COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per le Marche sez. 2 sentenza n. 271 depositata il 16 maggio 2017
Cessione di azienda, il valore definito ai fini del registro fa fede anche per le imposte sui redditi
Massima:
Legittimamente l’ufficio, per la determinazione della plusvalenza ai fini delle imposte sui redditi, derivante dalla cessione di azienda a titolo oneroso, prende a base dell’accertamento induttivo il valore definito ai fini dell’imposta di registro; spetta al contribuente che deduca l’inesattezza della correzione, dimostrare di avere venduto in concreto, proprio al prezzo inferiore dichiarato.
Testo:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto pubblico n. 100146 registrato presso l’Ufficio dell’Agenzia dell’ Entrate di Fano il 18/11/2004, la sig.ra M. L. cedeva l’azienda “A. S di M. L.” al prezzo dichiarato di ? 40.000,00 comprendente l’avviamento per ? 34.000,00, le attrezzature per ? 2.162,12 e le rimanenze per ? 3.837,88. Con avviso di rettifica e liquidazione l’Ufficio di Fano rilevata la non congruità del valore dell’avviamento commerciale, ne rideterminava l’importo in ? 125.000,00 e, conseguentemente, accertava un valore complessivo di cessione pari ad ? 131.000,00. L’avviso di rettifica veniva definito dall’acquirente mediante procedura di adesione, con un abbattimento del15% sul maggior valore dell’avviamento accertato, che veniva quindi definitivamente stabilito definito in ? 117.350,00. L’Ufficio di Senigallia, esaminata la documentazione di tale operazione rilevava, in capo alla sig. M., una maggiore plusvalenza complessiva di ? 82.510,00, corrispondente alla differenza tra il valore definito ai fini dell’imposta di registro (? 117.350,00) e quello dichiarato in sede di dichiarazione dei redditi (? 34.840,00). Notificava quindi alla sig.ra M. l’avviso di accertamento n. R9F01PC00071/2009 con il quale recuperava la maggiore imposta Irpef, oltre ad interessi e sanzioni. L’avviso di accertamento veniva impugnato dalla contribuente che ne chiedeva l’annullamento per carenza di motivazione, in quanto fondato su valori determinati in sede di accertamento del registro definito in adesione con la sola parte acquirente. L’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Senigallia si costituiva in giudizio sostenendo la legittimità del suo operato e la fondatezza del recupero fiscale. Con sentenza n. 303 del 21/12/2009, la Commissione Tributaria Provinciale di Ancona accoglieva il ricorso sostenendo la tesi del ricorrente. Avverso la predetta decisione ha proposto appello l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Ancona, chiedendone la totale riforma per i seguenti motivi: -errata valutazione dei fatti, in quanto la rettifica del valore dell’avviamento, condivisa dall’acquirente, non era stata contestata dalla cedente. Quest’ultima, infatti, assumeva un comportamento del tutto passivo nella vicenda, non intervenendo nel procedimento di adesione attivato dalla parte acquirente né impugnando l’avviso di rettifica; – errata impostazione giuridica della vertenza, avendo i giudici di primo grado ignorato l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo il quale il valore del bene accertato ai fini dell’imposta di registro è vincolante per l’Amministrazione finanziaria anche ai fini delle imposte dirette. L’appellata non si è costituita.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nella sentenza impugnata i giudici di primo grado hanno condiviso la tesi prospettata dall’odierna appellata, secondo la quale, in materia di cessione d’azienda, l’accertamento ai fini Irpef nei confronti del cedente è del tutto autonomo da un precedente accertamento riguardante l’imposta di registro che è stato definito con un procedimento di adesione sottoscritto dalla sola parte acquirente. Sull’argomento vi è un preminente orientamento della Corte di Cassazione. In più occasioni i giudici di legittimità hanno infatti affermato che il valore del bene accertato ai fini dell’imposta di registro è vincolante per l’Amministrazione finanziaria ai fini delle imposte dirette. Di particolare significato sono le affermazioni della Suprema Corte di seguito riportate: “appare stridente con il più elementare senso di giustizia che un medesimo bene, in un medesimo momento e contesto, possa avere agli effetti fiscali due valori diversi, a seconda del contribuente dal quale ciascuna imposta è dovuta” (sent. n. 2575/1990); “in tema di plusvalenze patrimoniali di un’impresa, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento della plusvalenza derivante dalla cessione di un bene sulla base del valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro; e che è onere probatorio del contribuente (anche con il ricorso ad elementi indiziari) superare tale presunzione di corrispondenza tra il corrispettivo della cessione del bene e il valore accertato definitivamente in sede di applicazione dell’imposta di registro” (sent. n. 14581 del2001 ma anche sent. nn. 14448/2000,21055/2005, 12899/2007); “il valore definitivamente assegnato ai fini dell’imposta di registro all’avviamento nell’ambito del trasferimento d’azienda è vincolante per l’Amministrazione finanziaria nell’accertamento ai fini delle imposte sul reddito, avente per oggetto plusvalenze realizzate con lo stesso trasferimento” (sent. n. 4117 /2002). Concetti e principi che sono stati ultimamente ribaditi nelle ordinanze n. 21020 del 30/09/2009 e n. 9 marzo 2010, n. 5743, nelle quali si riafferma che “in tema di accertamento correlato alla tassazione della plusvalenza patrimoniale derivante da cessione d’azienda è corretto l’operato dell’ufficio che ne ha calcolato il valore sulla base del valore dell’avviamento resosi definitivo ai fini dell’imposta di registro … e spetta al contribuente superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in sede di applicazione dell’imposta di registro”, e che ” … occorre, invero, osservare che, la giurisprudenza di questa Corte appare consolidatamente orientata a ritenere che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale, realizzata a seguito di cessione immobiliare, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro … “. Inoltre, la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 473 del 31/10/1995, afferma che “il principio di uguaglianza impone, infatti, che se il valore dello stesso immobile viene riconosciuto per ragioni obiettive nei confronti di un debitore d’imposta, esso non può essere diverso ove si tratti del contribuente di un’altra imposta connessa e nello stesso contesto, che pur si riferisce al trasferimento dello stesso bene. Il principio della capacità contributiva esige che la medesima situazione di fatto non può che essere rilevatrice della stessa capacità contributiva e quindi dell’analogo prelievo fiscale”. Ne discende che i dettami costituzionali stabiliti dagli artt. 3, 97 e 53 della Cost., imporrebbero all’Amministrazione finanziaria di attenersi a precedenti accertamenti nella valutazione degli stessi fatti economici ai fini dell’applicazione di un altro tributo, in applicazione del principio della unitarietà dell’accertamento. Occorre inoltre considerare che la base imponibile dell’imposta di registro non è costituita dai valori attribuiti e concordati dalle parti, ma piuttosto dall’effettivo valore dei beni compresi nell’atto soggetto a tale imposta, per cui gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria possono rettificare, nell’ambito della loro attività di controllo, i valori dalle parti attribuiti nell’atto di cessione (tra cui il valore legato alla determinazione dell’avviamento), rideterminando la base imponibile su cui corrispondere l’imposta. Va infine tenuto in particolare conto il fatto che, nel caso di specie, l’accertamento del maggior valore dell’ammortamento ai fini dell’imposta di registro è avvenuto a seguito di procedura di adesione richiesta dall’acquirente che, in tal modo, ha condiviso la valutazione fatta dall’Amministrazione. Tutto ciò esposto, si osserva invece che le contrarie conclusioni cui sono pervenuti i giudici di prime cure prescindono totalmente da qualunque riferimento a tale orientamento giurisprudenziale, basandosi esclusivamente sulla circostanza secondo cui la presunzione di maggior corrispettivi sarebbe superata dal fatto che “la sig.ra M., tecnico ortopedico convenzionato con le ASL, non svolgeva la sola attività di venditore di articoli medicali, ortopedici e sanitari, ma svolgeva l’attività di fabbricazione di allori, plantari, busti, ed altri articoli su misura, ben più remunerativa e ricercata. L’attuale proprietario, non essendo in possesso dell’abilitazione ad esercitare tale attività, ha potuto rilevare la sola licenza di articoli di sanitaria … “. Ebbene, una tale circostanza era stata già stata tenuta in considerazione dall’Ufficio che, proprio per essa, aveva proposto un abbattimento del maggior valore accertato; abbattimento che veniva ritenuto congruo dalla contribuente in sede di positiva definizione del concordato. Tanto esposto, questo Collegio non ignora che una diversa soluzione del problema viene ora offerta dal Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147sull’internazionalizzazione delle imprese, il cui art. 5, al comma 3, ha inserito una norma interpretativa degli artt. 58, 68, 85 e 86 del TUIR la quale prescrive che “per le cessioni di immobili e di azienda, nonché per la costituzione ed il trasferimento di diritti reali sugli stessi, non è possibile presumere un corrispettivo maggiore di quello dichiarato sul solo presupposto del valore dichiarato o accertato ai fini dell’imposta di registro”. La novella legislativa muove dalla considerazione (da sempre condivisa dalla dottrina) che il presupposto dell’imposta di registro è diverso da quello stabilito ai fini delle imposte sui redditi. L’art. 51 del D.P.R. n. 131/1986 stabilisce infatti che ai fini dell’imposta di registro la base imponibile è rappresentata dal valore venale in comune commercio, mentre ai fini delle imposte sui redditi, l’art. 68 del T.U.I.R. stabilisce che la plusvalenza è costituita dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta ed il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Per cui, considerata la diversità dei presupposti per la determinazione dell’imposta ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro e delle imposte dirette, sopra descritta, la definizione di un accertamento ai fini dell’imposta di registro non dovrebbe avere automatica efficacia ai fini di un accertamento delle imposte sui redditi. In sede di accertamento analitico del reddito d’impresa l’Amministrazione finanziaria potrebbe quindi procedere alla rettifica del corrispettivo di cessione solamente in presenza di fatti certi o di ulteriori presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, che siano aggiuntive rispetto ad un accertamento definito ai fini dell’imposta di registro e che provino che l’effettivo corrispettivo è superiore a quanto contabilizzato. Tale impostazione, peraltro, è stata spesso accolta dai giudici di merito e dalla stessa Corte di Cassazione (sent. n. 7689/2003, n. 16700/2005, n. 245/2014 n. 24054/2014). Tutto ciò considerato, ritiene il Collegio che – ip assenza di qualsiasi argomento difensivo opposto dall’appellata in questa sede – l’unico elemento che depone per una riduzione del valore accertato consiste proprio nella circostanza, evidenziata e considerata dall’Amministrazione finanziaria, che l’acquirente aveva potuto rilevare soltanto la licenza di vendita di prodotti sanitari. Circostanza questa che, se è valsa per ridurre il valore accertato ai fini dell’imposta di registro, costituisce di per sé un ulteriore e decisivo elemento presuntivo per l’accertamento dell’imposta sui redditi; a fronte del quale parte appellata avrebbe dovuto dimostrare, sulla scorta delle registrazioni contabili, la congruità del valore dell’avviamento dichiarato sulla base del corrispettivo ricevuto per la vendita dell’azienda e del costo di acquisto e/o delle passività. Elementi che invece la contribuente – non costituitasi in appello – non ha fornito in questa sede, cosicché tale difetto probatorio attribuisce giuridica fondatezza all’appello dell’Amministrazione finanziaria che, pertanto, deve essere accolto. In ragione della particolarità della materia e dell’incertezza dell’orientamento giurisprudenziale sulla stessa, le spese del giudizio vanno compensate.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale per le Marche, Sezione Seconda, -accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, riforma la sentenza impugnata; – compensa le spese di giudizio.
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