COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Milano sentenza n. 1474 sez. 15 del 14 aprile 2015
SOCIETA’ DI PERSONE – RECESSO DI UN SOCIO – OBBLIGAZIONI SOCIALI – OBBLIGHI DEL SOCIO – CERTEZZA DATA DELL’ATTO DI CESSIONE – RILEVA
FATTO e DIRITTO
1) Con avviso di accertamento n. … notificato in data 21 novembre 2011, riferito all’anno d’imposta 2006, l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Pavia recuperava a tassazione maggiori imposte nei confronti della sig.ra (…), in relazione al reddito di partecipazione nella (…) s.a.s. di cui la signora era socia con una quota sociale del 33,33%.
La contribuente impugnava l’avviso, sostenendo di non essere tenuta ad alcun pagamento avendo comunicato fin dal 2002 alla socia accomandataria il proprio recesso dalla compagine sociale, successivamente formalizzato con atto registrato in data 8 marzo 2010 al n. 131 serie 1T, il cui art. 8 stabiliva che ogni obbligo fiscale avrebbe gravato unicamente sull’unico socio.
Si costituiva l’Ufficio chiedendo il rigetto del ricorso per l’infondatezza delle contestazioni in esso contenute, per il rilievo che il recesso poteva ritenersi perfezionato e opponibile a terzi soltanto a far data dalla registrazione dell’atto e per l’irrilevanza, ai fini fiscali, della pattuizione intervenuta tra le parti.
La Commissione adita respingeva in parte il ricorso, in adesione alle argomentazioni esposte dall’ufficio.
2) Con atto depositato in data 14 novembre 2013, la contribuente appellava la sentenza, deducendone l’erroneità e censurandola per i motivi seguenti:
il recesso del socio costituisce atto unilaterale recettizio che dispiega i propri effetti sin dal momento in cui esso è portato a conoscenza del socio destinatario, senza necessità di particolari forme ad substantiam e, nel caso di specie, è pacifico che il recesso è pervenuto a conoscenza della socia accomandataria in data 30 maggio 2002, per cui l’appellante non è tenuta a rispondere di imposte relative al 2006. Anche a voler ritenere necessarie forme di pubblicità legale, l’appellante afferma di aver fornito la prova privilegiata mediante l’atto pubblico rogato in data anteriore alla notifica dell’avviso di accertamento.
L’ufficio appellato si costituiva in giudizio per chiedere il rigetto dell’appello e la conferma della decisione di primo grado. Al riguardo osserva che la sentenza contiene una chiara ed esauriente esposizione del percorso argomentativo seguito, senza essere quindi affetta dalla denunciata nullità. Nel merito deduce che la comunicazione di recesso allegata al ricorso è affatto priva di valore, trattandosi di dichiarazione priva di sottoscrizione e che il recesso si è perfezionato unicamente con l’atto in data 25 febbraio 2010; richiama fa presunzione legale posta dall’art. 5 D.P.R. n. 917/86, a tenore del quale i redditi della società sono imputati pro quota ai soci, indipendentemente dall’effettiva percezione, nonché la disciplina contenuta negli artt. 2290 e 2300 c.c., circa la responsabilità del socio nei confronti dei terzi fino all’iscrizione del recesso nel registro delle imprese e conclude per l’infondatezza dell’appello.
All’udienza, dopo la discussione, la causa veniva spedita in decisione.
3) L’appello è infondato.
La perdita della qualità di socio nella società di persone (in conseguenza dì recesso, esclusione, cessione della partecipazione) integrando modificazione dell’atto costitutivo della società (cfr. per la società in nome collettivo: art. 2295 c.c., n. 1), è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese (che deve essere richiesta, entro trenta giorni, dall’amministratore, ovvero, se quest’ultimo non provveda, da ciascun socio, il quale può anche limitarsi a chiedere la condanna dell’amministratore ad eseguirla, ex art. 2300 c.c., comma 1 e ex art. 2296 c.c.) a pena di inopponibilità ai terzi, a meno che si provi che questi ne fossero a conoscenza” (art. 2300 c.c., comma 3).
Il regime di cui agli artt. 2290 e 2300 c.c., in forza del quale il socio di una società in nome collettivo che ceda la propria quota risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata iscritta nel registro delle imprese o fino al momento (anteriore) in cui il terzo sia venuto a conoscenza della medesima, è di generale applicazione, non riscontrandosi alcuna disposizione di legge che ne circoscriva la portata al campo delle obbligazioni di origine negoziale con esclusione di quelle che trovano la loro fonte nella legge, quale, nella specie, l’obbligazione di versamento delle imposte (cfr. Corte Cass. 5ª sez. 1° febbraio 2006 n. 2215; id. 2 febbraio 2007 n. 2284; id. sez. lav. 12 aprile 2010 n. 8649 – con riferimento all’obbligo di fonte legale relativo al versamento di contributi previdenziali).
Tanto premesso in forza delle previsioni di cui agli artt. 2267, 2290 e 2300 c.c., il socio di una società in nome collettivo che abbia ceduto la propria quota risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata iscritta nel registro delle imprese o fino al momento (anteriore) in cui il terzo sia venuto a conoscenza della cessione ed è appena il caso di rilevare che l’Amministrazione finanziaria assume la posizione di soggetto terzo rispetto al rapporto sociale ed all’atto di cessione delle quote sodali posto in essere dal socio di una società di persone, con la conseguenza che la data dell’atto non è ad essa opponibile, ai fini della dimostrazione della perdita della qualità di socio in epoca anteriore alla chiusura dell’esercizio finanziario, qualora la cessione risulti da una scrittura privata la cui sottoscrizione non sia stata autenticata, e non si sia verificato uno degli eventi che, ai sensi dell’art. 2704 cod. civ., conferiscono certezza alla data dell’atto (cfr. Corte Cass. 5ª sez. 31 marzo 2006 n. 7636).
L’indicata pubblicità costituisce, dunque, fatto impeditivo di una responsabilità altrimenti normale, sicché essa deve essere allegata e provata dal socio che opponga la cessione al fine di escludere la propria responsabilità per le obbligazioni sociali: con la conseguenza che rientra tra i poteri ufficiosi del giudice valutare, a fronte di una tale deduzione difensiva, se l’anzidetto onere sia stato o meno assolto (cfr. Corte Cass. 5ª sez. 1° febbraio 2006 n. 2215; analogamente, relativamente alla ipotesi di recesso volontario del socio: Corte Cass. 5ª sez. 26 febbraio 2002 n. 2812; id. 2 agosto 2002 n. 11569).
A tali principi si è puntualmente attenuta la Commissione tributaria provinciale, la cui decisione non merita quindi censura.
Nel caso in esame non è dubbio che le formalità relative alla pubblicità necessaria a rendere opponibile ai terzi l’atto di recesso sono state compiute soltanto a mezzo dell’atto stipulato in forma pubblica in data 25 febbraio 2010 e registrato in data 8 marzo 2010. Nessun valore può invece riconoscersi alla dichiarazione di recesso 30 maggio 2002, in quanto atto privo di data certa e financo di sottoscrizione.
A fronte di tali evidenze, l’appellante tenta di affermare la propria estraneità alla obbligazione tributaria sull’errato principio della mera anteriorità cronologica della data dell’atto di recesso rispetto a quella di notifica dell’avviso di accertamento, errore tanto più rimarchevole considerato che quest’ultimo concerneva anche importi dovuti per redditi di partecipazione relativi al periodo d’imposta 2006 e, dunque, ad una obbligazione sociale insorta in data antecedente la perdita della qualità di socio.
4) In conclusione, l’appello è infondato e deve pertanto essere respinto, con le conseguenti statuizioni di cui al dispositivo.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata al dispositivo.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, così dispone:
– respinge l’appello e conferma la decisione n. 88/01/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Pavia;
– condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 500,00 oltre accessori di legge.
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