COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per le Marche sez. 5 sentenza n. 281 depositata il 17 maggio 2017
La comproprietà di altro immobile esclude la fruizione del beneficio “prima casa”
Massima:
Il beneficio “prima casa” di cui all’art. 1 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nota II bis lettera b), spetta unicamente a chi dimostri, in base a risultanze certificate, di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge di diritti di proprietà, usufrutto o uso di altro immobili ubicato nel medesimo comune. Pertanto, qualora il contribuente sia comproprietario pro quota con la moglie (in comunione legale convenzionale) di altra unità immobiliare sita nel medesimo Comune, il beneficio in questione è escluso.
Testo:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto pubblico stipulato in data 12.07.2012, il contribuente acquisiva la piena proprietà di una porzione immobiliare sita in Macerata, composta da un’abitazione e due garage, usufruendo delle agevolazioni fiscali “per la prima casa” limitatamente all’abitazione e ad un garage. A tal fine dichiarava di non essere titolare esclusivo di diritti reali di proprietà e di godimento su altra abitazione nel territorio del medesimo Comune, nonché titolare, neppure pro quota, dei medesimi diritti su altra abitazione ovunque ubicata precedentemente acquisita usufruendo delle agevolazioni sulla prima casa. Mediante avviso di liquidazione, l’Ufficio revocava l’agevolazione richiesta ”per violazione delle disposizioni dell’art. l, nota 2-bis, della Tariffa parte prima allegata al D.P.R. 131 / 1986″. ritenendo che “Il contribuente sarebbe già comproprietario con la moglie di un’altra unità immobiliare nel medesimo Comune;· la porzione immobiliare sub 17 sarebbe stata di lusso per avere una superficie utile complessiva di mq 254,00″- e quindi superiore al limite di mq 240 stabilito dall’art. 6 D.M. 69/1969 – “rilevata dalle planimetrie catastali nonostante un apposito sopralluogo”, con conseguente recupero della differenza IV A rispetto a quella ordinaria per euro 212.500,00 ed irrogazione di sanzioni per euro 63.750,00. Avverso detto atto il ricorrente proponeva ricorso innanzi al Giudice di prime cure, eccependo: l. invalidità delle pretese per violazione del diritto al contraddittorio, essendo le medesime state avanzate senza prima coinvolgerlo nell’attività di controllo e neppure comunicargli i relativi esiti pregiudizievoli, con ciò impedendogli di offrire il proprio contributo; 2. infondatezza nel merito della richiesta, stante l’insussistenza di tutti i presupposti evocati. dall’Ufficio per negare la richiesta agevolazione, atteso che la comproprietà con la moglie (in comunione ordinaria convenzionale) di altra unità immobiliare nel medesimo Comune era irrilevante, ostandovi solo la comunione legale tra i coniugi, per come precisato anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., sez. Trib., Ord. n. 21289 del 8.10.2014); 3. difetto di prova, nel caso di specie, del superamento della superficie utile complessiva di 240 metri quadrati, essendo un siffatto assunto non solo non comprovato da alcun computo dettagliato (quale certamente non poteva ritenersi una misurazione su planimetria l:200, da ritenersi largamente approssimativa ed inattendibile e, pur tuttavia, adoperata, per come affermato dallo stesso Ufficio, nel caso di specie ed ad onta del solo invocato sopralluogo) ma, addirittura, smentito dalla perizia tecnica giurata redatta dal geometra S. B. a seguito di misurazioni effettuate in loco, la quale aveva certificato come essa, determinata ai sensi dell’art. 6 D.M. 69/1969 (” … esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte,le scale e posto macchine … ‘), fosse inferiore ai 240 metri quadrati. Dopo un provvedimento di autotutela parziale, con il quale la pretesa impositiva veniva scomputata con riferimento a quanto indebitamente reclamato per il garage acquistato sin dall’inizio senza i benefici previsti per l’acquisto della prima casa, l’Ufficio si costituiva chiedendo al giudice di prime cure di confermare la bontà della propria pretesa, tenuto conto della ravvisabilità, nel caso di specie, di entrambe le ipotesi precludenti alla spettanza del beneficio e compendiate sopra ai punti 2 e 3. La Commissione di primo grado, nonostante avesse accolto l’interpretazione del ricorrente con riferimento al punto 2, rigettava il ricorso attribuendo efficacia dirimente (rispetto alla effettiva determinazione della superficie utile complessiva in termini maggiori o minori rispetto a 240 metri quadrati, per come diversamente ritenuto dall’Ufficio o dal contribuente) al fatto che l’abitazione fosse dotata di piscina, costituente circostanza comportante l’automatica classificazione dell’immobile come “abitazione di lusso”, con conseguente impossibilità, in capo all’acquirente, di godere delle agevolazioni al contrario richieste, affermando sul punto che “L ‘esistenza della piscina annessa all ‘immobile rappresenta una situazione di fatto che non può essere trascurata e che non è abbisognevole di particolari esercizi interpretativi. La circostanza che l’Uffìcio, in sede di costituzione in giudizio, abbia fattoosservare la presenza della piscina annessa all’immobile, non può rappresentare un motivo aggiunto non eccepito in sede di emanazione dell’atto di accertamento, perché trattasi di semplice illustrazione delle componenti caratteristiche dell’abitazione che devono consentire al Giudice di pronunciarsi in ordine alla sussistenza di tutti i requisiti di legge per poter usufruire di una agevolazione fiscale” – cfr., sentenza di primo grado -. Avverso la sentenza propone ricorso in appello il contribuente, censurando omissioni ed errori della medesima. Quanto ai primi, formulava nuovamente le medesime eccezioni sopra richiamate al punto l, laddove, avuto riguardo ai secondi, censurava la decisione di prime cure, nella parte in cui: a) riteneva, seppur implicitamente, apoditticamente preferibile la misurazione della superficie utile complessiva promanante dall’Ufficio rispetto a quella offerta dal contribuente, nonostante la assai minore attendibilità caratterizzante la metodologia adoperata per la prima (effettuata sulla carta con un margine di errore molto elevato c comprendente nel computo anche superfici espressamente escluse dall’art. 6 D.M. 6911969, quali i “pianerottoli”, il sottotetto adibito a “soffitta” ed il vano destinato a “cantina”) rispetto alla seconda (fondata su una perizia giurata redatta da un tecnico, previe misurazioni in loco); b) valorizzava la presenza della piscina anche indipendentemente dalla superficie effettiva dell’unità immobiliare, evidenziando come la medesima rilevi, al fine di integrare automaticamente il requisito “di lusso”, solo quando sial una dotazione esclusiva dell’unità immobiliare ed abbia una superficie pari ad almeno 80 metri quadrati, entrambi requisiti privi di dimostrazione nel caso di specie, essendosi l’Ufficio limitato ad evidenziare come l’immobile in questione si trovi all’interno di un più esteso “complesso residenziale provvisto di … piscina”, senza nulla aggiungere in merito alla proprietà della stessa ed alle sue dimensioni e, anzi, quasi escludendo l’operatività della medesima quale causa di esclusione del beneficio, atteso che il trovarsi all’interno di un più esteso “complesso residenziale” sembrerebbe escludere il presupposto della dotazione esclusiva. Con riferimento alla valorizzazione della medesima effettuato nella sentenza di primo grado, si censurava, altresì, la motivazione addotta dalla Commissione Tributaria in ordine al fatto che si tratterebbe di una semplice illustrazione delle componenti caratteristiche dell’abitazione e non di un motivo aggiunto, destinato a valere come causa di revoca mai considerata nell’avviso impugnato, trattandosi di violazione del divieto di integrazione/modificazione postuma della motivazione dell’atto impositivo, vulnerando una siffatta situazione anche il diritto di difesa del contribuente. Da qui, in considerazione dei su indicati motivi e della asserita ricorrenza anche del requisito del periculum in mora, il contribuente chiedeva, oltre alla riforma della sentenza di primo grado e l’annullamento dell’avviso di accertamento, anche la sospensione dell’esecutività della sentenza gravata e, all’occorrenza, anche dell’avviso, rinvenendo la contraria determinazione di questa Commissione, la quale, all ‘udienza del 11.11.2016, respingeva la richiesta ritenendo non adeguatamente comprovato il requisito del periculum in mora. L’ufficio si costituiva mediante controdeduzioni chiedendo il rigetto delle richieste di parte avversa e proponendo appello incidentale, nella parte in cui il giudice di primo grado aveva accolto l’interpretazione del ricorrente con riferimento al punto 2, evidenziando come la sentenza della S.C. valorizzata da quest’ultimo fosse stata pronunciata con riferimento ad una situazione nella quale il contribuente era titolare di una quota irrisoria di altra abitazione (pari al cinque per cento), in separazione dei beni con il coniuge e, quindi, inidonea a realizzare la destinazione abitativa: situazione non riscontrabile nel caso di specie, caratterizzata dalla precedente titolarità, in capo ai coniugi, di n. 2 abitazioni contigue di 9 vani ognuna, nella misura del 50 per cento ciascuna. Quanto all’appello proposto da controparte, l’Ufficio evidenziava l’infondatezza delle argomentazioni avverse, affermando: quanto a quella sub 1), come, nel caso di specie, non vi fosse stata alcuna violazione del diritto al contraddittorio, riferendosi le sentenze citate dal ricorrente sul punto ad accertamenti di valore (ipotesi del tutto diversa da quella de qua) e che l’orientamento prevalente di legittimità ha espressamente chiarito che l’attuale quadro normativo non prevede un principio generale di contraddittorio preventivo, fatta eccezione che per i casi espressamente previsti dalla legge, tra i quali non figura l’ipotesi sottoposta a scrutinio, per la quale, peraltro, l’attività di sopralluogo non doveva qualificarsi come strumento d’impulso, ma di difesa, vista la partecipazione del contribuente; avuto riguardo a quella sub 3), come la modifica all’art. l della Tariffa determinata dal D.Lg.vo n. 23/2001, introducente un diverso parametro per escludere dai benefici alcune categorie di abitazioni ed invocato da parte ricorrente, si applicasse solo agli atti pubblici formati dopo il primo gennaio 2014 e non anche a quelli, quale quello per cui è contenzioso, ripassati precedentemente, laddove, con riferimento all’asserita indebita pretermissione delle risultanze dell’accertamento peritale prodotto dal contribuente (teso ad evidenziare una metratura delle superfici utili inferiore ai 240 metri quadrati), come le divergenze (peraltro non considerevoli) fossero da ricondursi non a differenze nell’attività di misurazione, bensì, sostanzialmente, al mancato computo, in perizia, di un vano (cantina presente al piano terra) nell’ambito della superficie utile, il quale, al contrario, proprio per la presenza di, finiture ed arredi, doveva essere considerato vano utile, essendo sostanzialmente idoneo allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana, osservando, vieppiù, come, ai sensi del DM de11969, che esclude, tra gli altri, le cantine dalla superficie utile, debba aversi riguardo unicamente ai locali interrati o seminterrati normalmente adoperati per la conservazione ed il deposito di alimenti ed attrezzi vari. Dopo la decisione sulla fase cautelare, si addiveniva alla Camera di Consiglio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene la Commissione come l’appello meriti di essere rigettato, dovendosi formulare effettivamente un giudizio di fondatezza e legittimità della pretesa tributaria. l. Seguendo lo stesso ordine caratterizzante i motivi di ricorso e sostanzialmente richiamati nell’atto di gravame formulati dal contribuente, va, conformemente a quanto evidenziato dall ‘Ufficio, affermata l’insussistenza di profili di invalidità dell’avviso di accertamento per asserita violazione del. diritto al contraddittorio nel senso sopra specificato. Ed invero, come evidenziato dall’Ufficio nelle proprie controdeduzioni, la S.C., nel proprio più autorevole consesso (SS.UU. n. 24823/2015), ha statuito come, differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio in parola, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre solo in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte ·dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto. Ciò precisato, nel caso di specie, il contribuente non ha indicato le concrete ragioni che avrebbe potuto fare valere qualora l’Amministrazione avesse instaurato il preventivo contraddittorio, essendosi limitato, mediante i propri scritti, a censurare l’operato di quest’ultima sotto il profilo meramente formale. Del resto, per come peraltro evincibile dalle ragioni fatte valere dalle parti, appare di immediata evidenza già da quanto sopra sinteticamente evidenziato come l’Ufficio avrebbe proseguito nella propria pretesa anche qualora avesse, prima dell’avviso, sollecitato il contributo del contribuente (il quale, per come si è visto, si sarebbe concretizzato unicamente nella produzione della perizia tecnica redatta dal geometra S. B., che, oltre ad essere disattesa dall’Ufficio, attiene soltanto ad uno dei profili della pretesa impositiva). A ciò si aggiunga come, in tema di agevolazioni tributarie, la S.C., mediante la pronuncia n. 11973/2015, ha statuito come, ai sensi dell’art. 2697 c.c., è onere del contribuente dimostrare, in seguito alla contestazione dell’Ufficio, i fatti che palesino il raggiungimento dello scopo, ovverossia la effettiva realizzazione dell’intento dichiarato nell’atto, perché tale intento rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del beneficio fiscale richiesto e solo provvisoriamente concesso dalla legge al momento della registrazione dell’atto di trasferimento (in tal senso, Cass. n. 20376/2006, n. 14381/2007, n. 13954/2011, Cass. n. 25161/2013 e Cass. n. 21543/2012). Proprio con riferimento all’ipotesi di IVA agevolata per beni non di lusso,Cass. n. 1303/2007 ha ribadito che ” … Generalmente, l’onere della prova in materia tributaria grava sulla parte che fa valere la pretesa fiscale e, dunque, sull’Ufficio impositore, salvo che la legge non preveda espressamente o implicitamente che debba essere il contribuente a fornire la prova di determinate situazioni a lui favorevoli. E quest’ultimo è, in particolare, il caso in cui il contribuente, pur non escludendo il diritto impositivo, faccia valere circostanze che riducono la pretesa sul piano quantitativo. In questa ipotesi, l’onere della prova sorge a carico del contribuente, ab initio e non per effetto di inversione. E poiché l’aliquota agevolata in materia di IVA rappresenta una eccezione alle normali disposizioni, che prevedono l’aliquota ordinaria, è certamente il contribuente che deve provare l’esistenza dei presupposti per la sua applicazione”. Di tal che, il primo motivo d’impugnazione formulato dal contribuente si presta ad essere disatteso. 2. Avuto riguardo alla questione sub 2, sostanzialmente accolta dalla Commissione di primo grado ed avverso la quale l’Ufficio ha proposto irrituale appello incidentale, si condivide l’assunto di quest’ultimo e, per quanto in questa sede interessa, si evidenzia la fondatezza di quanto affermato nell’avviso di accertamento. Rappresenta circostanza non revocabile in dubbio come T. A. fosse cointestatario pro quota e complessivamente per l’intero, unitamente alla coniuge T. D. ed in regime di separazione dei beni, di due unità abitative site alla via Lauro Rossi n. 5 di Macerata, per le questi quali richiesero ed ottennero la tassazione agevolata prevista per le prime case di abitazione, siccome evincibile dalle visure camerali allegate, dalle quali emerge, altresì, il successivo compimento, tra i coniugi, dopo l’atto di acquisto riconducibile al 1988, di atto di donazione. Da qui, come correttamente evidenziato dall’Ufficio nelle proprie controdeduzioni, alla data della stipula del negozio traslativo del 2012, per il quale hanno ulteriormente richiesto ed ottenuto le agevolazioni connesse all’acquisto della c.d. prima casa, erano “già titolari ciascuno al 50% di n. 2 abitazioni contigue di 9 vani ciascuna, oltre che di un garage di 76 mq .. “. Indi, corretta si appalesa la pretesa recuperativa esplicitata dall’Ufficio nell’avviso di liquidazione, secondo cui “se due coniugi risultavano cointestatari pro quota ma complessivamente per l ‘intero delle due unità ubicate in via Lauro Rossi n. 5 e se due coniugi sono proprietari complessivamente sull’intero di altro immobile classificato come abitativo nello stesso Comune, secondo il disposto dell’art. l lett. B) Nota II Bis non possono richiedere su nuovi acquisti l ‘agevolazione prima casa, a causa della situazione di comproprietà esclusiva preesistente”- cfr., avviso di liquidazione -. Ed invero, a norma dell’art. l della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del1986, nota II bis lett. b), per il godimento delle agevolazioni fiscali c.d. “prima casa”, occorre che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari “di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare”. La S.C., con la sentenza n. 7069/2014, ha sul punto specificato come, “in costanza di contitolarità dei menzionati diritti reali su un immobile sito nel comune ove è ubicato quello da acquistare, il beneficio fiscale è, dunque, precluso, a prescindere dalla scelta del regime patrimoniale dei coniugi: il riferimento alla “comunione con il coniuge” senza ulteriore qualificazione depone univocamente in tal senso, tanto più che la distinzione circa il titolo della comunione stessa viene operata nella successiva lett. c), della medesima nota II bis della Tariffaper escludere l’accesso all’agevolazione a chi ne abbia, in precedenza, fruito in riferimento all’intero territorio nazionale. La disposizione, infatti, persegue lo scopo d’incentivare l’investimento del risparmio nell’acquisto di un’unità immobiliare da destinare a ”prima casa”, sicché, ave i coniugi siano già contitolari – sia in comunione legale che convenzionale – di una casa, opera la presunzione legislativa che la stessa sia, appunto, destinata ad “abitazione della famiglia”, con conseguente esclusione dell’agevolazione per il successivo acquisto”. Da qui, come evidenziato dall’Ufficio, nella parte in cui, per come si è visto, il contribuente godette per tale precedente acquisto delle agevolazioni fiscali concesse dalla legge n. 168/1982 art. 5, 1′ impossibilità di usufruirne ulteriormente, come al contrario fatto nel caso di specie e per l’ottenimento delle quali il Tortolini dichiarò, all’art. 15, di non essere titolare, “neppure per quote, anche in regime di comunione dei beni su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà …. su altra casa di abitazione acquistata da essi stessi acquirente con le agevolazioni di cui all’art. 3, comma 131 della legge 28 dicembre 19965, n. 549, nonché con tutte le altre agevolazioni, cosiddette sulla “prima casa”, che si sono succedute nel tempo ad iniziare da quella prevista dali ‘art. l della Legge 22 aprile 1982 n.168 sino a quella di cui all’art. 16 del decreto legge 22 maggio 1993, n. 155, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 243, agevolazioni tutte compiutamente elencate nel detto art. 3 comma 131, legge 549/95″- cfr., atto di acquisto del 12.07.2012 -. Come parimenti correttamente evidenziato dall’Ufficio, l’orientamento invocato dal contribuente (Cass., Sez. 6- 5 ordinanza n. 21289 dell’8.10.2014), a mente del quale l’agevolazione fiscale per l’acquisto della “prima casa” non è preclusa al titolare di una quota su un immobile a titolo di comunione convenzionale, è stato dettato avuto precipuo riguardo alla natura “particolarmente esigua” della stessa, “che, non comportando il potere di disporre dell’immobile stesso come propria abitazione, è assimilabile a una proprietà inidonea per le esigenze abitative, tranne l’ipotesi della quota di un immobile in comunione legale tra i coniugi”. In quella occasione la S.C. era stata adita da un ricorso del contribuente avverso una decisione del giudice di seconde cure, che aveva ritenuto che il primo non avesse titolo per usufruire della agevolazione “prima casa”, in quanto al momento dell’acquisto non sussisteva la condizione prevista dalla lett. b) della nota II bis della Tariffa parte prima della Legge di Registro, avuto riguardo al fatto che, in virtù di precedente rogito, risultava proprietario di una quota pari al 5% di altro immobile abitativo, ubicato nello stesso Comune, per non avere considerato che la preclusione del dato beneficio fosse riferibile agli immobili acquistati in regime di comunione legale ex art. 177 c.c. e segg., e non anche, come era in quel caso, alle acquisizioni convenzionali, fatte da coniugi, in regime di separazione patrimoniale, in relazione alle quali, peraltro, non si fosse usufruito del beneficio (diversamente che nel caso sottoposto al presente scrutinio, nel quale il contribuente ha, in occasione del precedente acquisto, già goduto dello stesso). La S.e. ha stabilito come “Costituisce ius receptum che l’agevolazione per la cosiddetta prima casa, disciplinata dall’art. l, lett. b), nota II – bis della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nel testo risultante dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 155 del 1993, art. 16, comma l, convertito – con modifìcazioni – nella L. n. 243 del 1993, subordina l’applicazione del beneficio all’acquisto di un’unità immobiliare da destinare a propria abitazione nel comune di residenza o (se diverso) ave si svolge la propria attività, alla non possidenza di altro immobile “idoneo” ad essere destinato a tale uso …. Ne consegue che chi abbia il possesso di altra casa valutata come “non idonea” all’uso abitativo, sia per circostanze di natura oggettiva (es.: inabitabilità) che di natura soggettiva (es.: fabbricato inadeguato per dimensioni o caratteristiche· qualitative) può ugualmente godere dell’agevolazione”(Cass. n. 241812003, n. 8771/2000)”.Nella medesima sentenza la S.C.. ha, altresì, statuito come l’acquisto “di una quota particolarmente esigua di un immobile, non comportando il potere di disporne come abitazione propria, non realizza l’intento abitativo, che è la finalità perseguita dal legislatore, ed è, sostanzialmente, assimilabile alla titolarità di immobile inidoneo a soddisfare le esigenze abitative (Cass. n. 1329112011, n. 10984/2007, n. 9647/1999)”. Nella sentenza da ultimo richiamata, peraltro, era stato statuito come “la mera titolarità di una quota di un appartamento in comunione non preclude la fruizione della disciplina agevolativa sull’acquisto della cosiddetta ”prima casa”, a meno che, come nell’ipotesi sottoposta al presente scrutinio, non avesse a vertersi in ipotesi di comunione fra coniugi e la medesima, al pari di quella n. 6476/1996, parimenti richiamata dalla S.e. nella sentenza menzionata dal contribuente a giustificazione del principio secondo cui l’esclusione dal beneficio “prima casa” operi sempre “solo nei confronti di acquirente di altro immobile acquistato in comunione ex art. 177 c. c., con il coniuge, non ritenendo che la comunione ordinaria su altro cespite immobiliare con il coniuge possa integrare la destinazione del bene ad abitazione dello stesso in via esclusiva”, fosse stata dettata avuto riguardo a situazioni nelle quali, per come sopra già rammentato, la quota di titolarità di altra abitazione in capo al richiedente il beneficio fosse particolarmente esigua e, per quanto in questa sede interessa, significativamente inferiore al cinquanta per cento, come al contrario verificatosi nel caso di specie: percentuale equiparabile peraltro, seppur in linea meramente astratta a fronte della diversità degli istituti, a quella caratterizzante la comunione legale, in presenza della quale è stata costantemente affermata l’esclusione dal beneficio in capo a ciascuno dei coniugi, pur se i medesimi non avessero goduto, per il precedente acquisto e diversamente dal caso di specie, del beneficio. Al contrario, nel caso che ci occupa e con riferimento al T., deve ritenersi come lo stesso non versasse, alla data dell’acquisto per il quale ebbe ad ulteriormente richiedere il beneficio oggetto di revoca da parte dell’Ufficio, in quella situazione di “non possidenza di altro immobile “idoneo” ad essere destinato a tale uso” (Cass., Sez. 6- 5 ordinanza n. 21289 dell’8.10.2014), atteso che, per come sopra già evidenziato, risultava cointestatario pro quota, ma complessivamente per l’intero, non di una, ma di ben due unità ubicate in via Lauro Rossi n. 5 di diversi vani e, quindi, certamente idonei ad essere adibiti ad abitazione. A ciò si aggiunga, altresì, siccome evincibile dall’atto di acquisto e dalle visure degli immobili in parola, che, unitamente alla propria coniuge, il T. si era reso acquirente per l’intero di uno degli appartamenti (quello composto di “quattro vani ed accessori al piano secondo, tre vani al piano terzo, un locale sovrastante, due locali ad uso sgombero al piano terra ed una cantina al piano primo sottostrada “) per il quale, giova rammentarlo, richiese ed ottenne i benefici “prima casa”, provvedendo poi a disporne nei termini attuali in favore della moglie (che analogamente faceva con riferimento a quanto parimenti da ella acquistato in via esclusiva) mediante donazione del 6.08.2010. Di tal che, alla luce di tali elementi, anche in considerazione della pluralità di immobili dei quali il contribuente era comproprietario unitamente al coniuge, idonei, ai fini che qui interessano, a determinare il superamento della presunzione secondo cui “Si deve escludere, pertanto, che la facoltà di usare il bene comune, purché non si impedisca a ciascuno degli altri comunisti “di farne parimenti uso” ex art. 1102 c.c., consenta di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comunisti” (Sez.6- 5, Ordinanza n. 21289 del2014), dettata avuto riguardo a vicende nelle quali il contribuente era comproprietario di un solo immobile e per percentuali esigue, deve esprimersi sul punto un giudizio di fondatezza dell’imposizione dell’Ufficio e, per quanto in questa sede interessa, accogliersi l’appello incidentale proposto sul punto. Il riconoscimento della bontà della pretesa dell’Ufficio rende ultronea la concreta disamina delle altre questioni inerenti la natura c.d. di lusso dell’abitazione (siccome integrata dall’asserito superamento della superficie utile complessiva di 240 metri quadri, prevista dall’art. 6 D.M. 2 Agosto 1969, oppure dalla presenza della piscina, ritenuta dal giudice di prime cure erroneamente sul punto si condivide l’assunto del contribuente, palesandosi quello del decidente non correttamente fondato sulle previsioni dettate dal d.m. 1969, applicabile ratione temporis – comportante “l ‘automatica classificazione di lusso dell‘immobile” -cfr., sentenza di primo grado -. A fronte della legittimità dell’avviso di accertamento, consegue il rigetto dell’appello proposto dal contribuente e, per quanto sopra evidenziato, la conferma della decisione di prime cure, seppur per ragioni diverse rispetto a quelle ivi valorizzate. Proprio in virtù di ciò, in uno alla obiettiva peculiarità della presente vicenda, possono ritenersi ravvisabili, nel caso di specie, i presupposti stabiliti dalla legge ed idonei a giustificare una compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
La Commissione respinge l’appello del contribuente e conferma la sentenza di primo grado. Compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.
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