertamento e la cartella di pagamento impugnata, rispetto alla quale l’avviso costituisce atto prodromico.
Per la complessità delle questioni trattate si dispone la compensazione fra le parti delle spese di lite.
La Commissione accoglie l’appello del contribuente. Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6.06.2016.
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