COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per le Marche sez. 3 sentenza n. 190 depositata il 21 marzo 2017
Cessione di quote ed aumento di capitale sociale: unico l’atto ma disposizioni autonomamente tassabili.
Massima:
L’operazione di cessione di quote e quella di successivo aumento di capitale sociale, pur contenute in un unico atto, scontano, autonomamente, l’imposta di registro, ai sensi dell’art. 21, comma primo, del D.P.R. n. 131 del 1986, secondo il quale “Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto”. La cessione delle quote non comporta un inevitabile aumento del capitale sociale. Con la conseguenza che questa ultima operazione, seppur contenuta nel medesimo atto pubblico, risulta connessa soggettivamente, ma non oggettivamente.
Testo:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 4/3/2010, C. A., Notaio in Fano, impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pesaro l’avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni n. 09273019753 emesso dall’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Fano relativamente all’atto pubblico da lui redatto in data 1 dicembre 2009 rep. 69.361 con cui G. M., socia della società “I. C. S.n.c. di C. A.M. & C.” donava al coniuge C.A.M. la sua intera quota di partecipazione, a seguito di che veniva deliberato l’ aumento del capitale sociale di ? 967,08 sottoscritto da C. A. M. per ? 947,08 e dal nuovo socio subentrante C. M. per ? 20,00. Ad avviso dell’ Agenzia delle Entrate le due disposizioni di cessione delle quote (in realtà, la donazione di quota e l’ aumento di capitale sociale) sono soggette ciascuna ad autonoma tassazione essendo fra loro autonome e non derivando, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ragion per cui si addebitava al Notaio, ai fini dell’ imposta di registro relativa all’ anno 2009, 1′ importo di ? 168,00 oltre ad ? 5,16 per spese di notifica. Con sentenza n. 232/1/10 dell’ 11 giugno / 7 luglio 2010, la CTP di Pesaro accoglieva il ricorso e annullava 1′ avviso di liquidazione. Spese compensate in considerazione della natura della controversia. Secondo la sentenza impugnata «Reputa dunque il Collegio che le due disposizioni, contrariamente all’ assunto dell’ Agenzia delle Entrate , debbano ritenersi necessariamente derivanti 1′ una dall’ altra, così da risultare inscindibilmente connesse, comportando la cessione dell’ intera quota di partecipazione della socia G.M., come correttamente affermato dal ricorrente con riferimento a norme civilistiche, la conseguente modifica della compagine sociale, realizzandosi in tal modo quel rapporto di connessione oggettiva, necessaria ed inscindibile, che consente l’applicazione del secondo comma del più volte citato art. 21, legittimandosi pertanto 1′ assoggettamento ad un’ unica imposta». Con rituale appello 1′ Agenzia Entrate di Pesaro impugnava la sentenza, evidenziando che l’imposta doveva essere applicata a ciascuno degli atti posti in essere, pur contenuti in un’ unico provvedimento. Chiedeva riformarsi la sentenza di I grado e per l’effetto confermarsi la validità ed efficacia dell’ atto impugnato. Con vittoria delle spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio. Si costituiva in giudizio il Notaio C. depositando il 18.3.2011 controdeduzioni con cui ribadiva che le due disposizioni sono «in rapporto di derivazione 1′ una dall’ altra, in conformità alle piu’ recenti sentenze della Suprema Corte (vedasi sentenza n. 10180/2009, sentenza n. 10789/2004, sentenza n. 8142/1996 ) e al dettato del comma 2 dell’ art. 21 del DPR n. 131/1986. In particolare nella fattispecie in questione è la volontà della legge c/o l’intrinseca natura delle due diverse disposizioni a determinare tra esse il prescritto rapporto di connessione oggettiva, necessaria ed inscindibile, a nulla rilevando la volontà delle parti. Infatti – con riferimento alla società “I.C. Snc di C. A. M. & C”- le due cessioni di quote sociali (la prima a titolo gratuito e la seconda a pagamento per ricostituire la pluralità dei soci con l’aumento del capitale sociale ) debbono ritenersi – così come hanno correttamente affermato i primi Giudici- interdipendenti e collegate 1′ una dall’ altra per loro intrinseca natura». Chiedeva rigettarsi l’appello con la conferma in toto della sentenza impugnata. Con vittoria di spese ed onorari per entrambi i gradi di giudizio. La controversia veniva trattata in camera di consiglio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso va accolto.
Il D.P.R. n. 131 del 1986 (TU leggi del Registro ), art. 21, sotto il titolo “Atti che contengono più disposizioni”, ai primi due commi cosi testualmente recita: “1. Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto. 2. Se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che da’ luogo alla imposizione più onerosa’. Per costante giurisprudenza (Cass. 13 febbraio 1951; Cass. 20 marzo 1972 n. 844; Cass. 5 luglio 1973 n. 1886; Cass. n. 10789/2004 e 11. 10180/2009) la connessione deve essere assolutamente necessaria per esigenza oggettiva del negozio giuridico e non già per volontà dei contraenti. Come la Suprema Corte ha avuto modo di confermare sia pure con riferimento ad ipotesi differenti da quella in esame, ma pur sempre avuto riguardo al dettato del D.P.R. n. 131 del 1972, art. 21, la dipendenza e connessione intrinsecamente necessaria tra pattuizioni sussiste quando delle une non si possa concepire l’esistenza se si prescinde dalle altre, con esclusione della volontà delle parti che le abbiano poste come reciprocamente condizionate o connesse e dipendenti, ovvero quando sia configurata dalla legge, e non dalla volontà delle parti, una necessaria concatenazione giuridica di elementi dispositivi in un unico rapporto giuridico tassabile in sede di registrazione. In applicazione dei medesimi principi va ricordata la distinzione operata dalla Suprema Corte in tema di registrazione di atti che contengano più disposizioni, tra l’ipotesi dell’atto complesso e il ben diverso caso del collegamento negoziale: l’atto complesso va assoggettato ad un’unica tassazione di registro, in quanto le varie disposizioni che in esso confluiscono sono rette da un’unica causa, e quindi derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre. Viceversa, le disposizioni che danno vita ad un collegamento negoziale, ma sono rette da cause distinte, sono soggette ciascuna ad autonoma tassazione, in quanto la pluralità delle cause dei singoli negozi, ancorché funzionalmente collegate dalla causa complessiva dell’operazione, essendo autonomamente identificabili, portano ad escludere che le disposizioni rette da cause diverse possano ritenersi derivanti, per loro intrinseca nature, le une dalle altre (Cass. 6 settembre 1996 n. 8142). Ciò che rileva, ai fini dell’ applicazione dell’ art. 21 secondo comma DPR 131/86 non è la volontà delle parti di rendere le disposizioni reciprocamente condizionate o connesse, bensì la volontà del legislatore di configurare come necessaria una concatenazione giuridica di elementi dispositivi, tale da dar vita ad un unico rapporto giuridico tassabile in sede di registrazione. Piu’ di recente, in materia è intervenuta Cassazione civile, sez. VI, 11/09/2014, n. 19245: «In tema di imposta di registro, qualora un atto contenga più disposizioni si applica, ai sensi dell’art. 21 dei d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la tassazione unica, avuto riguardo alla disposizione soggetta a tassazione più onerosa, quando le disposizioni da registrare derivano, per loro intrinseca natura, le une dalle altre, intercorrendo tra loro, in virtù della legge o per esigenza obiettiva del negozio giuridico (e non per mera volontà delle parti), un vincolo di connessione o compenetrazione, immediata e necessaria». Ebbene, nel caso di specie, come correttamente sostenuto nel ricorso dell’ Agenzia delle Entrate, la cessione delle quote non comporta affatto un inevitabile aumento del capitale sociale, con la conseguenza che quest’ ultimo risulta connesso soggettivamente ma non oggettivamente e non necessariamente all’ altra disposizione pure contenuta nell’ atto in disamina. In definitiva, l’ appello va accolto, ma al contempo risulta opportuna l’integrale compensazione delle spese di lite, considerata l’opinabilità esegetica della normativa di cui all’ art. 21 DPR n. 131/1986 e tenuto conto dell’ esiguo valore della controversia.
Per questi motivi
la Commissione accoglie l’ appello. Spese compensate.
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