COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE LOMBARDIA – Sentenza 05 marzo 2018, n. 909
Sanzioni – Giudizio penale – Giudizio tributario – Ne bis in idem – Non sussiste
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Monza e della Brianza, ha interposto gravame avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, in epigrafe indicata, che ha accolto il ricorso presentato dal contribuente, S. B., avverso gli avvisi di accertamento come sopra meglio specificati. Lamenta l’Ufficio, in merito all’annullamento dell’accertamento per decadenza dei termini di accertamento, che i giudici di prime cure sarebbero incorsi in violazione e falsa applicazione di legge, errata valutazione di fatti e circostanze, insistendo per il riesame del merito e l’accoglimento dell’appello.
L’Ufficio così concludeva:
riformare integralmente la sentenza di primo grado dichiarando la legittimità degli avvisi di accertamento n. TD9501DI02003-2015 (2006), TD9501DI02012-2015 (2007), TD9501DI02014-2015 (2008) e TD9501DI02019-2015 (2009) emessi nei confronti del sig. B. S.;
– con vittoria delle spese di lite del doppio grado.”
Si è costituito il contribuente controdeducendo e chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
Concludeva chiedendo:
-in via principale, rigettare l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Monza e Brianza e, per l’effetto, confermare la sentenza n. 4465/26/16 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano;
– in subordine, nella denegata ipotesi di riforma della sentenza, per il secondo motivo, dichiarare non dovute le sanzioni irrogate con gli avvisi di accertamento impugnati;
-in subordine, nella denegata ipotesi di riforma della sentenza di primo grado, rideterminare le sanzioni amministrative dovute in misura del 90% dell’imposta accertata con applicazione del cumulo giuridico ex art. 12, comma 5, D.Lgs. 472/1997-
Con vittoria di spese e competenze di entrambi i gradi di giudizio.
Il ricorso in appello è stato quindi esaminato e deciso nell’odierna udienza.
Motivi della decisione
A sensi degli artt. 132 secondo comma n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. la motivazione della sentenza consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi.
A norma dell’art. 16 bis, comma 9 octies del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221 (comma aggiunto dall’art. 19, comma 1, lett. a), n. 2 ter) del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015 n. 132), la presente sentenza viene redatta in maniera sintetica, tenendo conto delle indicazioni contenute nel decreto n. 136 in data 14.9.2016 del Primo Presidente della Corte di Cassazione.
L’esame delle questioni poste dalle parti seguirà il criterio della ragione più liquida (Cass. S.U. 8.5.2014 n. 9936; Cass. 28.5.2014 n. 12002).
La questione riguarda l’accertamento che l’Ufficio ebbe ad eseguire nei confronti della società B. srl, all’epoca dei fatti partecipata dal contribuente al 50%, accertando, determinando un maggior reddito imponibile per gli anni dal 2006 al 2009, contestando l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
A seguito di ciò contestava al contribuente, socio e a ministrato re della B. srl, il conseguimento di un maggior reddito derivante dalla distribuzione di utili extra-bilancio e da assoggettare a tassazione secondo le regole sancite dall’art. 47 del TUIR 917/86, che dispone per le persone fisiche non imprenditori che gli utili percepiti da partecipazioni qualificate concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40% e, dal 2008 in poi, limitatamente al 49,72%.
L’accertamento in capo alla B. srl traeva origine da attività investigativa penale svolta nei confronti delle ditte individuali C. L., T. A. G. e C. C. (procedimento RGNR 4231/12 presso del Tribunale di Monza per i reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti), e nei confronti dei soggetti appartenenti al sodalizio facente capo al faccendiere svizzero G. G. (procedimento RGNR 41063/10 presso il Tribunale di Milano, sempre per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti), da cui discendeva il procedimento penale RGNR 2511/11, presso il Tribunale di Monza, nei confronti del sig. S. B., odierno appellato, dal quale emergeva che la B. s.r.l. era stata la destinatarie e il soggetto utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti emesse dai soggetti sopra indicati: di qui l’accertamento del maggior reddito d’impresa in capo alla società e di riflesso in capo ai due soci al 50% (S. B. e sua moglie Maria Angela Quarti).
I giudici di primo grado hanno ritenuto la notifica dell’accertamento nei confronti del socio eseguita oltre il termine decadenziale di legge, perché non operante il raddoppio dei termini in quanto “L’omessa dichiarazione di utili distribuiti extrabilancio … non ha rilievo penale, pur derivando da un reato commesso dallo stesso ricorrente in qualità di amministratore.”
Entrando nel merito della questione questo giudice osserva che raddebito fiscale ai soci consegue all’accertamento legittimamente effettuato nei confronti della società, sia per la posizione di amministratore del socio, che quella di detenzione di quota societaria qualificata (e detenere il 50% di quote di una società è indubbiamente una partecipazione qualificata), e tali qualità escludono la natura di terzi dei soci rispetto alla società; come pure è esclusa quella di una distinta notificazione ai singoli soci del processo verbale di constatazione contenente la contestazione di fatti di reato commessi dall’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni in vista di un vantaggio (illecito) comune costituito dal maggiore reddito sociale imputato per trasparenza ai soci ai sensi dell’art. 5 del TUIR, derivante da operazioni oggettivamente inesistenti e falsamente fatturate con conseguenti dichiarazioni infedeli IRPEF anche dei singoli soci (cfr. sent Cass. 20043/2015, che ha ritenuto applicabile, come nel caso di specie, il raddoppio dei termini ai soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa).
Non accoglibile l’eccezione dell’impossibilità di irrogazione delle sanzioni non essendo stato il contribuente condannato in sede penale, in quanto l’irrogazione delle sanzioni penali e quelle amministrative non si pongono in contrasto col principio del ne bis in idem trattandosi di due regimi distinti.
Per quanto concerne il calcolo della sanzione l’Ufficio ha correttamente applicato il cumulo materiale, in quanto quello giuridico risulterebbe essere superiore al primo.
Mentre a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs 158/15 la sanzione andrà ridotta dal 100% al 90%.
Le questioni qui definite esauriscono la controversia, essendo, i motivi di doglianza non espressamente esaminati, ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque non idonei a condurre ad una conclusione di segno diverso.
Assorbito e superato ogni altro motivo di gravame e resistenza.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo già ridotte di 1/5 per parziale limitata soccombenza dell’appellante.
P.Q.M.
Accoglie l’appello dell’Ufficio, riformando integralmente la sentenza di primo grado, anche in punto di spese di lite, e per l’effetto conferma gli avvisi di accertamento di cui è causa, limitando l’importo della sanzione al 90% della maggior imposta dovuta.
Liquida a favore dell’ufficio le spese di lite del doppio grado, già ridotte di 1/5 per parziale soccombenza, determinandole in euro 8.290,00, oltre il 15% per rimborso forfettario spese generali.
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