COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MILANO – Ordinanza 08 giugno 2016

Ordinanza dell’8 giugno 2016 della Commissione tributaria regionale di Milano nel procedimento civile promosso da D. & G. T. Srl con socio unico contro Agente di riscossione Milano Equitalia Nord S.p.a.. Imposte e tasse – Riscossione delle imposte – Remunerazione del servizio – Imposizione a carico del debitore di un aggio percentuale pari al 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo o al 9 per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, a seconda che il pagamento avvenga o meno entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. – Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), art. 17, così come modificato dall’art. 32 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

Svolgimento del procedimento

D. & G., ricevuta la cartella di pagamento, provvedeva al pagamento delle somme dovute e proponeva ricorso nei confronti di Equitalia Nord per l’annullamento della cartella nella parte in cui veniva richiesto il pagamento di somme a titolo di compensi di riscossione. Poiché il pagamento della somma dovuta avveniva entro sessanta giorni dalla notifica della cartella, l’entità del compenso di riscossione ammontava alla (peraltro non certo irrilevante) somma di € 442.557,10, puntualmente versata e di cui la contribuente chiedeva la restituzione.

Nel ricorso D. & G. eccepiva l’illegittimità della cartella perché applicava retroattivamente l’art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 che, nelle successive modificazioni, è in vigore a partire dal 1° gennaio 2009. Come si è infatti visto, i tributi omessi a cui si riferisce la pretesa di Equitalia risalgono ad anni di imposta precedenti. In subordine la contribuente eccepiva l’illegittimità costituzionale di tale disposizione di legge.

Equitalia si costituiva, ricordando che l’entità del compenso di riscossione è determinato per legge e si applica (come in questo caso) alle cartelle emesse dopo il 31 dicembre 2008 e chiedeva quindi il rigetto del gravame.

La Commissione tributaria provinciale di Milano – Sezione 41 – con sentenza n. 7622/41/14 del 2 aprile 2014 – 19 settembre 2014, respingeva il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate complessivamente in € 2.000,00.

La contribuente impugnava la sentenza per illegittimità ed infondatezza:

in via principale, perché – stabilita la natura sanzionatoria dei compensi di riscossione – doveva essere dichiarata l’irretroattività del «nuovo» art. 17, che, come detto, è entrato in vigore dal 1° gennaio 2009;

in via subordinata perché non ravvisava nella norma applicata al caso dedotto la violazione di principi costituzionali.

L’appellante chiedeva dunque a questa Commissione regionale tributaria di sospendere il presente giudizio in attesa che la Corte costituzionale, adita dalle Commissioni tributarie provinciali di Torino (ordinanza del 18 dicembre 2012) e Latina (ordinanza del 29 gennaio 2013), si pronunciasse in merito alla rilevata illegittimità costituzionale dell’art. 17 per violazione dell’art. 3 della Costituzione. In ogni caso, D. & G. chiedeva di rimettere gli atti alla Corte costituzionale perché si pronunciasse, con riguardo ai compensi per la riscossione, sulla questione di legittimità costituzionale del citato art. 17 per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.

La causa veniva discussa in pubblica udienza. La Commissione tributaria regionale si riservava la decisione. Con la presente ordinanza si eccepisce l’illegittimità costituzionale della citata disposizione di legge per contrasto con:

l’art. 3, primo comma perché crea ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti;

l’art. 24, primo comma perché dissuade il contribuente (e quindi ostacola il diritto) ad agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi;

l’art. 97, primo comma perché a causa sua la funzione pubblica di riscossione non risulta organizzata secondo criteri di imparzialità.

Motivi di diritto

Prima di affrontare la questione di legittimità costituzionale, è necessario considerare quanto segue:

come visto, il ricorso della contribuente riguarda una cartella esattoriale, emessa a seguito di definitiva pronuncia giurisdizionale sui redditi e le imposte degli anni 2004 e 2005;

l’atto non viene impugnato per vizi del procedimento di notifica (che non vengono punto sollevati); né contestando la pretesa erariale (che viene espressamente accettata), bensì riguardo al compenso di riscossione;

poiché il debito portato dalla cartella è stato saldato entro il termine di sessanta giorni, i compensi di riscossione di cui si discute sono quelli dovuti a prescindere dalla tempestività del pagamento, nella misura indicata nella parte in fatto;

la questione al giudizio di questa Commissione riguarda dunque due profili:

a) la retroattività dell’art. 17;

b) la legittimità costituzionale dell’art. 17;

sul profilo a), questa Commissione lo ritiene infondato: la norma è entrata in vigore il primo gennaio 2009 e benché i tributi di cui si discute risalgano al 2004 e 2005, occorre ricordare che l’atto impugnato è stato notificato nel 2011, in un’epoca quindi in cui da tempo era in vigore la norma in discorso; norma che stabiliva entità e modalità dei compensi di riscossione;

di conseguenza non si pone proprio un problema di retroattività;

resta dunque il profilo sub b) e quindi è ovvio che se all’art. 17 verrà riconosciuta legittimità costituzionale, l’appello di D. & G. dovrà essere respinto; se viceversa l’art. 17 dovesse essere dichiarato incostituzionale, l’appello troverebbe accoglimento;

di conseguenza la cartella esattoriale impugnata verrebbe dichiarata nulla limitatamente alla parte in cui stabilisce un compenso di riscossione anche in caso di pagamento tempestivo nella misura del 4,65% dell’importo, con conseguente obbligo per Equitalia Nord di restituire a D. & G. la rilevante somma di € 442.557,10.

Preliminarmente è utile ricordare alcuni principi in tema di ruolo e di compenso per la riscossione.

Natura e formazione del ruolo.

Il ruolo, che come è noto è un atto amministrativo con cui vengono elencate le somme da riscuotere per imposte, interessi e sanzioni, è il mezzo di riscossione di tutti i tributi (erariali, locali e regionali) ed anche di alcune entrate non tributarie. Le imposte sui redditi in particolare sono riscosse a mezzo ruolo in tutti i casi nei quali non è prevista o non è avvenuta la riscossione mediante ritenuta diretta o versamento diretto.

L’Ufficio forma il ruolo iscrivendo le somme da riscuotere in base ad un titolo che lo legittima alla riscossione. Il titolare dell’Ufficio (o un suo delegato) lo sottoscrive, anche mediante firma elettronica, e con ciò gli attribuisce l’esecutività. Il ruolo è quindi consegnato – in via telematica – all’agente della riscossione, che dà comunicazione ai contribuenti delle singole iscrizioni mediante notifica della cartella di pagamento.

Ruoli provvisori ordinari.

In particolare, in ambito di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, dopo la notifica dell’avviso di accertamento, l’Ufficio può iscrivere a ruolo metà delle imposte accertate.

L’avviso di accertamento però può essere impugnato davanti agli organi della giustizia tributaria. Ebbene, successivamente alla pronuncia giurisdizionale di rigetto (parziale o totale) del ricorso e in relazione al contenuto della decisione e al grado dell’organo giudicante, diventano esigibili ulteriori frazioni del dovuto. La sentenza della Commissione tributaria regionale, in specie, rende riscuotibile l’intero importo e quindi la differenza tra ciò che è dovuto a seguito di tale pronuncia e quanto già versato. Compenso di riscossione.

L’agente della riscossione ha diritto a un compenso, percepito a fronte dell’attività di incasso dei crediti, oltre al rimborso delle spese vive relative alla procedura esecutiva (determinate sulla base di una tabella approvata con decreto del Ministero delle finanze, ora dell’economia).

L’art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999 (e successive modifiche) in vigore a partire dal primo gennaio 2009, quantifica il solo compenso di riscossione (escluse le spese) sulla base delle somme dovute dal contribuente per imposte, interessi e sanzioni:

nella misura del 4,65% in caso di pagamento entro sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento;

nella misura del 9% in caso di pagamento dopo sessanta giorni dalla predetta notifica.

Incasso di somme dovute direttamente a mezzo di ruolo.

Ai sensi della legge 15 luglio 2011, n. 111, gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate a partire dal 1° ottobre 2011 sono immediatamente esecutivi. Come previsto dall’art. 29 del decreto-legge n. 78/2010, gli avvisi devono contenere l’intimazione a pagare gli importi in essi indicati entro il termine di presentazione del ricorso; ovvero l’intimazione a pagare un terzo delle maggiori imposte accertate (ovviamente a titolo provvisorio), nel caso in cui il destinatario dell’atto decida di ricorrere in via giurisdizionale. Gli avvisi di accertamento diventano esecutivi dopo sessanta giorni dalla notifica e devono espressamente riportare l’avvertimento che, trascorsi trenta giorni dal termine utile per il pagamento, la riscossione delle somme richieste sarà affidata agli agenti della riscossione.

In sostanza, il contribuente a cui è stato notificato l’avviso di accertamento e che decida di pagare entro il termine di sessanta giorni, verserà imposte, sanzioni e interessi senza l’addebito di alcun compenso di riscossione. Tale compenso di riscossione invece sarà dovuto qualora l’obbligo di pagamento derivi da sentenza (ancora impugnabile o definitiva) delle commissioni tributarie; e ciò anche in caso di pagamento tempestivo. E nel caso di cui si discute si tratta della non certo irrilevante somma di € 442.557,10!

In sostanza, non aver pagato il dovuto entro il termine di sessanta giorni dall’avviso di accertamento, ma aver proposto ricorso giurisdizionale (ricorso nel quale il contribuente potrebbe essere dichiarato soccombente solo parzialmente), determina le seguenti conseguenze:

pagamento di un compenso (a volte di notevole entità), anche in caso di saldo tempestivo, dovuto in questo caso al concessionario in assenza di effettiva attività di riscossione e per il solo fatto di aver ricevuto in via telematica atti e dati dall’amministrazione finanziaria;

non deducibilità dei compensi di riscossione dal reddito di esercizio in quanto, a norma dell’art. 109 del TUIR, non inerenti, né di competenza;

incremento del costo dei compensi di riscossione per imposte subite sugli stessi per non detraibilità dal reddito di esercizio.

Profili di incostituzionalità.

Articolo 3, primo comma.

La norma crea una obbiettiva disparità di trattamento tra il contribuente «A» che, soggiacendo alla pretesa dell’amministrazione finanziaria, decida di pagare la somma quantificata nell’avviso di accertamento (lo stesso discorso varrà in caso di avviso di liquidazione) e il contribuente «B» che, decidendo di far valere in giudizio le proprie ragioni, ricorra all’A.G., soccomba (magari anche solo parzialmente) e venga attinto da una cartella di pagamento. Nel primo caso infatti, se il pagamento è avvenuto nei sessanta giorni previsti, «A» non sarà tenuto ad altri oneri; nel secondo caso, anche se il pagamento è avvenuto entro i medesimi termini, «B» dovrà versare il compenso.

A questa Commissione sembra che la norma in esame sia quindi in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, poiché crea una disparità di trattamento obbiettivamente ingiustificata.

E non solo; essa appare anche gravemente irrazionale.

E’ nota l’antica e tormentata storia dell’«aggio». Fu escluso nella riforma tributaria del 1971, quando si decise di incorporare i vari aggi di riscossione nelle aliquote stabilite per i singoli tributi, poiché chi predispose i vari dd.PP.RR. di quegli anni temeva che un simile onere finanziario a carico del contribuente si ponesse in contrasto con l’art. 3 (e anche con l’art. 53). Come abbiamo visto, l’aggio è successivamente tornato in vita e da allora codesta Corte costituzionale ha raccomandato l’effettivo ancoraggio della remunerazione al costo del servizio di riscossione. E quindi necessario verificare se l’art. 17, nella formulazione in vigore dal 1° gennaio 2009, assicuri tale ancoraggio.

Ebbene, nel caso di pagamento tempestivo l’attività di riscossione dell’agente si riduce di fatto a ben poca cosa: ricevere sul proprio sistema informatico un file dall’amministrazione finanziaria; stampare una cartella, prodotta dal sistema in automatico; notificarla al contribuente; attività che peraltro si riduce ad affidarla al postino. Nel caso di specie, per questa attività, per cui si saranno impiegati pochi secondi, Equitalia Nord s.p.a., forte della norma di cui si lamenta l’incostituzionalità, ha ricevuto un «compenso» di quasi mezzo milione di euro!

Articolo 24, primo comma.

La norma che attribuisce all’agente il diritto ad un compenso di riscossione anche in assenza di effettiva attività, ha l’effetto indiretto – certo non voluto, ma indiscutibile – di dissuadere il contribuente dal far valere le proprie ragioni davanti all’A.G. A saldare il dovuto subito, infatti, si risparmierà quel compenso di riscossione a cui si sarebbe tenuti se si dovrà pagare a seguito di decisione dell’ A.G. Non pare del resto che si tratti degli inevitabili costi connessi alla scelta della via contenziosa.

All’onere del contributo unificato e all’alea della eventuale condanna alle spese di lite, infatti, si aggiungerà per il ricorrente l’ulteriore costo del compenso di riscossione. Andrebbe infatti ricordato come si tratti di un meccanismo che si metterà in moto anche nel caso in cui la giustizia tributaria abbia solo parzialmente condannato il ricorrente; un meccanismo al quale costui non potrà in alcun modo sottrarsi, poiché l’amministrazione finanziaria non prevede avvisi bonari antecedenti alla trasmissione degli atti all’agente delle riscossione e poiché non esiste nemmeno un canale nel quale il contribuente soccombente possa convogliare la somma che la Giustizia ha stabilito come dovuta.

 Questa norma dunque, che scoraggia i contribuenti, anche quelli dotati di buone ragioni per reagire alla pretesa fiscale, pare in contrasto col principio costituzionale che assicura il diritto di ciascuno di chiedere all’A.G. la tutela dei propri diritti

soggettivi.

Articolo 97, primo comma.

Gli articoli 6 e 10 dello Statuto del contribuente stabiliscono che «i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede», principio che nel caso di specie, non viene osservato in quando l’Ufficio procede alla iscrizione a ruolo senza alcuno invito preventivo. La conseguenza è il contrasto della norma in esame con il principio costituzionale secondo cui gli uffici pubblici devono essere organizzati in modo tale che sia assicurata l’imparzialità.

Va infatti osservato che ai sensi dell’art. 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248 dal primo ottobre del 2006 sono soppresse tutte le concessioni di riscossione e l’imposizione diretta e indiretta dello Stato viene affidata dall’Agenzia delle entrate a Equitalia s.p.a., un soggetto di diritto privato, ancorché partecipato dallo Stato. Ebbene, ci si domanda come possa esservi imparzialità quando ad esso viene attribuita una posizione di preminenza e di favore nei confronti della platea dei contribuenti e degli stessi concorrenti nell’attività di riscossione, facendolo beneficiare di compensi di tale entità in assenza di una corrispondente attività di impresa (e dei relativi costi) effettivamente svolta.

L’ordinanza della Corte costituzionale n. 147 del 2015.

E’ noto come codesta Corte costituzionale abbia respinto le eccezioni di costituzionalità della medesima disposizione di legge sollevate dai giudici tributari di Torino e Latina. In particolare i giudici di Torino avevano rilevato il contrasto dell’art. 17 citato con l’art. 3 e con l’art. 97; quelli di Latina con l’art. 3 e in entrambi i casi le argomentazioni non erano dissimili da quelle qui sollevate (anche se Questa Commissione ritiene il contrasto dell’art. 17 anche con l’art. 24, come sopra motivato). Ebbene non pare che le questioni menzionate siano state affrontate nel merito, poiché le ordinanze di rimessione sono state ritenute carenti nella descrizione della concreta fattispecie e nel punto della rilevanza. In particolare si è sentenziato che la carente descrizione della fattispecie risulta tanto più determinante in quanto la disposizione censurata ha subito diversi interventi normativi e solo un’adeguata esposizione di tutti gli elementi essenziali del caso in esame avrebbe consentito di individuare con certezza la versione dell’art. 17 applicabile «ratione temporis».

Ebbene:

nella parte in fatto si è chiarito che il ricorso contro la cartella esattoriale concerne il compenso di riscossione;

ivi si è indicato che la norma della cui costituzionalità si discute è l’art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999, nella versione in essere dal 1° gennaio 2009 in forza del decreto-legge n. 185/2008, convertito in legge n. 2/2009;

norma a fondamento di quella parte della cartella esattoriale impugnata dalla ricorrente;

in particolare si è specificato che la sorte del gravame dipende dalla «sorte» dell’art. 17 citato.

Si ritiene quindi che questa volta la questione di costituzionalità sia stata correttamente sollevata e che meriti l’esame di codesta Corte costituzionale.

P.Q.M.

Visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;

Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza;

Solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, nonché dell’art. 32 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito nella legge n. 2/2009;

Sospende il giudizio in corso sino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale;

Dispone che, a cura della Segreteria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.