COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’Umbria sentenza n. 416 sez. 2 depositata il 22 settembre 2016
Massima
La CTP di Terni aveva rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento emesso dalla società di riscossione del comune di Terni, per il recupero dell’imposta comunale sulla pubblicità relativa alle scritte poste sugli autoveicoli di un istituto di vigilanza privata. La sentenza della CTR perugina, riformando in toto la pronuncia di primo grado, ha invece accolto l’appello della contribuente escludendo che l’apposizione dei contrassegni distintivi sulle auto abbia intento pubblicitario. I giudici di appello hanno, infatti, rilevato che, per questioni di immediata identificabilità, a norma del D.M. n° 269/2010, all. A) punto 5.3, detti contrassegni, aventi le caratteristiche approvate dall’autorità competente sugli automezzi impiegati nei servizi di vigilanza, sono obbligatori.
Le norme regolatrici vigenti obbligano gli Istituti di Vigilanza Privata operanti in Italia a dotare i propri autoveicoli di contrassegni distintivi e identificativi. Le dimensioni di tali contrassegni non sono discrezionali ma rimessi alla autorizzazione dell’autorità di P.S. ragion per cui in essi non sussiste alcun intento pubblicitario e viene quindi a mancare il presupposto per il pagamento dell’imposta comunale sulla pubblicità quando, come in specie, non riportano né l’indirizzo della sede dell’Istituto né il telefono, ma soltanto l’indicazione di un numero di reperibilità per il “pronto intervento”.
OGGETTO DELLA DOMANDA E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società — srl con sede in Terni ha interposto tempestivo appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Terni del 14/4/15 che ha rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento emesso dalla — srl, concessionaria del Comune di Terni, per violazione dell’imposta comunale sulla pubblicità anno 2014, contenuta su n.4 autoveicoli della società —, irrogando altresì sanzioni per complessivi euro 318,00.
Il contribuente impugnava l’avviso per cui è causa eccependone la illegittimità assumendo che il TULPS, il Regolamento di esecuzione e il D.M. 269/10 (vigente dal 15/3/11) obbligano gli istituti di vigilanza privata a rendere immediatamente riconoscibili i propri automezzi tramite applicazione di contrassegni distintivi e del logo istituzionale; tale obbligo rende inapplicabile il D.Lgs.507/93, che disciplina l’imposta di pubblicità, in quanto i contrassegni distintivi non sono diretti ad alcuna funzione pubblicitaria-commerciale ma finalizzati ad assicurare la facile ed immediata riconoscibilità delle autovetture dell’istituto da parte delle Forze dell’Ordine.
L’— si costituiva in giudizio contestando ogni punto del ricorso e i primi giudici rigettavano medesimo rilevando che le scritte sui veicoli avrebbero dovuto e potuto essere più contenute e che nella specie l’imposta fosse dovuta.
Ora la contribuente appella tale decisione ritenuta errata e censurabile per irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione: deduce infatti l’errore interpretativo compiuto dai primi giudici e, dopo aver richiamato le norme regolatrici dell’attività di vigilanza privata, evidenzia l’obbligo che gli automezzi della — siano dotati di contrassegni distintivi e del logo dell’Istituto approvati dalle competenti autorità (nella specie la Questura di Terni) e, in esecuzione del D.M. 269/10, la società predisponeva il suo regolamento interno che, in data 11/6/13 era approvato dal Questore di Terni.
Deduce che i contrassegni, anche circa la loro dimensione, non sono rimessi alla libera discrezionalità dell’Istituto ma devono avere caratteristiche dimensionali ben precise (autorizzazione del Questore) ragion per cui è illogica ed erronea la sentenza che afferma che le scritte avrebbero potuto essere più contenute nella loro dimensione atteso che queste debbono assicurare l’immediata identificabilità dei veicoli e sono state debitamente autorizzate.
Deduce lerroneità della sentenza laddove ritiene sussistere il presupposto dellimposta pubblicitaria ma, nella specie, la scelta di apporre i contrassegni, non è volontaria ma obbligatoria per lo svolgimento dellattività ed esclude categoricamente qualsiasi effetto pubblicitario.
Conclude pertanto chiedendo la riforma della sentenza con annullamento dell’avviso e vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio; in via subordinata chiede la compensazione delle spese di lite
Il concessionario — srl si è regolarmente costituito in giudizio presentando controdeduzioni all’appello chiedendone il rigetto rilevando la correttezza della sentenza ed il fatto che la tesi dell’appellante circa l’esclusione delle scritte dei suoi veicoli dall’alveo del D.Lgs. 507/93 è infondata.
Deduce che i veicoli della — presentano ben 4 scritte: sulle 2 portiere, sul cofano anteriore e sul lunotto posteriore ed allega fotografie dei mezzi rilevando che le scritte, ripetute più volte, concretizzano una forma pubblicitaria (cita cass.9580/94); riproducono infatti il nome della società, il suo sito internet ed il numero di telefono di pronto intervento configurando quindi un messaggio pubblicitario fatto nell’esercizio di una attività economica a scopo di lucro, volto a promuovere la domanda del servizio stesso.
Deduce ancora l’infondatezza dell’appello evidenziando che l’appellante dichiara l’obbligatorietà delle scritte ma non documenta i presupposti circa il numero e la tipologia delle scritte medesime: alla specie non si applica poi l’esenzione dell’art. 13 comma 4, essendo ben superiori per dimensioni.
Dopo aver citato giurisprudenza di merito favorevole alla tassazione, la concessionaria conclude chiedendo il rigetto dell’appello con vittoria di spese.
La causa era trattenuta in decisione all’udienza pubblica odierna dopo aver sentito i rappresentanti delle parti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è fondato e merita accoglimento: appaiono infatti condivisibili le censure mosse alla decisione dei primi giudici in quanto nella fattispecie non sussiste il presupposto dell’imposta pubblicitaria perché la scelta di apporre i contrassegni sugli autoveicoli non è volontaria ma obbligatoria per lo svolgimento dell’attività di vigilanza e per il riconoscimento immediato dell’autovetture da parte delle forze dell’ordine e in genere, dei cittadini.
Il D.M. n. 269/2010 all’allegato A) punto 5.3 richiede la disponibilità di mezzi di locomozione e di trasporto conformi alle disposizioni in vigore, muniti dei propri contrassegni; inoltre l’allegato D) punto 2.b co. 4 dispone che gli automezzi devono essere, quando impiegati nei servizi di vigilanza . sempre dotati dei contrassegni distintivi dell’istituto nelle caratteristiche approvate dall’autorità competente e al punto 3.c è previsto altresì che il servizio di vigilanza è svolto con veicolo .. con i contrassegni distintivi e il logo dell’istituto.
In buona sostanza le norme vigenti fanno obbligo a tutti gli istituti di vigilanza privata operanti in Italia di dotare i propri autoveicoli con contrassegni distintivi ed identificativi dell’istituto stesso e le dimensioni di tali contrassegni non sono rimesse alla discrezionalità dell’istituto privato ma devono avere caratteristiche dimensionali, per altro autorizzati dall’autorità di P.S., tali da consentire l’immediata riconoscibilità degli stessi.
Tale logica esclude pertanto i contrassegni da qualsiasi intento pubblicitario né l’istituto avrebbe potuto apporre sugli autoveicoli, come ritenuto dai primi giudici, scritte di carattere più contenuto che non avrebbero potuto assicurare una adeguata e immediata identificabilità dei veicoli stessi soprattutto nelle ore notturne.
L’apposizione dei contrassegni sugli autoveicoli di servizio costituisce quindi uno dei requisiti operativi e qualitativi richiesti dalle norme regolatrici dell’attività di vigilanza privata cui la — S.r.L. si è obbligatoriamente attenuta.
Ad escludere ogni natura commerciale ai contrassegni menzionati, supporta altresì il fatto che gli stessi non riportino né l’indirizzo della sede dell’appellante né il suo numero di telefono ma soltanto il logo dell’istituto ed il telefono di “pronto intervento”.
La sentenza dei primi giudici deve essere pertanto riformata con accoglimento del ricorso della contribuente e l’annullamento dell’avviso di accertamento per cui è causa.
Le spese seguono il principio della soccombenza.
P. Q. M.
la Commissione Tributaria Regionale accoglie l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso della contribuente; condanna l’— al pagamento delle spese di giudizio liquidate complessivamente in euro 200,00.
Così deciso in Perugia l’11 luglio 2016
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