COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’Emilia-Romagna sentenza n. 2050 sez. 1 depositata il 23 giugno 2017
Ritenuto in fatto e in diritto
Con appello R.G.A. X il sig. F. F., rappresentato e difeso dall’avv. S. B. del Foro di Modena, impugnava la sentenza n. xx dell’11/7/2013 della Commissione tributaria provinciale di Bologna con la quale, preso atto dell’intervenuto rimborso dell’imposta Irap relativa alle annualità 2007, 2008 e 2009 versate in relazione allo svolgimento dell’attività di ingegnere, dichiarava l’estinzione del giudizio per sopravvenuta cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 46, d.lgs. n. 546/1992, compensando le spese di giudizio senza fornire alcuna motivazione a riguardo.
Nell’atto di appello il contribuente esponeva:
– di esercitare l’attività professionale di ingegnere in forma autonoma e senza supporto di organizzazione;
– di avere proposto in data 13/6/2013 istanza di rimborso Irap delle annualità 2007, 2008 e 2009 per un importo complessivo di ? 9.229,00 in relazione alla quale non era intervenuto da parte dall’Agenzia alcun provvedimento nei 90 giorni previsti dalla legge;
– di avere impugnato il silenzio rifiuto dell’Agenzia in data 28/11/2011, con ricorso RGR n. 2738/11, deducendo l’inesistenza del presupposto di cui all’art, 2 d.lgs n. 446/1992 in relazione al quale l’Agenzia, costituitasi in giudizio il 13/1/2012 riconosceva, nelle controdeduzioni, che dalla documentazione probatoria prodotta in atti era pacifica l’inesistenza del presupposto per l’applicazione dell’Irap perché l’attività professionale di ingegnere non risultava autonomamente organizzata e pertanto richiedeva la cessata materia del contendere a spese compensate.
Nel corso dell’udienza del 5 luglio 2013 il procuratore del contribuente dava atto dell’intervenuto rimborso nelle more del processo, associandosi, pertanto, alla richiesta dell’Ufficio di declaratoria della cessata la materia del contendere ma insistendo espressamente per la condanna dell’Agenzia alle spese di giudizio in virtù del principio della soccombenza virtuale.
Nella sentenza n. 126/13/13, depositata l’11/7/2013, la Commissione tributaria provinciale di Bologna ha preso atto dell’intervenuto rimborso e ha dichiarato l’estinzione del giudizio per la cessata la materia del contendere, compensando però le spese fra le parti senza alcun supporto motivazionale.
La sentenza è impugnata con il presente appello per violazione falsa applicazione dell’art. 15, comma 1 e dell’art. 46 comma 3, d.lgs. n. 546/92, nella parte relativa alla statuizione della compensazione delle spese di giudizio.
L’appellante assume le seguenti conclusioni: condannarsi l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Bologna, al rimborso delle spese processuali nella misura di euro 1.454,25, oltre Iva e Cpa, ovvero nella diversa misura che la Commissione dovesse ritenere.
L’appello è fondato.
Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 274 del 2005, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 46, d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui esclude la possibilità di condannare alle spese una delle parti in caso di dichiarazione di cessazione della materia del contendere, non vi è alcun ostacolo a confermare una sentenza di condanna al pagamento delle spese di giudizio dell’Agenzia delle entrate, poiché il tardivo rimborso, intervenuto nelle more del giudizio di primo grado, ed, in definitiva, il tardivo esercizio dei poteri di autotutela ripetutamente invocato dal contribuente, ben prima dello spirare del termine utile a ricorrere, ha causato il ricorso proposto dalla contribuente stessa e non ha consentito a quest’ultima di evitare l’impugnazione di una cartella scaturita da un evidente errore dell’Ente impositore (Comm. trib. reg. Roma, 279/38/2008 del 28/01/2008).
Con la sentenza 12 luglio 2005, n. 274, la Corte costituzionale ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’, nella parte in cui si riferisce alle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e, al tempo stesso, ha precisato che il processo tributario è in linea generale ispirato al principio di responsabilità per le spese del giudizio, sì che la compensazione ope legisdelle spese nel caso di cessazione della materia del contendere, rendendo inoperante quel principio, si traduce in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento (il ritiro dell’atto, nel caso dell’amministrazione, o l’acquiescenza alla pretesa tributaria, nel caso del contribuente) di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni e, corrispondentemente, in un del pari ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo tributario, dell’assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta a ricorrere alla mediazione (onerosa) di un professionista abilitato alla difesa in giudizio.
Con la sentenza 4 ottobre 2006, n. 21380 la Corte di Cassazione, Sez. V, proprio a seguito della sentenza della , ha precisato che il principio della responsabilità della parte soccombente per le spese di giudizio trova piena applicazione anche nel processo tributario e, dunque, il Giudice di merito che prenda atto del venir meno della materia del contendere, deve procedere ad una valutazione dell’esito virtuale della controversia e ben può accollare le spese alla parte virtualmente soccombente (nella specie l’Amministrazione che aveva annullato l’atto impositivo in autotutela).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in materia di c.d. lite temeraria, il carattere temerario della lite – che costituisce presupposto necessario per la condanna al risarcimento dei danni, accanto alla totale soccombenza e all’esistenza del danno stesso – va ravvisato nella coscienza della infondatezza della domanda delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza, non già nella mera opinabilità del diritto fatto valere» (Cass., sez. III, sentenza 6 giugno 2003, n. 9060).
Anche se alla cessazione della materia del contendere a seguito di annullamento dell’atto impugnato in sede di autotutela non può meccanicamente correlarsi la compensazione delle spese di lite, nella specie, il riconoscimento da parte dell’Agenzia del diritto del contribuente al rimborso perché privo del requisito dell’imprenditorialità risponde a un’ottica rispettosa dei principi costituzionali di ragionevolezza, di parità delle parti e di giusto processo.
In una prospettiva di equiparazione del processo tributario a quello civile ordinario che implica l’applicazione delle regole della soccombenza virtuale, non può che essere riconosciuta la giusta ragione del contribuente in un eventuale giudizio di indebito.
Sulla scorta di siffatto ordine di idee e valutazioni, osserva il Collegio che il contribuente aveva proposto istanza rimborso e aveva richiesto all’ente di provvedere al pagamento, avvenuto nelle more dei giudizio sì che lo stesso è stato causato dalla tardività del provvedimento.
L’unanime giurisprudenza è nel senso delle condanna alle spese di lite dell’Ufficio finanziario che – anche in pendenza di giudizio – non provveda in via di autotutela a restituire l’imposta non dovuta, poiché “la ragione di fondo del principio espresso dall’, secondo cui la parte soccombente è condannata al pagamento delle spese processuali, risiede nel fatto di dissuadere le parti dall’eccessivo ed ingiustificato ricorso al contenzioso”.
L’Agenzia, così operando, determina oneri procedurali che avrebbero potuto essere evitati e va condannata alla rifusione delle spese processuali; da un lato, infatti, l’annullamento in via di autotutela in pendenza di giudizio deve essere adeguatamente motivato per consentire al giudice tributario di conoscere e valutare le ragioni di tale definizione, oppure le circostanze non conosciute al momento in cui l’atto impositivo venne emesso, o altre specifiche situazioni; dall’altro, l’annullamento non produce, di per sé, la cessazione della materia del contendere, giacché questa comprende anche il regolamento delle spese di lite, sicché, non essendo stati precisati i motivi della definizione intervenuta, nel caso in esame non è applicabile l’, dovendosi invece fare riferimento all’art. 15 del medesimo decreto, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria va condannata al pagamento delle spese di giudizio.
L’appello deve essere conclusivamente accolto con tassazione delle spese del presente giudizio in base al principio della soccombenza.
La Commissione tributaria regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione I, definitivamente decidendo, accoglie l’appello del contribuente e, in riforma della sentenza impugnata:
condanna l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Bologna al rimborso delle spese processuali nella misura di euro 1.454,25, oltre Iva, cpa e interessi legali maturati sino al soddisfo;
pone, ex officio, a carico dell’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Bologna le spese del presente giudizio, liquidate forfettariamente e complessivamente nella somma di euro 1.000,00 (mille/00).
Bologna, addì 15 dicembre 2016
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