COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’Emilia Romagna sez. 11 sentenza n. 913 depositata il 14 marzo 2017
Avviso di liquidazione – Imposte di registro, ipotecaria e catastale – determinazione dell’imponibile sulla base del valore risultante della rendita catastale del bene – la conseguenza che la disciplina generale del prezzo-valore s’applica anche nel caso di rendita proposta
La controversia trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate di Forlì, con il quale sono state rettificate e liquidate le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale, relative alla compravendita di un fabbricato.
In particolare, l’Ufficio ha ritenuto non validamente avanzata la richiesta delle parti di determinare l’imponibile sulla base del valore risultante della rendita catastale del bene, poiché, avendo il fabbricato una rendita non definitiva ma solo proposta, non era stata formulata nell’atto di compravendita una espressa dichiarazione ai sensi dell’articolo 12 D.L. n. 70/1988 per domandare la tassazione sulla base della rendita catastale.
Pertanto, l’Ufficio stesso ha tassato l’atto sulla base del valore venale del bene. Avverso l’accertamento hanno proposto opposizione i contribuenti, contestando l’operato dell’Ufficio sia sotto il profilo procedurale, sia sotto quello sostanziale. S
pecificamente e sotto il profilo procedurale, si è eccepita l’illegittimità dell’avviso perché conseguente ad un accesso presso l’abitazione avvenuto senza l’autorizzazione della Procura della Repubblica, e perché emanato prima dello spirare del termine di 60 giorni dalla chiusura delle operazioni.
Nel merito, si è invece argomentato che nel rogito notarile era stata esplicitamente richiesta la tassazione in base al prezzo-valore catastale, ciò che impediva al Fisco di operare la tassazione sulla base del valore venale.
Ha invece resistito la parte pubblica, deducendo la correttezza del proprio operato sotto i profili procedurali e sostanziali.
La CTP ha disatteso le doglianze procedurali dei ricorrenti, argomentando che il consenso dei contribuenti e la presenza di loro tecnici di fiducia al momento dell’accesso presso l’immobile, rendeva superflua l’autorizzazione della Procura; che l’Ufficio non era tenuto ad osservare il termine di 60 giorni prima di emettere l’avviso, non avendo svolto operazioni di accertamento; che in ogni caso, non essendosi l’Ufficio avvalso dei risultati dell’accesso, nessun ipotetico vizio procedurale relativo all’accesso poteva essere fatto valere.
Nel merito, però, la CTP ha ritenuto fondate le contestazioni di parte contribuente, argomentando che la tassazione andava effettuata sulla base della rendita effettiva, essendo questa la chiara volontà delle parti emergente dall’atto; ed ha poi compensato le spese di lite.
Nei confronti della pronuncia di primo grado interpone appello l’Ufficio, ribadendo le proprie argomentazioni in ordine alla necessità di tassare l’atto sulla base del valore venale del bene, atteso che, al momento della vendita, il fabbricato aveva una rendita solo proposta e non ancora attribuita; e pertanto, per potere ottenere la tassazione sulla base automatica della rendita e per escludere quindi la possibilità per l’Ufficio di accertare il valore venale, occorreva una dichiarazione espressa ex articolo 12 D.L. n. 70/1988.
Hanno invece chiesto il rigetto del gravame i contribuenti, condividendo la ricostruzione della CTP in ordine all’importo della tassazione; e comunque reiterando, con eccezione riconvenzionale incidentale, le proprie doglianze relative alla procedura dell’accesso.
La controversia, come da richiesta delle parti, e decisa all’esito di pubblica udienza.
a) Così come espresso in parte narrativa, risulta per tabulas ed è comunque incontestato tra le parti che, al momento della compravendita, l’immobile oggetto di causa era censito in catasto, ma aveva una rendita meramente proposta e non anche attribuita; e che nell’atto di compravendita, la parte acquirente ha chiesto che la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, fosse costituita dal valore catastale dell’immobile, con la tassazione agevolata cosiddetta al prezzo-valore. Ciò premesso in linea di fatto, è noto che, in diritto, laddove la tassazione sia effettuata sulla base del valore catastale, si è in presenza di una valutazione automatica con la conseguenza che il prezzo indicato nell’atto non può costituire oggetto di accertamento di valore, essendo precluso all’amministrazione il potere di esperire la relativa azione e non potendosi sindacare la congruità rilevando l’eventuale inferiorità al valore venale del bene. Oggetto di causa tra le parti è quindi unicamente quello relativo al fatto che, così come dedotto da parte contribuente, la tassazione andasse effettuata con riferimento al valore catastale, ciò che renderebbe illegittimo l’accertamento del maggior valore venale effettuato dall’ufficio; ovvero che, così come dedotto dalla parte pubblica, non fosse applicabile la tassazione riferita al valore catastale, ciò che renderebbe legittimo l’accertamento effettuato dall’Ufficio in ordine alla parametrazione delle imposte al valore venale. In particolare, opina l’Ufficio che, trattandosi di immobile ancora sprovvisto di rendita definitiva, la tassazione riferita al cosiddetto prezzo-valore non discendeva automaticamente ed ex lege dall’art. 1 comma 497 L. n. 266/2005, ma andava espressamente richiesta dal contribuente ex art. 12 D.L. n. 70/1998; e non avendo il contribuente espressamente invocato tale norma, detta tassazione non poteva essere concessa, e quindi il prezzo indicato nell’atto poteva costituire oggetto di accertamento. Tanto premesso, ritiene il Collegio che la pretesa dell’ufficio non meriti accoglimento.
Invero, già con riferimento alla prima parte dell’assunto, e cioè che nel caso di fabbricato con rendita meramente proposta non si applica la normativa generale sul prezzo valore ex L. n. 266/2005, le conclusioni sono quantomeno opinabili: in realtà, deve replicarsi che la rendita catastale esiste tanto nel caso in cui sia attribuita, quanto nel caso in cui sia meramente proposta, con la conseguenza che la disciplina generale del prezzo-valore s’applica anche nel caso di rendita proposta; e l’ambito operativo dell’art. 12 D.L. n. 70/1998, a tenore del quale l’applicazione della disciplina del prezzo valore deve essere espressamente richiesta, è circoscritto alle situazioni in cui la rendita catastale non esiste perché il fabbricato non è iscritto in catasto, cosi come emerge dalla stessa norma. Ciò è confermato anche dallo studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 133/2015, nonché dalla giurisprudenza di merito che ha affrontato funditus la questione (cfr. CTP Bologna 6/12/2016, CTP Temi n. 222/2011). Tutto ciò basta per rigettare l’appello. In ogni caso e comunque, anche a volere in mera ipotesi diversamente opinare e ritenere quindi che nel caso di rendita proposta l’applicazione del prezzo-valore debba essere richiesta, nel caso che qui occupa la richiesta è stata espressamente formulata a pagina nove del rogito, dove si legge che la parte acquirente, a fini fiscali, domanda che la base imponibile delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, sia costituita dal valore catastale dell’immobile, cosi come previsto dall’articolo 1 comma 497 della legge 266/2005, norma generale e successiva rispetto a quella del D.L. n. 154/1988 che l’Ufficio lamenta non essere stata invocato. È quindi del tutto pacifica ed inequivoca la volontà delle parti di utilizzare l’istituto del prezzo-valore, con la tassazione parametrata al valore catastale ed a prescindere dall’eventuale maggior valore venale, senza che sia necessario l’utilizzo di formule sacramentali o di espressa citazione del D.L. n. 154/1988. Pertanto, anche da questo angolo visuale l’appello andrebbe comunque rigettato.
b) In ragione di tutto quanto sopra, l’appello va rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Rimane assorbita l’eccezione riconvenzionale incidentale formulata da parte appellata in ordine alla pretesa illegittimità dell’accesso. Non vi sono motivi per derogare ai principi generali codificati dagli artt. 15 D.Lgs. n. 546/1992 e 91 C.P.C. in tema di spese di lite, che, liquidate come da dispositivo con riferimento al D.M. n. 55/2014, sono quindi poste a carico del soccombente Ufficio appellante ed a favore dei vittoriosi contribuenti appellati, in solido tra loro.
la Commissione Tributaria Regionale di Bologna sez. XI
– rigetta l’appello;
– condanna l’Amministrazione Finanziaria a rifondere a C.A. e C.S., in solido, le spese di lite del grado di giudizio, che liquida in ? 6.000 per compensi, oltre IVA, CP e rimborso spese forfettarie.
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