COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MARCHE – Sentenza 10 luglio 2020, n. 371
Tributi – Accertamento – Redditometro – Disponibilità di autoveicoli e immobili – Spese di mantenimento – Presunzione legale relativa, ex art. 2728 c.c., di capacità contributiva – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Con sentenza n. 24/03/13 dell’11 dicembre 2012/18 gennaio 2013, la CTP di Ascoli Piceno respingeva, con condanna alle spese, ricorso di G. L., quale titolare di una ditta di articoli da viaggio, borse, ecc. fino al 31.12.2005 e dal 27.05.2004 socio per il 99% della società “G. P. srl” ( il restante 1% di proprietà della figlia) avverso avviso di accertamento n. TQ5010401283/2011 dell’Agenzia Entrate di Fermo che, sulla base di un controllo effettuato dall’Ufficio ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 600/1973, relativamente all’annualità d’imposta 2006, aveva elevato il reddito dichiarato da zero ad € 74.819,00. L’ufficio aveva ricostruito la situazione reddituale e patrimoniale del contribuente che, nella qualità indicata, negli anni 2006, 2007 e 2008 aveva dichiarato un reddito, rispettivamente, di € 0,00; € 621,00; € 0,00.
Riferiva l’Ufficio che nelle predette annualità il contribuente risultava residente in un immobile di proprietà in M. ed avere la disponibilità di due autorimesse. Al predetto l’Ufficio attribuiva la quota di spesa necessaria per il mantenimento di autovettura Renault, per gli anni 2006 e 2008, e di Mercedes, per gli anni 2006, 2007 e 2008, entrambe di proprietà della moglie S. G. Sempre al ricorrente l’Ufficio attribuiva anche la spesa per il mantenimento di autovettura BMW e le locazioni di fabbricati nel 2006 e nel 2008 riconducibili alla figlia G. D. che non aveva dichiarato alcun reddito per le predette annualità. Infine, al ricorrente l’Ufficio attribuiva anche la spesa di autovettura Mini Cooper acquistata dal figlio G. R. nel 2008 per l’importo di € 28.000,00. Nel ricorso originario il contribuente sosteneva che nella determinazione del reddito disponibile andava anche aggiunto l’importo di € 65.521,62 quale ulteriore disponibilità avuta nel 2006 per plusvalenze realizzate in tale annualità. Inoltre non andavano considerate spese per manutenzioni e utenze del locale di mq. 187 in quanto lo stesso locale era utilizzato come bene strumentale dalla “G. P. srl” a titolo gratuito fin dal 2005. Ancora, relativamente all’incremento patrimoniale di 1/5 di € 28.000,00 esso non andava considerato come spesa incrementativa del ricorrente in quanto il figlio G. L. aveva un reddito sufficientemente capiente per giustificare l’incremento. In sede di costituzione in giudizio e controdeduzioni, l’Ufficio respingeva le argomentazioni difensive del ricorrente sia in ordine alla plusvalenza realizzata nel 2006, sia per le spese legate all’incremento patrimoniale di € 28.000,00 riconducibili al figlio che per le spese di manutenzione e utenze delle autorimesse in quanto entrambi i locali accoglievano le cinque autovetture di proprietà dei membri della famiglia. Nella impugnata sentenza si affermava che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione del cosiddetto redditometro dispensa l’Amministrazione Finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto agli indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere, e pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 18604 del 29.10.2012). Spettava, dunque, alla parte contribuente fornire la prova contraria rispetto alla presunzione stabilita ex lege; che nel caso in esame, a fronte della meticolosa ricostruzione effettuata dall’Ufficio in merito alla relazione esistente tra il possesso di beni, in particolare di autovetture e di beni immobili, le spese sostenute dal ricorrente e dai suoi famigliari, da una parte e il reddito del ricorrente e dei suoi famigliari, dall’altra, il ricorrente non era stato in grado di offrire adeguati elementi tali da contrastare efficacemente le risultanze dell’Ufficio; che in primo luogo, la pressoché inesistenza di reddito in capo al ricorrente, rappresentava un dato fondamentale ai fini delle contestazioni mosse dall’Ufficio; che la tesi della disponibilità finanziaria di una plusvalenza realizzata nel 2006 non convinceva per il semplice fatto che il ricorrente, al di là della mera dimostrazione di aver conseguito la suddetta plusvalenza, non dimostrava però la materiale disponibilità di tale somma, atteso che dagli atti sembra potersi ritenere che la plusvalenza sia stata reinvestita e, quindi, non era nella libera disponibilità del contribuente; che infatti dalla documentazione bancaria allegata risultavano una serie di addebiti ed accrediti riconducibili ad operazioni di compravendita di titoli; che gli ulteriori elementi riscontrati dall’Ufficio e riportati nell’atto di accertamento, apparivano fondati e supportati da sufficiente motivazione, né risultavano contrastati dal ricorrente con adeguate argomentazioni e idonea documentazione. Con tempestivo appello, depositato il 9 agosto 2013, il contribuente ha impugnato la sentenza sfavorevole sopra citata, premettendo che in data 18/02/2012 aveva presentato istanza di accertamento con adesione giustificando il mantenimento dei beni indice di capacità contributiva con le plusvalenze realizzate nell’anno 2006 di € 65.521,62 (allegava certificazione bancaria delle stesse) e contestando alcuni beni indice rilevati dall’Ufficio come la residenza principale, indicata in mq. 240 quando in realtà è da considerare solo per 146,50 mq perché per due locali esiste un contratto di comodato gratuito alla G. P. S.r.l., registrato presso l’Agenzia delle Entrate il 10/02/2005, secondo il quale gli stessi sono concessi in uso alla S.r.l. che ne sostiene i costi di gestione, manutenzione e le utenze ; esponendo che la sentenza appariva meritevole di riforma relativamente alla parte preliminare nella quale il giudice ritiene di dispensare l’amministrazione finanziaria dall’onere della prova ribaltandola sul contribuente, considerando l’accertamento da redditometro una presunzione legale, mentre invece trattasi di presunzione semplice; ribadendo che la presunzione è stata superata, avendo il contribuente dimostrato la disponibilità di redditi da disinvestimento e confutato i beni indice di capacità contributiva (ad es. alcuni locali sono concessi in comodato d’ uso gratuito; la residenza principale è di 146,50 mq. E non di 240 mq…); ritenendo applicabile al caso di specie il nuovo redditometro di cui al DM 24.12.2012, in forza del quale il contribuente risulta coerente, in virtù dell’applicazione retroattiva di disposizioni procedimentali. Chiede di riformare la sentenza impugnata, con l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, dichiarare l’annullamento dell’atto impugnato. Con vittoria di onorari, diritti e spese dei due gradi di giudizio e condanna dell’Ufficio al pagamento di quanto indebitamente riscosso, ai sensi dell’art. 69 D.Lgs. 546/92. Altresì, non aver luogo le sanzioni irrogate in quanto l’azione o l’omissione, eventuale, è stata commessa senza dolo o colpa. L’ Agenzia Entrate di Fermo si è costituita depositando il 28 ottobre 2013 controdeduzioni, chiedendo in estrema sintesi la declaratoria di infondatezza dell’appello con conseguente reiezione dello stesso e conferma integrale della sentenza di primo grado e dell’atto di accertamento impugnato, e con vittoria di spese. Con memorie illustrative depositate in data 25 maggio 2015 il contribuente invocava nullità dell’accertamento perché sottoscritto da persona non munita di delega o di attribuzione del relativo potere, eccezione sollevata non in primo grado in quanto solo in prossimità di quella data la Corte Cost. con la sentenza n. 37 del 2015 ha dichiarato illegittima la nomina senza concorso pubblico dei dirigenti dell’Agenzia delle Entrate e l’attribuzione asseritamente temporanea da parte di tale Ufficio di incarichi dirigenziali vacanti a funzionari già in servizio, in violazione delle procedure concorsuali previste dalla legge. Con memorie illustrative del 24.6.2020 l’Agenzia Entrate di Fermo ribadiva le proprie posizioni e richieste, eccependo l’inammissibilità dei motivi aggiunti da controparte con le memorie integrative del 22.5.2015. La controversia è stata trattata in camera di consiglio. L’appello è infondato e va respinto, in quanto la sentenza, con motivazione congrua, nel respingere il ricorso, ha correttamente confutato le eccezioni sollevate dal contribuente ed ha con divisibilmente ritenuto l’infondatezza delle argomentazioni difensive del G. nel merito, facendo ineccepibile uso dei principi consolidati in materia di onere della prova. Preliminarmente, l’Agenzia Entrate di Fermo ha descritto il quadro della situazione familiare del contribuente negli anni oggetto dell’accertamento, in particolare rilevando che i genitori del predetto non fanno parte dello stesso nucleo familiare, e comunque hanno una situazione reddituale che non gli consente di fare fronte alle spese per il mantenimento dei beni indici di capacità contributiva del figlio. Quindi, è stata esaminata analiticamente la situazione reddituale e patrimoniale dei familiari e in conclusione l’attività dell’Ufficio è stata finalizzata alla verifica della disponibilità e dell’acquisto dei beni indicati nella tabella allegata al D.M. 10/9/1992, per ciascuno dei quali sono indicati indici e coefficienti presuntivi da utilizzare nel calcolo del reddito sintetico. L’Ufficio ha poi sottolineato l’errata interpretazione fatta dall’appellante circa la metodologia sottesa all’accertamento sintetico/redditometro. La disponibilità dei beni, nell’ambito dell’accertamento ai sensi dell’art. 38, comma 4 e seguenti del DPR 600/73, costituisce, al contrario di ciò che sostiene il contribuente, presunzione legale relativa e, conseguentemente, l’onere della prova è a carico del contribuente, il quale, nel suo interesse, deve dimostrare in modo puntuale e rigoroso, il contrario di quanto sostenuto dall’Ufficio. Vige il principio consolidato che in materia grava sul contribuente l’onere di dare concreta e rigorosa dimostrazione che il reddito imputatogli, sulla base di fatti ed elementi certi, non esiste ovvero esiste in misura inferiore. Nel merito della controversia e delle eccezioni in appello ulteriormente ribadite da controparte, l’Ufficio conferma quanto già contro dedotto al ricorso in primo grado e cioè che l’appellante, al fine di provare di essere in possesso di disponibilità finanziarie con cui far fronte alle spese, ha allegato al ricorso, e in seguito, all’appello due certificazioni di plusvalenze rilasciate dalla C., sia nel 2006 che nel 2007; tali certificazioni rientrano in una serie di operazioni di natura finanziaria che il contribuente ha posto in essere nel periodo 2006/2008, che però hanno riguardato un’alternanza di addebiti/accrediti ovvero vendite/acquisti di titoli con un certa assiduità e cadenza temporale. Su tale aspetto la sentenza dei giudici di primo grado correttamente ha rilevato che la tesi della disponibilità finanziaria di una plusvalenza realizzata nel 2007 non convince in quanto il contribuente, al di là della mera dimostrazione di aver conseguito la suddetta plusvalenza, non dimostra la materiale disponibilità della somma. u00C8 noto, quanto. agli avvisi di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi effettuati con metodo sintetico, che essi dispensano l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova dell’esistenza dei fattori -indici della capacità contributiva (nel caso di specie questi sono stati ammessi e dichiarati dalla parte), restando a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o sia inferiore (cfr. ex multis Comm. Trib. Reg. Cagliari (Sardegna), sez. I, 10 maggio 2019, n. 292). In tema di accertamento sintetico, ai sensi dell’art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, infatti, una volta che l’amministrazione abbia dimostrato, anche mediante un unico elemento certo, la divergenza tra il reddito risultante attraverso la determinazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest’ultimo è onerato della prova che l’imponibile così accertato è costituito, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti ovvero da finanziamenti di terzi (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 13602 del30/05/2018 Rv. 648745-01 e precedenti e successive conformi). La tesi dell’appellante per cui, ai fini dell’applicazione del metodo sintetico, l’Ufficio dovrebbe ricercare altre prove diverse ed ulteriori rispetto all’applicazione degli “indici” non tiene in considerazione il diritto vivente che ritiene quella presuntiva una prova legale, sia pure relativa, di fronte alla quale opera una inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che ha l’onere di dimostrare che gli indici di ricchezza sono stati supportati da redditi esenti ovvero soggetti a ritenuti alla fonte. Sul punto, a comprova della imponente ed uniforme produzione giurisprudenziale, si leggano gli arresti di Cass. 7 .1.2019 n. 149 (L’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta. A tal fine, si richiede però qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi, dovendosi ancorare a fatti oggettivi, dì tipo quantitativo e temporale, la disponibilità dei redditi), di Cass. 7.9.2018 n. 21783. (L’accertamento sintetico è illegittimo se gli incrementi patrimoniali possono essere giustificati dai regali di nozze, dalla donazione paterna e dalle somme riscosse a titolo di risarcimento assicurativo. Costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta i regali di nozze, la donazione paterna e le somme riscosse a titolo di risarcimento assicurativo risultanti da idonea documentazione) e di Cass. 28.3.2018 n. 7757 (In tema di accertamento sintetico del reddito, ai sensi dell’art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973, ove il contribuente deduca che la spesa sia il frutto di liberalità o di altra provenienza, la relativa prova deve essere fornita con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento, pur non essendo lo stesso tenuto, altresì, a dimostrare l’impiego di detti redditi per l’effettuazione delle spese contestate, attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica ). Giova ribadire che, nel caso di specie, le certificazioni di plusvalenze rilasciate dalla C., sia nel 2006 che nel 2007 rientrano in una serie di operazioni di natura finanziaria che il contribuente ha posto in essere nel periodo 2006/2008, che però hanno riguardato un’alternanza di addebiti/accrediti ovvero vendite/acquisti di titoli con un certa assiduità e cadenza temporale e che questo, insieme alla mancanza di una minima tracciabilità, dati gli importi delle plusvalenze in questione, circa l’utilizzo di eventuali somme a disposizione proveniente da tale tipologia di movimentazioni, non costituisce prova oggettiva e rigorosa a dimostrazione dell’utilizzo di tali risorse per il mantenimento di beni indici di capacità contributiva. Anzi, come sostiene con divisibilmente l’Ufficio, i flussi finanziari createsi con le varie negoziazioni nulla hanno a che fare con tale dimostrazione, essendo invece prova del loro reinvestimento e non del loro utilizzo per il sostenimento delle spese necessarie in relazione alla disponibilità dei fatti ed elementi indicativi di maggior reddito rispetto al dichiarato. Su tale aspetto la sentenza dei giudici di primo grado correttamente ha rilevato che la plusvalenza è stata reinvestita e quindi non era nella libera disponibilità del contribuente, e che dalla documentazione bancaria allegata risultano una serie di addebiti e accrediti riconducibili ad operazioni di compravendita di titoli. L’eccezione, riproposta nell’appello, circa la mancata considerazione che il locale autorimessa di mq 187, dato in comodato gratuito insieme all’altro locale di mq. 175 accatastato come laboratorio, non doveva essere considerato nel calcolo del redditometro nemmeno per il 50%, è debole ed irrilevante, vista la situazione di fatto nell’utilizzo delle unità immobiliari nella disponibilità del ricorrente e cioè che il locale autorimessa di 187 mq e quello di mq 36 devono necessariamente entrambi accogliere i cinque autoveicoli di cui sono intestatari i membri della famiglia, a tacer sul fatto che comodante e comodatario sono la stessa persona e sul fatto che gli “altri soggetti” a cui il contribuente vorrebbe addossare l’onere delle spese in questione in realtà sono assolutamente privi di reddito e/o con redditi assolutamente insufficienti allo scopo. Nella sentenza di primo grado è legittimamente evidenziata la circostanza determinante che il ricorrente (e i suoi familiari) hanno dichiarato un reddito pressoché inesistente il che rappresenta un dato fondamentale ai fini delle contestazioni mosse dall’Ufficio. E’ infatti indubbia l’impossibilità del ricorrente di sostenere le spese derivanti dalla riconducibilità al medesimo sia dei beni di cui lo stesso dispone, sia dei beni, comunque riconducibili allo stesso ricorrente, benché nella disponibilità dei propri famigliari. Per scrupolo, si evidenzia che la disponibilità di beni (come elencati nell’atto di accertamento) è presunzione legale relativa, ex art. 2728 c.c., di capacità contributiva e che effetto di ciò è quello di spostare sul contribuente l’onere di provare in modo corretto, con dimostrazione rigorosa e consistente in documentazione adeguata, che il reddito imputatogli non esiste ovvero esiste in misura inferiore. u00C8 pacifico che, ai fini del “redditometro”, rilevino anche le spese di gestione dell’autovettura (così, Cassazione civile sez. VI, 21/10/2019, n. 26672). L’eccezione dell’appellante circa l’utilizzo del nuovo redditometro, non è meritevole di accoglimento, in quanto lo stesso legislatore ha precisato l’ambito temporale di applicazione del “nuovo redditometro”: l’art. 22 c. 1 DL 78 del 2010 stabilisce che le modifiche apportate dall’art. 38 DPR n. 600/73 hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, vale a dire con esclusione degli accertamenti relativi a periodi di imposta anteriori al 2009. Recentemente, Comm. trib. reg. Trieste, (Friuli-Venezia Giulia) sez. Il, 11/06/2018, n. 114, ha affermato che nell’ accertamento sintetico, solo a decorrere dal periodo d’imposta 2009 sussiste l’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale. Sull’ eccezione relativa alla non applicabilità delle sanzioni, la stessa risulta in parte tardiva laddove viene proposta non solo ai sensi dell’art. 6 ma per la prima volta, in secondo grado, anche ai sensi dell’art. 5, comma l del D.Lgs 472/97, ( così costituendo una nuova eccezione, come tale improponibile nell’atto di appello ai sensi dell’art. 57, comma 1 del D, Lgs 546/1992, in quanto la Commissione Tributaria Regionale non può esaminare questioni che non sono state dedotte o trattate in primo grado o che, in ogni caso, non sono state poste a base della decisione impugnata), ma è comunque infondata, atteso che, in materia di sanzioni amministrative tributarie, la loro irrogazione implica che vi sia almeno “colpa”, che nell’avviso di accertamento de quo vengono indicati specificamente la normativa di riferimento, i fatti lesivi e le violazioni alla normativa tributaria presi in considerazione e passibili di sanzione, gli importi minimi e massimi edittali di applicazione, i calcoli utili alla determinazione del cumulo giuridico e che, essendo il citato avviso di accertamento un unico atto, non è in alcun modo possibile contestare alcun difetto di motivazione relativo alla irrogazione delle sanzioni. Per inciso, la S.C. ha affermato che l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel “petitum” e nella “causa petendi”, mediante una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, anche quanto agli elementi di fatto ed istruttori posti a fondamento dell’atto impositivo, in ragione della necessaria trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione, in vista di un immediato controllo della stessa (Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, n.30039).
Quanto alla invocata nullità accertamento perché sottoscritto da persona non munita di delega o di attribuzione del relativo potere, l’avviso di accertamento è sottoscritto dal Capo Area Accertamento, con firma su delega del Direttore Provinciale. Dunque, il Capo Area Accertamento, firmatario dell’avviso di accertamento per cui è causa, ha operato su apposita e specifica delega rilasciata dal Direttore dell’Ufficio, ed ha sottoscritto l’atto, quale condizione. di validità ed efficacia dello stesso, in piena conformità all’art. 42 DPR 600/73, che non prevede allegazione della delega, essendo questo un atto interno alla P.A. avente natura organizzativa; contrariamente agli assunti dell’appellante, la delega, che pure è solo di firma e non di funzioni, ben può essere prodotta anche nel corso del giudizio di secondo grado (così, Cass. civ. sez. trib. 17.7.2019, n. 19190; Comm. Trib. Regionale Campobasso (Molise) sez. l, 16.4.2019, n. 310), se vi è sul punto specifica contestazione; la nullità dell’avviso di accertamento è limitata ai casi previsti dalla legge (cfr. Comm trib. Reg. Milano (Lombardia, sez. XXII 19.7.2019 n. 3189) e fra essi non trovano spazio le doglianze, per inciso meramente formali e non di contenuto, del contribuente; la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento è come detto una delega di firma, pertanto il provvedimento non richiede né l’indicazione del nominativo del delegato né la durata della delega, la quale può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma, idonea a consentire ex post la verifica del potere conferito ( v. Comm. trib. reg. Roma, (Lazio) sez. IX, 18/07/2019, n.4437); sempre in ordine ai requisiti della delega, la Corte di Cassazione ha di recente precisato che “La delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex all’art. 42, comma l, del D.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto” (Sez. 5, 29 marzo 2019, n. 8814, Rv. 653352 – 01) e già in precedenza aveva affermato che la delega potesse legittimamente conseguire dal combinato tra due atti organizzativi (cfr, Cass., Sez. 5, 5 settembre 2014, n. 18758, Rv. 631925); che. non vi sono dubbi circa la riferibilità dell’atto all’ organo amministrativo titolare del potere di emetterlo. La sentenza impugnata va pertanto confermata, con conseguente condanna alle spese di parte soccombente
P.Q.M.
Respinge l’appello e condanna l’ appellante alle spese di lite, che liquida in € 1.000,00 oltre accessori di legge, se dovuti.
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