COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Milano sentenza n. 1174 del 3 marzo 2016
TRIBUTI – DENUNCIA DI SUCCESSIONE – EMENDABILITA’ – DICHIARAZIONE RETTIFICATIVA PRESENTATA OLTRE I TERMINI DI ACCERTAMENTO – VALIDITA’
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Direzione Provinciale di Lodi dell’Agenzia delle Entrate propone appello alla sentenza n. 33/02/15 del 11/02/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Lodi che ha ritenuto legittima la rettifica effettuata dal contribuente all’originaria denuncia di successione in cui erroneamente aveva indicato la rendita catastale di un immobile rurale quale importo imponibile versando una maggiore imposta non dovuta pari ad euro (…) di cui aveva chiesto il rimborso denegato dall’ufficio con l’impugnato diniego rimborso n. 0010941/2014 per l’anno 2009 ed ha compensato le spese.
Con l’appello, l’ufficio contesta il fatto che l’aver indicato la categoria D/10 non comporta l’automatico riconoscimento della ruralità dell’immobile e, quindi, il valore imponibile uguale a zero, perché ha contestato al ricorrente il fatto di non aver utilizzato il modello ministeriale richiesto per la correzione della denuncia di successione e la dichiarazione rettificativa andava, comunque, chiesta entro il termine previsto per la notifica dell’eventuale avviso di liquidazione come statuito dalle sentenze di legittimità n. 24265 del 18/11/2011, n. 20629 del 25/9/2009 e n. 21196 del 6/8/2008.
Conclude con la richiesta di riforma della decisione impugnata e deposita nota spese di euro.
Si costituisce in giudizio l’appellato per precisare che in primo grado l’ufficio non ha mai eccepito la non ruralità dell’immobile ma ha dichiarato solo che la denuncia non conteneva immobili rurali ma solo al rigo n. 59 l’indicazione di un immobile in categoria catastale D/10 con l’indicazione di un valore imponibile pari alla rendita catastale attribuita e che nessuna norma impone un modello apposito da presentare, a pena di nullità, in caso di rettifica della denuncia presentata e conclude con la richiesta di conferma della decisione opposta e deposita nota spese di euro 11.709,44. All’odierna trattazione in Pubblica Udienza,le parti si rimettono alle rispettive ragioni come in atti.
Indi la causa viene posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è infondato e va reietto.
In punto la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con la sentenza n. 2229 del 6/2/15, n. 4049 del 27/2/15, n. 6665 del 1/4/15 e ordinanza n. 313 del 12/1/2016 ha chiarito in modo esaustivo il diverso piano di valutazione che inerisce il procedimento amministrativo rispetto al processo tributario per la diversità delle regole che li sorreggono.
L’emendabilità di qualsiasi errore, di fatto o di diritto, contenuto in una dichiarazione resa da un contribuente all’amministrazione finanziaria, anche se non direttamente rilevabile dalla stessa dichiarazione, è sempre ammissibile perché la stessa non si configura quale atto negoziale e dispositivo, bensì reca una mera esternazione di scienza o del giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria.
Il termine decadenziale e/o prescrizionale del procedimento amministrativo non esplica alcun effetto sul procedimento contenzioso instaurato dal contribuente per contestare la pretesa tributaria, sia pure di denegazione di un rimborso, quand’anche fondata su elementi o dichiarazioni fornite dal contribuente medesimo.
Il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e di riscossione rispetto a quelle che governano il processo tributario,nonché il rispetto dei principi della capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, comportano l’inapplicabilità in tale sede, di decadenze relative alla sola fase amministrativa,perché oggetto del contenzioso giurisdizionale instaurato è l’assoggettamento del contribuente ad oneri contributivi che il medesimo assume diversi e più gravosi di quelli che,sulla base della legge, devono restare a suo carico.
Infatti, il processo tributario non è annoverabile tra i procedimenti di impugnazione – annullamento bensì tra quelli di impugnazione-merito, come statuito dalla giurisprudenza di legittimità,perché costituzionalmente orientato a operare una motivata valutazione sostitutiva delle dichiarazioni delle parti per ricondurla alla corretta misura entro i limiti posti dalle domande di parte.
Nella fattispecie,il contribuente ha dichiarato al rigo n. 59 la successione di un immobile accatastato in categoria D/10 che corrisponde incontestabilmente a fabbricati rurali ed ha indicato correttamente il valore della rendita attribuita ma al quadro del valore imponibile ha indicato lo stesso valore anzicchè indicare valore zero.
Ciò ha comportato il versamento di una maggiore imposta di cui ha chiesto il rimborso e che l’ufficio,in sede di valutazione della stessa, avrebbe dovuto avere l’onere di accertare se dovuta o meno,ma non lo ha fatto costringendo il contribuente al presente contenzioso ed al giudice di ripristinare l’originario errore incolpevole. Quanto alla omessa correzione della dichiarazione a mezzo appositi modelli ministeriali,l’inosservanza di una prassi amministrativa non può costituire ostacolo al ripristino della legalità, considerato che nessuna contestazione sulla veridicità dell’esenzione della categoria catastale D/10 risulta essere stata fatta dall’ufficio in sede di primo grado,come riportato dai Primi Giudici nel corpo della sentenza.
Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, l’appello deve essere rigettato ed, alla soccombenza, deve seguire la condanna dell’ufficio al pagamento delle spese di lite quantificate complessivamente come da dispositivo.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e condanna l’ufficio al pagamento delle spese di lite che si liquidano complessivamente in euro oltre accessori.
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