COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE LOMBARDIA – Ordinanza 22 novembre 2017, n. 1826
Processo – Istanza di sospensione in pendenza di ricorso in cassazione – Sentenza di rigetto dell’originario ricorso – Sentenza dichiarativa – È tale – Inammissibilità dell’istanza cautelativa
Con istanza del 6 ottobre 2017 la srl E. ha chiesto la sospensione, “ex artt. 49 D.Lgs. n. 546/1992 e 373 cod.proc.civ.” della sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano del 21 luglio 2016 che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio ed in riforma della sentenza di primo grado, aveva respinto il ricorso avverso ravviso di accertamento attinente ad IRES, IVA ed IRAP relative all’anno 2008 imputante un debito di complessivi euro 4.606.328,22 oltre accessori – avviso che per contro era stato invalidato dalla anteriore Commissione.
La società contribuente a fondamento dell’odierna istanza cautelare in pendenza dei ricorso per cassazione poi proposto (e documentato) invoca quale presupposto la sussistenza del c.d. fumus boni iuris alla stregua delle censure formulate in quel giudizio circa le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, e quanto al c.d. periculum in mora dichiara di trovarsi nella impossibilità oggettiva di far fronte al pagamento intimatole dall’Agenzia delle entrate in misura di euro 4.631.400,48, paventando così l’incombenza, in ragione della sua situazione finanziaria attuale, di una procedura concorsuale.
L’Agenzia delle entrate si è costituita con atto pervenuto questo stesso giorno di udienza. Ciò premesso, la possibilità di inibitoria della provvisoria esecuzione domandata a norma – come deve oggi correttamente qualificarsi – dell’articolo 62-bis del D.Lgs. n. 546/1992 si fonda esclusivamente, giusta il chiaro disposto normativo, sulla ravvisata possibilità di un “grave e irreparabile danno” derivante dall’esecuzione della sentenza.
Ne risulta per contro in modo univoco restare esclusa ogni valutazione riferita ai termini della decisione resa e/o comunque rilevanti nel promosso giudizio di cassazione, poiché alla Commissione investita del presente procedimento a carattere cautelare non è allo stato consentito alcun riesame del proprio precedente operato ne! giudizio di merito in precedenza definito, e che in tal caso verrebbe a costituire – non di altro infine si tratterebbe – una sorta di istanza ulteriore avanti ad essa, per di più svolta attraverso una cognizione sommaria, ovvero a carattere delibatorio circa postulatisi errori procedurali e/o di giudizio.
Il che sarebbe con oggettiva evidenza contraddittorio ed incompatibile, soprattutto alla stregua di un imprescindibile ordine logico/giuridico e sistematico per essersi invece esperita in precedenza una cognizione ordinaria, ovvero a carattere pieno, circa le questioni implicate nelle statuizioni censurate, le quali hanno in realtà segnato l’attuale esaurimento dei poteri in senso proprio decisori conferiti dalla legge processuale all’organo giudicante di secondo grado.
Il criterio del fumus boni iuris è pertanto in questa sede del tutto inapplicabile, in quanto non pertinente.
Quanto piuttosto – e soltanto – all’evocato pericolo di un danno grave ed irreparabile che si assume inerire all’esecuzione della sentenza di secondo grado, converrà pregiudizialmente considerare che la sentenza di appello si sostituisce alla sentenza impugnata con immediata valenza caducatoria, come si desume dal testo riformato dell’articolo 336 secondo comma cod.proc.civ., che ha eliminato la subordinazione dell’effetto rescindente della pronuncia di riforma al suo previo passaggio in giudicato, e ciò sia in caso di conferma che di riforma avente per oggetto il merito del rapporto controverso, ovvero il contenuto della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio.
E in pari tempo, è da aggiungersi, resta esclusa una possibile reviviscenza della sentenza di primo grado (cosicché nemmeno avrebbe dunque valenza, né conferenza alcuna il richiamarsi in ipotesi alla statuizione favorevole colà conseguitasi).
L’appello, detto altrimenti ancora, costituisce un mezzo di impugnazione che, attuando il principio del doppio grado di giudizio, si conclude con una sentenza destinata (purché investa il merito del rapporto controverso) a sostituirsi da subito a quella di primo grado, ad ogni effetto.
La sentenza resa in grado di appello, quale di rigetto dell’originario ricorso avverso l’avviso di accertamento e della cui esecutività si richiede in questa sede la concessione di interinale sospensione, a ben vedere possiede dunque un eminente carattere dichiarativo, perché essa si risolve con evidenza in un accertamento di infondatezza dell’opposizione originaria della contribuente, e per tale sua natura non è comunque in sé suscettiva di sospensione.
Detto preteso provvedimento inibitorio, infatti, essendo ormai venuta meno la sentenza della Commissione tributaria provinciale, in concreto lascerebbe comunque del tutto immodificata l’operatività perdurante dell’atto amministrativo d’imposizione; cosicché, in conclusione, l’istante non possiede alcun apprezzabile interesse giuridico ai sensi dell’articolo 100 cod.proc.civ. nell’avanzare l’istanza in esame, che risulta e dovrà essere pertanto dichiarata inammissibile.
Quanto alle spese non vi è luogo a provvedere, atteso che la costituzione avversaria è avvenuta solo in inizio di udienza, e dunque di là da ogni postulabile termine rispettoso del principio del contraddittorio, nonché della possibilità di sua tempestiva conoscenza dell’atto da parte della stessa Commissione, a pena di altrimenti causare un differimento dell’incombente in sé non giustificabile; e si tiene cioè conto della opposizione (ammissibile nella presente fase incidentale) siccome formulata al fine in discussione in forma meramente orale, e non idonea pertanto a comportare una statuizione di condanna in merito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile l’istanza di sospensione della sentenza suindicata. Nulla per le spese.
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