COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Milano sentenza n. 3093 del 7 luglio 2015
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – ANNULLAMENTO DELL’ATTO IN PENDENZA DI GIUDIZIO – CAUSE DELL’ANNULLAMENTO PREESISTENTI – ESTINZIONE DEL GIUDIZIO – SOCCOMBENZA VIRTUALE – CONDANNA ALLE SPESE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società L. s.n.c. impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Bergamo, concernente la presunta contabilizzazione di fatture soggettivamente inesistenti. In particolare, l’Ufficio riconosceva la deducibilità dei costi sostenuti ma riprendeva a tassazione il solo importo dell’IVA.
In via pregiudiziale, la ricorrente eccepiva la tardività dell’atto impugnato per intervenuta decadenza del potere accertativo. Nel merito, proponeva le medesime argomentazioni già esposte in sede di accertamento con adesione, nonché produceva la stessa documentazione già offerta all’esame dell’Ufficio in sede precontenziosa.
L’Ufficio, in data 18 marzo 2013, depositava controdeduzioni dando atto di aver provveduto ad annullare in autotutela l’atto impugnato e chiedendo che venisse dichiarata l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, con la compensazione delle spese di giudizio.
Con successiva memoria la ricorrente insisteva per la condanna alle spese in forza del principio di soccombenza.
La Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, con sentenza n. 56/5/2013, depositata il 25 marzo 2013, dichiarava cessata la materia del contendere e compensava le spese di lite.
Avverso tale deliberato la società interponeva appello per la riforma della sentenza nella parte in cui non aveva condannato l’Agenzia delle Entrate a rifondere le spese del giudizio. Eccepiva quindi, la violazione dell’art. 15 del D.lgs. n. 546/92 e concludeva per la riforma parziale della decisione con conseguente condanna dell’Ufficio alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio.
Si costituiva l’Ufficio per resistere al gravame di cui chiedeva il rigetto, affermando la correttezza e diligenza del suo operato.
All’esito dell’udienza di trattazione in pubblica udienza il Collegio si riservava la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Esaminati gli atti di causa, la Commissione ritiene che l’appello sia fondato e debba, perciò, trovare accoglimento.
La decisione della causa trova ragione nel c.d. principio di soccombenza virtuale. L’articolo 15, comma 1, del D.Lgs. 546 del 1992 prevede la condanna della parte soccombente alle spese di giudizio, tuttavia concede al giudice la facoltà di dichiarare le stesse compensate, in tutto o in parte, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile.
In base a quest’ultima disposizione, “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono oltre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente a per intero, le spese tra le parti “.
L’articolo 46 del D.lgs. n. 546/92 prevede che le spese del giudizio estinto restino a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge.
Le citate disposizioni di legge devono essere interpretate nel senso di una loro reciproca integrazione.
Benché, in linea di principio, la cessazione della materia del contendere imponga che le spese rimangano a carico delle parti che le hanno anticipate, occorre tuttavia fare una disamina caso per caso delle ragioni poste alla base dell’estinzione del giudizio.
Più precisamente, qualora il motivo che ha generato l’annullamento dell’atto era preesistente alla presentazione del ricorso, la compensazione delle spese creerebbe un privilegio ingiustificato per l’amministrazione finanziaria, in quanto il contribuente dovrebbe comunque sostenere le spese del difensore tecnico, pur avendo diritto all’annullamento dell’atto impositivo. Nel qual caso, verrebbe manifestamente preferita la parte che pone in essere un comportamento (il ritiro dell’atto, nel caso dell’amministrazione) di regola determinato dal riconoscimento delle altrui ragioni, e, corrispondentemente, subirebbe un ingiustificato pregiudizio la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo tributario, dell’assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta a ricorrere alla mediazione di un professionista abilitato alla difesa in giudizio.
Per l’effetto, qualora i motivi di annullamento sussistano già prima che venga incardinato il contenzioso, l’esercizio dell’autotutela in pendenza di giudizio impone di condannare l’Ufficio alle spese di lite, in quanto l’onere per il contribuente di adire il Giudice tributario risulta doveroso, benché superfluo.
Nel caso di specie, la parte aveva prodotto già in sede di accertamento di adesione la stessa documentazione allegata successivamente al ricorso. Solo due documenti sono stati offerti in giudizio esclusivamente in fase contenziosa, e sono attinenti al procedimento penale, autonomo rispetto a quello tributario. Di fatto, detti atti non potevano in alcun modo determinare un diverso convincimento in ordine alla legittimità o meno dell’atto impositivo. Per i motivi sopra esposti la Commissione in parziale della sentenza impugnata, invocando in principio di soccombenza, condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio nella misura di Euro 3.000,00 (tremila) onnicomprensivi; condanna altresì l’Agenzia alla rifusione delle spese del presente grado, liquidate in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) onnicomprensivi.
P.Q.M.
In parziale riforma della sentenza impugnata condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio nella misura di Euro 3.000,00 (tremila) onnicomprensivi; condanna altresì l’Agenzia alla rifusione delle spese del presente grado, liquidate in euro 2.500,00 (duemilacinquecento) onnicomprensivi.
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