COMMISSIONE TRIBUTARIA Regionale di Lecce – Sentenza n. 1755 sez. 20 del 31 luglio 2015
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – GARANZIA DEL CREDITO – MISURE CAUTELARI – PRESUPPOSTI
Svolgimento del processo
A seguito di istanza depositata in data 22/01/2013, la Direzione Provinciale di Lecce dell’Agenzia delle Entrate, chiedeva l’emissione di un provvedimento cautelare ai sensi dell’art.22, D.Lgs. n. 472 del 1997 e l’autorizza zione a iscrivere ipoteca legale sui beni immobili, nonché il sequestro conservativo su beni mobili, fino alla concorrenza della somma di Euro. 6.414.632,00, pari al doppio del credito vantato, oltre interessi maturati e maturandi secondo il tasso legale, nei confronti della ditta T.L. di A.F., con sede in S. Via C., n. 25. L’amministrazione finanziaria con la citata istanza deduceva di avere notificato il 23/07/2012 un PVC relativo alla constatazione di violazioni tributarie in materia di IRPEF,IRAP,IVA,Ritenute oltre a sanzioni per un totale di Euro. 3.207.316,00, per le annualità d’imposta 2007 fino al 13/05/2013. Quindi chiedeva di essere autorizzata a procedere a sequestro conservativo dei beni mobili e immobili specificati con allegata visura catastale oltre a elenco mobili registrati all’ACI. Precisava l’ufficio che, come dettagliatamente descritto nel PVC, è chiaramente riscontrabile il fumus boni juris in quanto la ditta aveva gestito una complessa frode fiscale consistente nell’utilizzo di fatture afferenti operazioni inesistenti con il fine di evadere l’iva e le altre imposte indicate nel PVC. Si costituiva in giudizio la ditta A. eccependo l’illegittimità della suddetta richiesta, chiedendo il rigetto per difetto dei presupposti legittimanti l’invocata misura cautelare. A sostegno delle proprie argomentazioni la parte resistente affermava il carattere essenzialmente indiziario degli elementi posti a fondamento del rilievo concernente l’indebita detrazione dell’Iva, oltre alla assoluta infondatezza dell’intera ipotesi accusatoria. La Commissione tributaria di Lecce, con la sentenza n. 476/01/13 del 28/02/2013, depositata il 28/02/2013 accoglieva l’istanza ritenendo sussistenti i requisiti del fumus bini juris e del periculum in mora. Avverso la detta sentenza propone appello la ditta A. con atto depositato nei termini di legge lamentando:/
a) Carenza di motivazione con riferimento alla presenza del requisito del fumus boni juris dal momento che si parla di precisi riscontri e indizi convergenti senza specificare in cosa consistono e quale esame critico sia stato svolto sul punto.
b) Inesistenza del requisito del fumus boni juris per illegittimità del disconoscimento della detrazione iva nelle varie operazioni. Per disconoscere la suddetta detrazione l’ufficio avrebbe dovuto provare la completa inesistenza delle operazioni poste in essere. Al contrario, osserva, trattasi di operazioni effettivamente poste in essere.
c) Carenza e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui riconosce la presenza del periculum in mora sulla base della entità del credito e del reale rischio di perdita della garanzia, dal momento che il ricorrente non ha posto in essere nessun tipo di atto da cui si possa desumere in qualsiasi modo una volontà di sottrarre il patrimonio alla garanzia del credito.
Si costituisce in giudizio l’Agenzia depositando le proprie controdeduzioni in data 03/04/2014. In particolare, con riguardo alla esistenza del fumus boni juris si è riportata ai motivi del PVC della guardia di finanza, rimettendosi a quanto già indicato nella istanza introduttiva del giudizio di primo grado. Relativamente al periculum in mora l’ufficio ritiene comprovata l’esistenza di tale presupposto sulla base, oltre che dell’elevato importo del credito erariale di Euro. 3.207.316,00 e della pericolosità della condotta tenuta da controparte che si è avvalso dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, anche della circostanza che controparte stava cedendo alcuni dei suoi beni.
La Commissione Osserva
Questo collegio esaminati i fatti della causa ritiene il ricorso presentato dalla ” T.L.” meritevole di accoglimento. La ricorrente con le censure avanzate ha dedotto la illegittimità e erroneità della decisione impugnata per non avere la Commissione Provinciale esaminato le eccezioni sollevate con l’atto di costituzione con riferimento ai presupposti della misura cautelare. Vero è che il Giudice di prime cure, ha affermato che(come da sentenza) “la misura cautelare appare fondata e meritevole di essere accolta e passando ad esaminare il merito della pretesa dell’Ufficio si limita a rilevare che quest’ultimo con il PVC ha permesso di dedurre in maniera agevole e analitica – sotto l’aspetto del fumus boni juris – le ragioni poste a fondamento della pretesa e le ulteriori circostanze di supporto – tutte sommariamente indicate in premessa – che rendono attendibile e sostenibile la pretesa in quanto desunta – unitamente all’analisi della situazione debitoria della società – dal dato oggettivo dell’entità del credito da tutelare.
L’ulteriore l’aspetto dinamico del comportamento operativo del contribuente concorre a determinare la sussistenza del presupposto del periculum in mora, peraltro già in parte realizzatosi mediante cessione di beni”.
E’ di tutta evidenza che la Commissione Provinciale non si è fatto carico di esaminare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge (fumus boni iuris e periculum in mora)motivandoli adeguatamente.
Con riferimento al fumus boni iuris (///) si sono limitati ad osservare che la pretesa dell’Agenzia delle entrate fosse fondata senza entrate nel merito delle questioni sollevate. E’ pur vero infatti che il procedimento in questione non prevede una decisione di merito ma non si ritiene di dover accogliere la tesi avanzata dall’ufficio secondo cui l’analisi del requisito del fumus dovrebbe svolgersi sommariamente solo sulla base dell’apparente fondamento del buon diritto. E’ il caso di rilevare come una non sufficiente analisi preliminare nel merito rischierebbe di avallare la concessione di misure cautelari, in grado, come in questo caso, di incidere in maniera rilevante sull’attività svolta dalla ricorrente.
Quando, come nella vicenda in esame, la concessione di una misura cautelare potrebbe, ancor prima di qualsiasi giudizio sulla esistenza del credito, produrre effetti dirompenti sull’attività imprenditoriale del contribuente, diventa difficile ritenere che la valutazione sulla sussistenza di un fumus possa avvenire senza un vero e proprio giudizio.
Quest’ultimo, infatti, per quanto sommario o prognostico, non potrebbe non entrare nel merito della sostenibilità della pretesa dell’Ufficio in un eventuale e successivo giudizio di merito. In particolare in merito alle ragioni su cui si fonda la richiesta di parte erariale, più specificatamente la indetraibilità dell’iva in capo alla ricorrente non si registra nella sentenza alcun approfondimento.
La vicenda in esame va letta tenendo conto del complesso dei rapporti e delle operazioni intervenute tra la parte e i clienti. Nel PVC si contesta la inesistenza delle prestazioni rese e fatturate senza provare l’assunto. Al di là delle valutazioni svolte in merito alla presenza del requisito del fumus boni iuris assume valenza decisiva, al fine della presenta decisione, la verifica legata alla sussistenza del c.d. periculum in mora. Sul punto ritiene questo collegio che, come costantemente affermato sia dai Giudici di merito che dalla Suprema Corte, il richiamo alla mera sproporzione tra il patrimonio del contribuente e l’ammontare della pretesa creditoria in questione non possa di per se costituire elemento sufficiente su cui basare la concessione di un provvedimento cautelare.
Qualora fosse possibile ancorare la decisione relativa alla concessione delle misure cautelari sul presupposto della esistenza della mera sproporzione sopra citata si arriverebbe a sanzionare i contribuenti in base ad un elemento quantitativo( la consistenza patrimoniale ) piuttosto che sulla concreta esistenza di un pericolo per la riscossione del credito.
E’ dunque, necessario che sussista “il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito”, ossia il fondato timore che il contribuente disperda il proprio patrimonio. Spetta all’ufficio dimostrare che il contribuente ha posto in essere o è in procinto di porre in essere atti di disposizione o, altrimenti, comportamenti tali da sottrarre beni dal proprio patrimonio mettendo a rischio il credito vantato dall’erario.
Nel caso di specie non risultano comprovati quali siano gli atti posti in essere in grado di depauperare il patrimonio della società considerato che l’ufficio ha elencato una serie di beni immobili, nonché un serie di beni mobili registrati, sui quali chiedere di essere autorizzato ad iscrivere ipoteca e sequestro conservativo. La grave sproporzione tra pretesa creditoria fiscale e patrimonio del contribuente può costituire motivo fondante e giustificativo della misura cautelare. Circa i beni immobili intestati al coniuge non è stato prodotto l’atto di trascrizione nei RR.II. – l’onere in tal senso è del contribuente – dell’intestazione stessa, per cui tale atto è in (///) opponibile al terzo creditore; quanto ai mobili, vi è prova- l’atto notarile del 2010- della costituzione della srl T.L., pertanto, in mancanza di prova circa una ipotetica simulazione o l’esperimento di azione revocatoria, l’atto è opponibile al creditore.
P.Q.M.
La Commissione accoglie per quanto di ragione l’appello circa i beni mobili annullando il sequestro di essi, conferma nel resto. Giustificati motivi suggeriscono la compensazione delle spese processuali.
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