COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Milano sentenza n. 1446 del 13 aprile 2015
TRIBUTI – CONTENZIOSO TRIBUTARIO – PROCEDIMENTO – RICORSO – RICHIESTA DI ANNULLAMENTO DELL’ATTO – SENTENZA – RIDUZIONE DELL’ACCERTATO – APPELLO – ECCEZIONE DI ULTRAPETIZIONE – INFONDATA
FATTO E DIRITTO
In sede di controllo l’Ufficio rilevava che l’attività svolta nell’anno 2006 da …, esercente l’attività di servizi dei saloni di barbiere e parrucchiere, presentava elementi sintomatici di una condotta antieconomica in quanto il reddito d’impresa dichiarato in € 10.190,00 era inferiore al costo del dipendente a tempo pieno dichiarato € 11.652,00, con incidenza del costo dipendenti sui ricavi per € 40.935,00, pari al 57,63%; inoltre, risultava che i prezzi dei servizi erogati erano stati dichiarati nello studio di settore in misura che non trovava integrale corrispondenza nelle ricevute fiscali presentate.
Sulla base delle risposte a questionario e della documentazione prodotta, l’Ufficio notificava l’avviso di accertamento n. … con il quale, ai fini II.DD. IVA 2006, determinava maggiori ricavi per € 23.373,58.
Con ricorso alla CTP di Milano, il contribuente deduceva la nullità o annullabilità dell’avviso di accertamento per vizi motivazionali, sostanzialmente lamentando che l’atto si fondava su una metodologia accertativa errata e non teneva conto della specifica realtà operativa.
Con sentenza n. 2504/42/2014, l’adita CTP accoglieva parzialmente il ricorso, compensando le spese. In particolare il primo giudice rideterminava i maggiori ricavi nella minor somma di € 12.200,00, reputando eccessiva la rideterminazione delle ore lavorate e tenendo conto delle ore lavorate indicate nello schema illustrativo riportato nel ricorso.
Il contribuente propone appello censurando la sentenza per ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c. e difetto di motivazione. In particolare, lamenta che la sentenza ha ridotto i ricavi accertati, mentre nel ricorso si contestava l’an e si chiedeva di dichiarare nullo o annullare l’avviso di accertamento per infondatezza e difetto di motivazione; inoltre nella sentenza non è illustrato e motivato il percorso logico seguito per giungere alla decisione. L’appellante lamenta che l’avviso di accertamento non è stato preceduto da contraddittorio obbligatorio, e si fonda esclusivamente sulle discrepanze tra le risultanze dello studio di settore e la dichiarazione dei redditi, senza considerare le proprie condizioni soggettive di titolare dell’attività artigianale. Deduce di aver fornito la prova dell’insussistenza dei presupposti per l’imputazione della maggiore imposta, avendo fatto presente di aver trasferito la propria attività in (…) perché lo svolgimento in (…) non era sufficientemente remunerativo. Chiede che in via cautelare si sospenda provvisoriamente l’atto impugnato; nel merito, in riforma della sentenza si dichiari la nullità dell’avviso di accertamento; vinte le spese del doppio grado, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore dei procuratori costituiti.
L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale Monza e Brianza, resiste, argomentando per la correttezza e condivisibilità dalla sentenza; riporta un prospetto illustrativo del criterio di valutazione che conduce alla quantificazione dei maggiori ricavi pressoché corrispondente a quella decisa, tenuto conto delle contestazioni del contribuente sulla determinazione del monte ore lavorate. Chiede il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza; vinte le spese di lite.
L’appello è stato deciso all’odierna udienza di trattazione, tenutasi in forma pubblica, presenti le parti come in atti.
La Commissione ritiene che l’appello sia infondato e non meritevole di accoglimento per i motivi sottoindicati.
L’eccezione di ultrapetizione è infondata perché in caso di riconosciuta fondatezza, anche parziale, dei rilievi del contribuente relativi all’imponibile accertato il giudice non può limitarsi ad emettere una pronuncia di annullamento o nullità dell’atto impugnato. Infatti, ove accerti la legittimità del ricorso al metodo di accertamento induttivo ma riscontri che gli effetti degli elementi presuntivi utilizzati dall’Ufficio non siano compatibili con le specificità della realtà operativa, il giudice può pervenire alla determinazione di un reddito presuntivo inferiore a quello accertato, richiedendosi la pronuncia costitutiva di annullamento o nullità solo nelle ipotesi di vizi formali dell’accertamento o di atti pregressi su cui esso si fondi, ipotesi che nella specie non ricorre. La censura dell’appellante sul mancato previo contraddittorio, oltre che inammissibile perché non dedotta in primo grado, è comunque inconferente e infondata perché nella specie si tratta di accertamento analitico induttivo per il quale non è richiesto il previo contraddittorio e, in ogni caso, l’atto impositivo non è fondato sulle risultanze dello studio di settore che risultano ivi richiamate soltanto con valenza meramente integrativa.
Quanto al merito, effettivamente, in relazione all’annualità oggetto dell’accertamento e ai due anni precedenti era ravvisabile un comportamento antieconomico in quanto la redditività dichiarata era palesemente non congrua rispetto ai costi di esercizio, inoltre i prezzi dichiarati nello studio di settore generalmente non trovavano corrispondenza nelle ricevute fiscali emesse.
Siffatti elementi hanno carattere di gravità, precisione e concordanza e sono sufficienti a formare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, giustificando l’accertamento con metodo analitico induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma 1, la cui lett. d), D.P.R. n. 600/73 risolventesi nella rettifica dei ricavi, anche in presenza di scritture formalmente regolari, ove emergano elementi presuntivi semplici costituiti da rilevanti incongruenze tra costi e ricavi; in tale ipotesi l’Amministrazione può procedere a rettifica analitico induttiva, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente (Cass. n. 13305/11).
Con valutazione che questa Commissione condivide, la sentenza ha ritenuto accoglibile la prospettazione del contribuente sui tempi medi di resa oraria delle prestazioni ed ha ridotto i maggiori ricavi nella misura pressoché corrispondente a quella riportata nel prospetto illustrativo contenuto nelle controdeduzioni dell’Ufficio resistente. E’ evidente che la pronuncia si fonda sulla presunzione dell’esistenza di una relazione diretta tra la quantità della resa oraria e il numero di prestazioni effettuate, oltre che sulla ulteriore presunzione semplice che per le prestazioni dichiarate nel modello dello studio di settore il contribuente percepisse il medesimo corrispettivo risultante dalle ricevute fiscali emesse dallo stesso (avv. accertam. pag. 3).
Infine, risulta che in sede di accertamento dal monte ore lavorate sono state debitamente decurtate le festività, le ferie del personale e le eventuali assenze per malattia, pertanto la relativa doglianza del contribuente si ravvisa infondata.
La Commissione ritiene di aderire alla soluzione adottata dal primo giudice, in relazione ai motivi di impugnazione proposti, non avendo l’appello fornito argomenti idonei a disattenderla.
Ne discende la conferma dell’impugnata sentenza, come sopra integrata nella motivazione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta l’appello e condanna l’appellante alla rifusione delle spese liquidate in complessivi € 1.000,00.
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