COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per le Marche sez. 1 sentenza n. 300 depositata il 30 maggio 2017
Accertamento sintetico redditometrico: valenza presuntiva dei coefficienti ministeriali
Massima:
Ai fini dell’accertamento condotto ai sensi dell’art. 38, comma 6, D.P.R. n. 600 del 1973, i coefficienti individuati dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992, hanno capacità presuntiva reddituale non contestabile dal giudice tributario, il quale può solo valutare la prova che il contribuente offre in ordine al fatto che il reddito così presunto o non esiste o esiste in misura ridotta.
Testo:
CONCLUSIONI DELLE PARTI:
Dell’appellante: “Chiede che l’On.le Commissione Tributaria Regionale adita in via preliminare, sospenda l’esecutività della sentenza impugnata ex art. 52, co. 2. d. lgs. 546/1992 per i motivi di cui in narrativa: –in via principale. voglia riformare la sentenza impugnata e dichiarare giuridicamente inesistenti e/o comunque nulli e/o in ogni caso illegittimi e quindi annullare gli avvisi di accertamento impugnati, in ogni loro parte, con ogni consequenziale pronunzia e statuizione. Con la condanna altresì alla restituzione, con rivalutazione ed interessi come per legge, di tutta la somma che, in pur denegata ipotesi, parte appellante fosse costretta a pagare per non subire l’esecuzione forzata o ad essa fossero coattivamente prelevate; condannare l’Agenzia delle entrate alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio, ivi compreso il costo dei contributi unificati.” – Dell’appellato: “Chiede a codesta onorevole Commissione Tributaria Regionale il rigetto dell ‘appello e la condanna del ricorrente alle spese di giudizio -“.
FATTO
Con ricorso depositato in data 1° dicembre 2016 P. O. ha proposto appello avverso la sentenza n. 169/2016, depositata il 2 maggio 2016, con cui la Commissione Provinciale di Macerata ha rigettato il ricorso avverso due avvisi di accertamento relativi alle imposte dirette per gli anni 2007 e 2008. In particolare l’Agenzia delle entrate di Macerata aveva accertato per detti anni uno scostamento tra il reddito dichiarato (euro 6.307,00 per il 2007 ed euro zero per il 2008) e quello determinato ai sensi dell’art. 38, commi 4, 5 e 6 del D.P.R. n. 600/1973 (c.d. redditometro), rispettivamente in euro, 78.150,00 ed euro 88.409,00. L’appellante ripropone in questa sede le censure sollevate in primo grado, censurando la sentenza come illegittima per aver ritenuto: 1) regolari le notifiche degli avvisi di accertamento, sebbene eseguite da un messo non munito di autorizzazione dell’ufficio; 2) sussistente la motivazione degli accertamenti pur se incongrua; 3) non significativi gli elementi addotti dall’appellante relativamente alle spese effettive di mantenimento dei beni. Pertanto ha concluso come in epigrafe. Si è costituita l’Agenzia delle entrate, con motivata memoria di controdeduzioni, concludendo come in epigrafe. Alla pubblica udienza odierna le parti hanno consentito anche alla discussione del merito della causa, oltre che dell’istanza di sospensione e, quindi, hanno illustrato oralmente i motivi a sostegno delle proprie richieste, come in’ epigrafe trascritte; all’esito la Commissione ha deciso la causa come di seguito esposto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è infondato per le ragioni che seguono.
1) Preliminarmente, quanto alle eccezioni di rito, va premesso che l’appellante riconduce alla categoria dell’inesistenza (così a pag. 3 dell’atto di appello) la notifica degli avvisi di accertamento, in quanto seguiti da messo notificatore privo di autorizzazione dell’Ufficio. Al riguardo la Commissione osserva che l’eccezione è infondata, in primo luogo in quanto l’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, soltanto in caso di totale mancanza materiale dell’atto (cioè quando venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione), ipotesi che non ricorre nel caso di specie. In secondo luogo, l’eventuale nullità delle notificazioni in questione si è sanata, a norma dell’art. 156, terzo comma c.p.c., per effetto del raggiungimento dello scopo, desumibile dalla tempestiva impugnazione da parte dell’appellante, estesa anche al merito della pretesa tributaria.
2) Quanto alla seconda eccezione osserva la Commissione che le censure relative all’asserito difetto di motivazione sono infondate, essendo noto che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente. In particolare osserva la Commissione che l’appellante alterna confusamente le censure alla motivazione sia con riguardo all’avviso di accertamento che alla sentenza; qui, ovviamente, interessano soltanto queste ultime censure, che, invero, sono infondate, atteso che i giudici di primo grado hanno chiaramente espresso, per ogni punto, le ragioni del rigetto del ricorso.
3) Quanto al merito della controversia l’appellante lamenta che la Commissione Provinciale abbia errato nel ritenere che il mancato utilizzo delle due imbarcazioni non costituisse elemento idoneo a contrastare la presunzione di capacità di spesa. Osserva la Commissione che la decisione di primo grado sul punto ha fatto corretta applicazione dell’art 38, comma 6, del D.P.R. n.600/1973, in quanto il procedimento disciplinato da detta norma attribuisce all’Amministrazione finanziaria il potere di determinazione sintetica del reddito complessivo netto, sulla base dei coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992 (cosiddetti redditometri), che elevano la disponibilità dei beni ivi indicati ad indici e coefficienti presuntivi di capacità contributiva.
In altri termini l’art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dispensa l’Amministrazione Finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere, ponendo a carico del contribuente l’ onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore. Più in particolare va aggiunto che il giudice tributario non ha il potere di togliere a quegli indicatori sintetici la capacità presuntiva reddituale che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta).
Pertanto correttamente i giudici di primo grado hanno ritenuto di non valorizzare le circostanze – peraltro allegate ma non dimostrate – addotte dall’appellante, circa il modesto utilizzo delle due imbarcazioni o la manutenzione effettuata in economia, spiegando che la manutenzione non è priva di spese e che tale elemento rappresentava uno soltanto dei costi connessi al possesso delle imbarcazioni, atteso che il reddito ottenuto dall’applicazione dei parametri del redditometro non è in funzione diretta della spesa sostenuta per il mantenimento dei beni ma evidenzia la capacità contributiva del contribuente desunta dalla disponibilità di quei beni, capacità contributiva che nel caso dell’appellante è ben maggiore rispetto al reddito dichiarato. Ed a tale riguardo le argomentazioni dell’appellante sono state piuttosto carenti e non idonee a contrastare le presunzioni del redditometro, non avendo per nulla spiegato con quali mezzi finanziari egli si era procurata la disponibilità delle due imbarcazioni, provvedendo, poi alla totalità delle spese per il loro mantenimento, in un contesto reddituale, come quello dichiarato, invero assai modesto o, addirittura, inesistente (euro 6.307,00 per il 2007 ed euro zero per il 2008). In conclusione l’appello va rigettato siccome infondato, con conseguente conferma della sentenza appellata, immune dalle censure mosse dall’appellante. Consegue la condanna dell’appellante alla rifusione delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la Commissione rigetta l’appello e condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 2.500,00.
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