COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Milano sentenza n. 1797 sez. 11 del 30 aprile 2016
ACCERTAMENTO – VALORE DI MERCATO DEL BENE – CORRISPETTIVO
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
La S. s.r.l. ha adito la Commissione Tributaria Provinciale di Milano impugnando, nei confronti della Agenzia delle Entrate-D.P. di Monza e della Brianza ravviso di accertamento (…)-ANNO DI IMPOSTA 2007, lamentando che la pretesa tributaria de qua fosse fondata su ipotesi prive di qualunque riscontro documentale senza che l’ufficio stesso abbia operato una analisi delle singole unità immobiliari di cui contesta i valori”.
Nel contraddittorio della Agenzia delle Entrate che resisteva al ricorso confermando la fondatezza della pretesa fiscale, la Commissione adita, con sentenza 9935/46/2014, accoglieva il ricorso.
La sentenza, veniva quindi appellata dalla parte soccombente con atto rivolto a questa Commissione di Appello dinanzi alla quale, parte appellata si costituiva con atto depositato il1 luglio 2015, invocando la conferma della decisione di primo grado. Con ravviso di accertamento oggetto del presente giudizio, la Amministrazione Finanziaria imputava alla società, per l’anno di imposta 2007, per IRES/IVA/IRAP Euro 52.567,00 oltre sanzioni e interessi.
Circa la motivazione, l’Ufficio rilevava 1) che in relazione all’anno di imposta 2007,la dichiarazione risultava presentata per la attività di “lavori generali di costruzione di edifici”; 2) che, dalla disamina degli atti e documenti dall’Ufficio o acquisiti in sede di questionario, era emersa “una significativa diversità dei prezzi di vendita praticati e dichiarati in ordine ad alcune delle cessioni”, da cui si desumeva la esistenza di attività non dichiarate.
A seguito del ricorso, il primo Giudice ha accolto il ricorso osservando che la documentazione prodotta dalla società e non contestata dalla A.F. fosse emersa una prova adeguata delle specificità dei vari appartamenti compravenduti, tale da giustificare prezzi differenti, tanto più che tali specificità risultavano da elaborati progettuali nonchè dal fatto che l’accertamento riguardava due distinti edifici non comunicanti tra loro.
Il Collegio odierno giudicante procedeva agli adempimenti processuali di legge e quindi alla camera di consiglio per la deliberazione della decisione.
Deve ritenersi, preliminarmente ed in rito, pienamente sussistente la giurisdizione dell’adita Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
Pure deve ritenersi correttamente radicata la competenza per territorio dell’adita Autorità Giudiziaria Tributaria.
Il Collegio, all’esito di un esame approfondito degli atti di causa, ritiene che la sentenza di primo grado meriti piena, convinta e ponderata conferma.
In limine questa Commissione dichiara inammissibili i motivi di censura svolti dall’appellata in sede di gravame in ordine alla validità dell’accertamento impugnato, atteso il limite posto dall’art. 57/2 del contenzioso tributario in forza del quale non possono proporsi in appello “nuove eccezioni che non siano rilevabili anche di ufficio”.
Quanto alla questione (vedi punto F della memoria di costituzione della appellata: mancata produzione della delega al ricorso in appello) è decisivo ricordare quanto affermato dalla Suprema Corte (Sez. 5, Sentenza n. 6691 del 21/03/2014 (Rv. 630527). In tema di contenzioso tributario, gli artt. 10 e 11, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicchè è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza.
Passando al merito della controversia, si impone il ricordo dell’ art. 2729 c.c. il quale detta che “le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice” prescrivendo, quindi, che possono essere ammesse solo presunzioni gravi, precise e concordanti”.
Questo Giudice osserva che la presunzione de qua,di conio giurisprudenziale, va applicata con molta prudenza, in quanto consente al Giudice di imporre alle parti del processo una inversione dell’onere della prova
In applicazione di detto principio, compito precipuo del Collegio è quello di verificare se il materiale probatorio offerto dalla contribuente abbia determinato o meno il superamento della presunzione posta con l’accertamento induttivo.
Al riguardo non potendosi ignorare che il secondo comma dell’art. 2729 c.c. esclude la ammissibilità delle presunzioni semplici “nei casi in cui la legge esclude la prova testimoniale e che la disciplina del contenzioso tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992) esclude, nel processo tributario, l’ammissibilità del giuramento e della prova testimoniale, il Collegio non ignora che la Suprema Corte (cfr. Cass. n. 9402/2007) ha affermato che “nel processo tributario gli elementi indiziari concorrono a formare il convincimento del Giudice se confortati da altri elementi di prova; se rivestono i caratteri di gravità precisione e concordanza essi danno luogo a presunzioni semplici (art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973, generalmente ammissibili nel contenzioso tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale).
Prescindendo dal rilievo che risulta giuridicamente incomprensibile la giustificazione offerta in ordine al superamento del divieto, il Collegio osserva che la Agenzia delle Entrate, lungi dall’ indicare analiticamente i fatti indiziari che confortassero il valore accertato, si è limitato a negare, immotivatamente, rilievo probatorio” al materiale probatorio documentale di segno diverso.
La circostanza che il valore accertato ai fini della imposta di registro induca una presunzione relativa circa la determinazione del prezzo effettivamente corrisposto, impone una precisazione: il valore di mercato di un bene ceduto non coincide (o almeno può non coincidere) necessariamente con il prezzo realmente convenuto e riscosso dal venditore.
Laddove il valore costituisce un dato oggettivo del bene, il prezzo è frutto di un accordo e dell’incontro delle valutazioni contrapposte delle parti contraenti, tant’è che la Cassazione correttamente afferma che la presunzione relativa a favore del fisco circa la ricostruzione della misura “concreta del prezzo possa essere superata dalle prove (anche indiziarie) offerte dall’acquirente.
A questo specifico riguardo è necessario osservare che la equivalenza soggettiva e non oggettiva tra valore del bene o prezzo convenuto comporta che un divario anche considerevole tra il valore di mercato del bene venduto e il prezzo non è -di per sé-incompatibile con la causa del contratto di vendita, tant’è che la giurisprudenza prevalente afferma che la vendita è nulla non quando il prezzo sia vile o irrisorio bensì inesistente.
Una puntualizzazione si impone: il fatto che da una parte è presunto caricando la controparte dell’onere di fornire la prova contraria, non è il valore del bene ceduto (valore che rileva solo ai fini della imposta di registro) ma che il prezzo concretamente ricevuto dal venditore non sia stato quello dichiarato ma quello -maggiore- corrispondente al valore definito nei confronti dell’acquirente.
Appare necessario considerare che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia stata contestata la veridicità del prezzo dichiarato nell’atto di cessione a titolo oneroso di una unità immobiliare, l’onere di fornire la prova che l’operazione è parzialmente (quanto al prezzo di vendita) simulata, incombe sull’Amministrazione Finanziaria la quale adduca l’esistenza di maggiori ricavi, onere che può essere adempiuto, ex art.39/1 del D.P.R. n. 600 del 1973 anche sulla base di presunzioni semplici purchè gravi, precise e concordanti (cfr. Cass. n. 245/2014).
Al riguardo giustamente la Suprema Corte (cfr. Cass. 2000 n. 14448 e Cass. 16700/2005) ha già chiarito che, tenuto conto dell’inequivoco significato del termine “corrispettivo”, “i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell’imposta che si deve applicare perché, quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di prezzo effettivo concordato e ricevuto superiore a quello dichiarato nel l’ambito di un impresa occorre verificare quale sua la somma effettivamente conseguita dal venditore.
Al riguardo l’Ufficio non ha inteso argomentare -con deduzioni ed allegazioni circostanziate- per dimostrare che la contabilità della società formalmente regolare, fosse in realtà inattendibile né poi che il corrispettivo ricavato fosse diverso da quello dichiarato, ma pari a quello del valore venale (vedi cassazione citata in motivazione)
Conclusivamente la sentenza di primo grado deve essere confermata.
In ragione della complessità della vertenza e dei diversi orientamenti giurisprudenziali sul punto, si dispone che le spese di procedura siano interamente compensate tra le parti costituite.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, Sezione Undicesima, in composizione collegiale, definitivamente pronunziando nella causa di cui al Ruolo Generale in epigrafe riportato, ogni contraria e diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, visti gli artt. 59 e 15 e ss. del D.Lgs. n. 546 del 1992, così dispone:
1. -Rigetta integralmente l’appello proposto e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza di primo grado;
2. -Dispone che le spese di procedura siano interamente compensate tra le parti costituite.
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