COMMISSIONE TRIBUTARIA Regionale di Milano – Sentenza n. 3700 sez. 1 del 31 agosto 2015
ACCERTAMENTO – CARENZA DI INVESTITURA LEGITTIMANTE – USURPAZIONE DI PUBBLICHE FUNZIONI – NULLITA’ RADICALE DEGLI ATTI POSTI IN ESSERE.
L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale II di Milano, ha appellato la sentenza in epigrafe – che ha accolto il ricorso prodotto da R. spa a socio unico, avverso il rigetto dell’istanza di rimborso di versamento diretto per sanzioni ed interessi, pari ad € 8.354,72, relative compensazioni da consolidato fiscale DU 2008, per anno 2007 – chiedendone la riforma. Controdeduce la parte che, invece, chiede la conferma della sentenza de qua.
Osserva preliminarmente la Commissione che, nella fattispecie, sussiste un difetto assoluto di attribuzione dei necessari poteri e funzioni dirigenziali al sottoscrittore, dell’atto di appello, atteso che risulta sottoscritto dalla sig.ra M.F., nella qualità dirigenziale – presupposta e necessaria – per l’asserita funzione di Capo Ufficio Legale della Direzione Provinciale II di Milano, su delega ratione officii conferitagli dalla dott.ssa P.P. nella qualità dirigenziale – presupposta e necessaria – per l’asserita funzione di Direttore Provinciale dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale II di Milano, (titolare esclusivo ratione officii del potere impositivo tributario nella Direzione summenzionata), entrambi assenti (sia per la qualifica dirigenziale, sia per la funzione di preposti ai rispettivi uffici) negli organigrammi e nei ruoli ufficiali on-line dell’Agenzia delle Entrate, pagina “trasparenza amministrativa” del relativo sito ufficiale web. In vero, un elenco dettagliato di tutti gli incarichi dirigenziali coinvolti nella dichiarazione di illegittimità costituzionale de qua (con nomi è magari anche curricula completi di retribuzione, come prevede la legge), non solo non era stato approntato, ma anzi (nel nome di immanenti “superiori interessi nazionali”) l’Agenzia delle Entrate aveva inopinatamente cancellato i nomi di tali pseudodirigenti dalla pagina “trasparenza amministrativa” del proprio sito al solo fine di ostacolare la ricerca della prova ai sempre più numerosi ricorrenti. Per tali soggetti, con nota prot. 85460 del 30/12/2005 la Dre Lombardia aveva già ritenuto necessario emanare alcune direttive ad oggetto: “Incaricati di funzioni dirigenziali. Firma atti.” per ricordare che: “… i funzionari incaricati di funzioni dirigenziali restano sempre funzionari di III Area e, come tali, non possono utilizzare la qualifica di dirigente, tenuto conto che nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, oltreché negli enti pubblici non economici per accedere a tale qualifica occorre essere vincitori di concorso per esami o per titoli ed esami, indetto dalle singole amministrazioni, ovvero di corsoconcorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (art. 28 comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e succ. modif.). … A corredo di quanto indicato, giova rammentare che la qualifica rivestita (dirigente, ovvero funzionario di III Area) non va confusa con la funzione svolta (capo ufficio, capo area, ecc.). In tal senso va ribadito che, nella sottoscrizione degli atti, un funzionario incaricato di funzioni dirigenziali dovrà sempre indicare la funzione svolta, ma non dovrà indicare una qualifica non spettante”.
La Commissione, quindi, ritiene che il vizio invalidante dell’atto d’appello, sanzionato con la nullità in quanto sottoscritto da soggetto non legittimato – è preliminare e dirimente. Trattandosi di una nullità assoluta ex art. 21 septies, L. 241/90 (cd. inesistenza giuridica), essa può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio (Cass. sent. 12104/2003), e ciò che per legge è rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, viene sottratto alla disponibilità delle parti per un superiore senso di giustizia che deve essere presidiato dal giudice a tutela delle parti processuali più deboli. Rileva, inoltre, la Commissione, che il riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. deve tenere conto del principio giurisprudenziale di prossimità della prova (Cass. 13542/2012, 17874/2007, 2308/2007 e 13533/2001); nelle ipotesi in cui la prova sia di difficile accesso, o addirittura inaccessibile, per un comportamento ascrivibile alla stessa controparte (come il callido oscuramento degli elenchi degli pseudo-dirigenti e relativi curricula, nella stessa solita pagina “trasparenza amministrativa” del sito ufficiale web dell’Agenzia delle Entrate), in deroga alla regola generale, l'”onus probandi” viene posto a carico della parte prossima alla fonte di prova, non solo in adempimento dei doveri di correttezza e buona fede nell’adempimento delle obbligazioni ma anche, come espressione del principio costituzionale del “giusto processo”, in adempimento dei doveri di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c., nonché del principio generale di cui all’art. 116, c. 2, c.p.c. (“Il giudice può desumere argomenti di prova …, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”); quindi, “… in caso di contestazione, incombe all’Agenzia delle Entrate l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo [sostituzione del dirigente in caso di assenza/impedimento o reggenza dell’ufficio in attesa della nomina del dirigente titolare] da parte del sottoscrittore o la presenza di eventuale delega (impersonale: ratione officii o individuale: ad personam), trattandosi di un documento, se esistente, già in possesso dell’amministrazione finanziaria …” (Cass. sent. nn. 14942/2013, 17400/2012 e 14626/2000), poiché “… l’esistenza e la validità della delega possono essere contestate e verificate in sede giurisdizionale, implicando l’indagine e l’accertamento sul tema un controllo, non già sull’organizzazione interna della Pubblica Amministrazione ma sulla legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa e degli atti integranti la relativa estrinsecazione” (Cass. sent. n. 14195/2000). Il giudice tributario, non è tenuto all’esercizio dei poteri istruttori di cui all’art. 7, d.lgs. n. 546/92 per acquisire d’ufficio le prove in caso di inerzia del soggetto onerato, sopperendo all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte, perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e funzionali al principio costituzionale della parità della parti nel processo; (Cass. sent. nn. 10267/2005, 12262/2007, 2487/2006, 10513/2008). Ad una successiva verifica, la circostanza che ambedue i sottoscrittori non risultino legittimati alla sottoscrizione – né come titolari né come delegati – trova conferma in ulteriori elenchi (nonostante siano incompleti in quanto riferiti solamente alla giornata del 26 marzo 2015) ripubblicati, re melius perpensa, solo recentemente dalla medesima Agenzia, nella solita pagina “trasparenza amministrativa”, atteso che entrambi i sunnominati risultano essere stati “officiati” dell’incarico per cooptazione, senza avere mai superato alcun concorso per la qualifica dirigenziale né presso l’Agenzia delle Entrate né presso altra Pubblica Amministrazione (dalla quale potere essere stati distaccati alla A.E.), né cooptati dall’esterno ai sensi art. 19, c. 6 d.lgs. 165/2001, i cui “incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali …” come da elenco ufficiale postato nella solita pagina “trasparenza amministrativa”, contenente 36 soggetti – diversi dai sunnominati – portatori di “comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione”.
Con la sentenza dichiarativa n. 37 del 2015, la Corte costituzionale:
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44;
2) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15;
3) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative);
1.2 – Ad avviso del giudice a quo, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Viene, a tal proposito, richiamata la giurisprudenza costituzionale che riconosce nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, quale procedura strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione…. La norma censurata, sempre secondo il giudice a quo, consentirebbe invece a funzionari privi della relativa qualifica, di accedere, senza aver superato un pubblico concorso, ad un «ruolo» diverso nell’ambito della propria amministrazione. L’elusione della regola del pubblico concorso determinerebbe anche un vulnus al principio del buon andamento, con conseguente ulteriore lesione, sotto questo diverso profilo, degli artt. 3 e 97 Cost. Ancora, la disposizione censurata violerebbe gli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., in relazione ai princìpi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, permettendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, consentirebbe la preposizione ad uffici amministrativi di soggetti privi dei requisiti necessari” [perfino in possesso di lauree del tutto inconferenti o addirittura neppure laureati, secondo le risultanze del relativo sito web, per quanto bravi e volenterosi a sentire tutti coloro – vds. delibera n. 55 del 22.12.2009 del Comitato di Gestione – che li avrebbero promossi sul campo] “determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente”.
Il surrettizio conferimento di incarichi dirigenziali pubblici a persone di stretta fiducia – a seguito di insondabili cooptazioni anziché di trasparente concorso pubblico – per la natura privatistica dello strumento è assolutamente inapplicabile ad un ente pubblico non economico, titolare esclusivo e generale del potere impositivo statale e costituisce, altresì, palese violazione del diritto ad una buona amministrazione, di cui all’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Ovviamente, anche in passato la Corte Costituzionale aveva avuto più volte occasione di stigmatizzare inesorabilmente ogni surrettizia creazione di “una dirigenza di fiducia” (sent. n. 103 e 104 del 2007, n. 161 del 2008 e n. 69 del 2011), negandone la costituzionalità e ribadendo come ineludibile la selezione dei dirigenti sulla base di criteri selettivi imparziali e trasparenti, nel pieno rispetto delle – più che esplicite – disposizioni Costituzionali.
La Consulta così continua:
4.2 – Per colmare le carenze nell’organico dei propri dirigenti, l’Agenzia delle entrate ha, negli anni, fatto ampio ricorso ad un istituto previsto dall’art. 24 del proprio regolamento di amministrazione. … l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza.” ………
“Invero, l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale dall’art. 20 del d.P.R. 28 maggio 1987, n. 266” [le cui caratteristiche essenziali sono straordinarietà e temporaneità; in effetti, invece, per circa 15 anni funzioni e poteri dirigenziali sono stati illegittimamente attribuiti, quoad effectum, in via ordinaria ed a tempo indeterminato a soggetti interni, cooptati secondo criteri domestici, dei quali la recente e diffusa nota Dre Lombardia prot. 51621 del 12/5/2014 dà ufficiale contezza.
La Consulta continua ancora:
“In questo quadro normativo e giurisprudenziale, e nella relativa vicenda processuale, interviene il legislatore, attraverso la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale. … considerando le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale”. [delega individuale: ad personam e non impersonale: ratione officii, senza quindi alcuna necessità di previe attribuzioni dirigenziali, come invece illegittimamente praticato dall’agenzia] “la funzionalità dell’Agenzia non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata.
Tanto è vero ciò, che finalmente e successivamente alla censura costituzionale de qua, l’A.E. ha fatto ricorso efficacemente e senza costi retributivi (né premi dirigenziali) aggiuntivi all’istituto della dirigenza ad interim delle Direzioni Provinciali (conferita a veri dirigenti) coniugato a quello della delega di firma individuale: ad personam (e non di funzioni prevista dall’articolo 17, c. 1-bis, del D.lgs. 165/2001) conferita a semplici funzionari in quanto tali e non impersonale: ratione eorum officii.] “Sicché “l’obbiettivo reale della disposizione in esame è rivelato dal secondo periodo della norma in questione, ove, da un lato, si fanno salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie e i propri funzionari, dall’altro si consente ulteriormente che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, le Agenzie attribuiscano incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso …”.
In buona sostanza, la Consulta ha autorevolmente evidenziato come per delegare individualmente un funzionario a sottoscrivere validamente un atto attribuito alla competenza di un ufficio dirigenziale sarebbe pretestuoso ritenere necessario prima “promuovere” costui a dirigente; diverso è il caso di deleghe impersonali: ratione officii, conferibili solo a chi sia legittimamente preposto a quell’ufficio e quindi, se l’ufficio è di livello dirigenziale, il relativo preposto deve essere dirigente.
Recentemente, con la legge 6 agosto 2015, n. 125 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali), art. 4-bis, comma 2: “In relazione all’esigenza di garantire il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa, i dirigenti delle Agenzie fiscali, per esigenze di funzionalità operativa, possono delegare, previa procedura selettiva, con criteri oggettivi e trasparenti, a funzionari della terza area, …”, il legislatore ha risolto l’urgente necessità di disciplinare il conferimento di deleghe facendo proprio il pensiero della Consulta di: “ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale” fino a quel momento esercitato soprattutto in via impersonale: ratione officii. Pertanto, l’illegittimità del conferimento di deleghe impersonali (quali quelle di cui al Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, art. 5, c. 6,) trova conferma nella nuova disposizione: se così non fosse, non si capirebbe l’intervento del legislatore su deleghe … legittime!
A differenza delle sentenze cd. manipolative, che modificano la norma portata davanti al giudice delle leggi, per mantenerla nell’ordinamento giuridico (come quelle additive, ablative o sostitutive), una dichiarazione di illegittimità costituzionale, come quella de qua, ha l’effetto erga omnes di annullamento puro e semplice, che cancella la norma incostituzionale dall’ordinamento giuridico. Ove pungesse vaghezza al legislatore o a giudici di emanare leggi o sentenze in contrasto con una sentenza dichiarativa della Corte costituzionale, si verificherebbe una violazione di giudicato costituzionale.
Relativamente alla retroattività:
– Art. 136, c. 1, Costituzione: “Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.”
– Art. 30, c. 3, Legge 87/53: “Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.”
Trascurando la differenza lessicale tra l’art. 136 Cost. e l’art. 30 L. 87/53 (cessazione d’efficacia – disapplicazione), dalla qualificazione della Corte come “legislatore negativo” quando si pronuncia come organo di chiusura del sistema costituzionale nazionale con sentenza dichiarativa (secondo il modello Kelseniano, rispettoso del riparto di competenza tra legislatore e giudice costituzionale), ne discende che “Le pronunce di accoglimento della Corte cost. hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e la efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche “consolidate” per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, l’atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza.” (Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1997, n. 7057). Pertanto, a causa della “derivata” retroattiva inesistenza giuridica della sottoscrizione (prevista a pena di nullità come negli artt. 42, c. 1 e 3 del d.P.R. 600/73 e 25 d.lgs. 446/97) conseguente al ritenuto difetto assoluto di attribuzione al delegante e/o delegato di poteri/funzioni dirigenziali, restano definitivamente regolati dalla coeva normativa (tempus regit actum) – ancorché dichiarata costituzionalmente illegittima – solamente i rapporti cd. esauriti. L’illegittimità costituzionale de qua, conferma la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale secondo la quale “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso” (C. Cost. sent. nn. 194/2002, 293/2009, 150/2010, 7/2011 e 217/2012).
Il d.lgs. n. 300/99, all’art. 66, c. 3, dispone che “L’articolazione degli uffici, a livello centrale e periferico, è stabilita con disposizioni interne …” e lo Statuto dell’Agenzia delle Entrate, approvato con delibera del Comitato Direttivo n. 6 del 13 dicembre 2000 ed aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 11 del 21 marzo 2011, nonché il Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000 ed aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27 dicembre 2012, all’art. 5, prevede che: “Le direzioni provinciali sono uffici di livello dirigenziale. In relazione alle dimensioni della direzione provinciale possono, inoltre, costituire posizioni di livello dirigenziale le strutture interne (ad esempio: Ufficio Controlli, Ufficio Legale, Ufficio Territoriale ecc.); l’individuazione di tali posizioni è effettuata con atto del Direttore dell’Agenzia (come l’allegato all’atto A.E. n. 2009/174555)”; gli atti d’appello devono essere emessi dalla direzione provinciale e sottoscritti dal rispettivo direttore [per immedesimazione organica] o, per delega [intersoggettiva di competenze/funzioni] di questi, dal direttore dell’ufficio preposto [ratione officii di Capo Ufficio Legale] ovvero da altri dirigenti o funzionari [delega di firma individuale: ad personam], a seconda della rilevanza e complessità degli atti.”. La qualifica “dirigenziale” – enucleata con il d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748 da quella storica “direttiva”, già prevista dal d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 – è attualmente disciplinata per le amministrazioni dello Stato dal d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165. I testi normativi tributari, tuttavia, cominciarono ad indicare il dirigente, distinguendolo apertis verbis dal funzionario direttivo, solo dopo il 1999: ecco perché i decreti tributari degli anni 1972-73 non fanno alcun riferimento alla qualifica di dirigente ma solo alla funzione di “Capo dell’Ufficio” indicato come “altro impiegato della carriera direttiva”. Evidentemente la storica categoria della “carriera” direttiva continuava ad essere genericamente usata come genus comprensivo sia della nuova qualifica dirigenziale sia di quella residuale direttiva, atteso che il precetto de quo doveva riferirsi indistintamente al preposto (Capo dell’Ufficio) sia dei nuovi uffici di livello dirigenziale sia di quelli residui di livello meramente direttivo. Una medesima articolazione funzionale come, ad esempio, l’Ufficio Controlli è stata normalmente prevista e costituita di livello dirigenziale (come a Lodi, Sondrio, Lecco, Como ecc.) ma, in rari eccezionali casi, anche di livello meramente direttivo (come a Crotone, Rieti, Vibo Valenzia, Isernia, Oristano ecc.), in funzione della minima rilevanza della sede. Sia il dirigente titolare dell’Ufficio Controlli di Lodi sia il funzionario titolare (ad esempio) dell’Ufficio Controlli di Crotone vengono delegati per la sottoscrizione degli accertamenti dal rispettivo legittimo Direttore Provinciale ratione officii e non ad personam, come invece accade, per le questioni routinarie e di scarso rilievo, quando viene delegato, ad esempio, un Capo Team (che non è mai dirigente ma, al più, funzionario). Quindi, mentre per la rilevanza interna degli atti endoprocedimentali è sufficiente financo la sottoscrizione di un funzionario qualsiasi, assegnatario della pratica con un mero ordine di servizio contenente disposizioni organizzative, gli atti aventi rilevanza esterna, come gli avvisi d’accertamento o gli atti d’appello, devono essere emessi solo su formale ostensibile delega, impersonale: ratione officii o individuale: ad personam. È di tutta evidenza che solo nei casi di Uffici Controlli di livello non dirigenziale (come quelli di Crotone, Rieti, Vibo Valenzia, Isernia, Oristano ecc.) è ipotizzabile come legittima una delega impersonale: ratione officii conferita ad un funzionario (non dirigente); ma in tali uffici la vexata quaestio de qua agitur si pone solo in riferimento della legittimazione del Direttore Provinciale delegante (nemo transferre potest quod non habet nec plus quam habet), esattamente come la si pone per gli Uffici Controlli di livello dirigenziale (ad esempio quelli di Lodi, Sondrio, Lecco, Como ecc.) nei quali è necessaria la legittima attribuzione di poteri e funzioni dirigenziali anche per il dirigente titolare dell’Ufficio Controlli, in quanto delegato ratione officii, ex art. 5, c. 6, Regolamento di amministrazione. Nel caso che qui ci occupa, pertanto, le deleghe de quibus sarebbero state rilasciate ad un Capo Ufficio Legale di livello dirigenziale, in ragione dell’ufficio cui è stato preposto, per l’esercizio di poteri e funzioni dirigenziali connessi alla subordinata carica, da un Direttore Provinciale versante in assoluta carenza di attribuzione di poteri e funzioni dirigenziali, necessariamente sempre connessi alla propria superiore carica (in vero, anche il Capo Ufficio Legale de quo versava nella medesima condizione di assoluta carenza di attribuzione). Non può revocarsi, quindi, in dubbio che tutti i Direttori Provinciali devono essere veri dirigenti (titolari, o ad interim in attesa della nomina del titolare ex art. 14, c. 6. Regolamento di amministrazione) perché nemo transferre potest quod non habet nec plus quam habet; e ciò vale anche nei casi paradossali in cui incaricati dirigenziali abbiano in sottordine veri dirigenti (vincitori di regolare concorso pubblico) cui abbiano delegato impersonalmente: ratione officii o individualmente: ad personam la sottoscrizione di accertamenti della propria Direzione Provinciale nella quale hanno usurpato i poteri e le funzioni di Direttore Provinciale; come chiosa il Tar Lazio, sent. 7636/2011, pur non essendo vincitori di concorso dirigenziale e, persino, impossibilitati ex lege a parteciparvi “svolgono “egregiamente” (come specificato nella delibera n. 55 del 22.12.2009 del Comitato di Gestione), “incarichi dirigenziali” pur non rivestendo la corrispondente qualifica dirigenziale.”.
Ecco perché, dopo la sentenza costituzionale sotto illustrata, l’Agenzia deve ricorre alla figura del “dirigente ad interim” per coprire legittimamente sia le sedi di Direttore Provinciale, in attesa della nomina del dirigente titolare, sia le sedi di Capo Ufficio Legale di livello dirigenziale, in consonanza con il giudicato costituzionale. L’atto tributario non sottoscritto o illegittimamente sottoscritto è affetto da una giuridica inesistenza che gli impedisce ogni produzione di effetti (quod nullum est nullum producit effectum).
La Commissione ritiene altresì opportuno puntualizzare:
che, per carriera dirigenziale (da dirigente), si intende quella di cui all’art. 17, c. 1, lett. d) del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165: costoro “dirigono, coordinano e controllano l’attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia”;
L’accesso alla qualifica di dirigente della seconda fascia è disciplinato dall’art. 28, c. 2 del d.lgs.30 marzo 2001, n. 165: “Al concorso per esami possono essere ammessi i dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio o, se in possesso del dottorato di ricerca o del diploma di specializzazione conseguito presso le scuole di specializzazione individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, almeno tre anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del dottorato di ricerca o del diploma di laurea;
Le funzioni e le responsabilità dirigenziali sono disciplinate dall’art. 4, c. 2 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165: “Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati”, e dall’art. 4, c. 3, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165: “Le attribuzioni dei dirigenti indicate dal comma 2 possono essere derogate soltanto espressamente [principio di fissità] e ad opera di specifiche disposizioni legislative, [riserva assoluta di legge];
che, per carriera direttiva (da funzionario), si intende quella (ex IX livello poi divenuto Area C) di cui all’art. 20, c. 1, lett. d) del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, volta alla “direzione di uffici, istituti o servizi di particolare rilevanza o di stabilimenti di notevole complessità non riservati a qualifiche dirigenziali”; attualmente vige il CCNL normativo 2006 – 2009 secondo il cui Allegato A: “Appartengono a questa area funzionale [Area Terza (ex C1, C1S, C2, C3 e C3S)] i lavoratori che, nel quadro di indirizzi generali, per la conoscenza dei vari processi gestionali, svolgono, nelle unità di livello non dirigenziale a cui sono preposti, funzioni di direzione, coordinamento e controllo di attività di importanza rilevante, ovvero lavoratori che svolgono funzioni che si caratterizzano per il loro elevato contenuto specialistico.
In ogni caso, tutti i dipendenti pubblici, oltre che del conferimento di delega (impersonale: ratione officii o individuale: ad personam), possono essere destinatari anche di affidamento di mansioni superiori (art. 52, c. 2, lett. a) e b) d.lgs. n. 165/2001): “Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4 [per il funzionario direttivo trattasi di reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare (art. 20, c. 1, lett. b), d.P.R. n. 266/1987; Cfr. Cass. sent. n. 8166/2002)];
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza [per il funzionario direttivo trattasi di sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento (art. 20, c. 1, lett. a), d.P.R. n. 266/1987)];
Lo stesso art. 52, al comma 5, puntualizza: “Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.”
In tal caso, quindi, il giudice collegiale tributario ha un obbligo giuridico diretto di trasmettere alla Procura della Corte dei conti un rapporto per danno erariale atteso che: “La Corte dei Conti esercita il controllo sulla gestione finanziaria delle agenzie, con le modalità previste dalla legge 21 marzo 1958, n. 259 …” ed art. 69, c. 1, “per altre gravi ragioni di interesse pubblico, con decreto del presidente del consiglio dei ministri su proposta del ministro delle finanze può essere nominato un commissario straordinario”. (Vds. anche Corte cost. sent. 17/2014, Cass. ss.uu. 4063/2010 e 3814/2022). Ove le mansioni di cui all’art. 52, c. 2, lett. a) e b) d.lgs. n. 165/2001 siano affidate ad altro dipendente pubblico con il medesimo profilo professionale richiesto, non trattasi di affidamento di mansioni superiori ma di incarico cd. “ad interim”; sia le mansioni delegate sia quelle affidate sono prive di compensi aggiuntivi nella misura in cui rientrano nella omnicomprensività della retribuzione tabellare del proprio profilo professionale. “Per i dipendenti pubblici vige, nel nostro ordinamento giuridico, il principio immanente di onnicomprensività del trattamento economico per cui non è possibile remunerare il dipendente con compensi extra-ordinem per compiti rientranti nelle mansioni dell’Ufficio ricoperto.” (C. dei C. sez. giur. Regione Sicilia, sent. 26 marzo 2007 n. 801).
Con sentenza n. 128/1/13, dep. 8 Feb. 2013, la C.T.P. di Messina si era già per prima pronunciata sulla nullità degli atti sottoscritti da un “dirigente illegittimo” – la cui immedesimazione organica come Direttore provinciale, in quel caso, era stata più volte sospesa dal Tribunale di Messina, sez. lavoro (con ordinanze ex art. 700 c.p.c. del 20 aprile 2011 per la nomina e del 14 marzo 2012 per la proroga, ordinanze poi divenute definitive) – motivando ampiamente e dettagliatamente che: “affinché un atto amministrativo abbia, oltre che esistenza anche piena vitalità, è quindi non possa essere oggetto di resistenza passiva da parte dei destinatari, di disapplicazione da parte dei giudici e di caducazione per invalidità, non deve mancare di alcuni degli elementi della sua esistenza e deve essere immune da difetti: cioè deve essere valido. L’atto amministrativo, infatti, fino a quando non sarà caducato estrinsecherà di pieno diritto la sua operatività, ma la sua invalidità, e quindi non vitalità, (ossia suscettibilità di essere reso improduttivo di effetti) rimane. Conseguentemente quando l’invalidità di un atto amministrativo viene dichiarata in esecuzione di una sentenza, che con effetto ex tunc ha fatto venir meno taluna delle disposizioni in base al quale l’atto era stato emanato, l’atto amministrativo, che era da considerare invalido e quindi disapplicabile fin da principio, non vi è più fin dal momento della sua emanazione, rendendo privi di effetto tutti gli atti successivi che sono invalidi in conseguenza della invalidazione del primo.”. Inoltre, “gli atti in questione mantengono validità se favorevoli al privato” (come, per esempio, i rimborsi o i riconoscimenti di crediti d’imposta) solo in applicazione del principio di apparenza – è questo il caso in cui può parlarsi propriamente di funzionario di fatto – mentre sono “illegittimi […] per difetto di competenza se sfavorevoli” al cittadino-contribuente (come gli avvisi di accertamento. C. di S. sent. nn. 6/1993 e 853/1999) il quale, quindi, ha un interesse diretto, concreto ed attuale a farli dichiarare illegittimi, eventualmente anche previa disapplicazione di presupposti regolamenti e/o atti generali ritenuti illegittimi ab imis, ex art. 7, c. 5, d.lgs. 546/92. (vds., art. 5, L. 2248/1865 all. E). La cd. teoria del funzionario di fatto: “si fonda sull’esigenza di garantire i diritti dei terzi che vengono a contatto col funzionario medesimo e si sostanzia dunque nella tutela della buonafede del privato; ed in questa prospettiva gli effetti presi in considerazione dalla teoria in esame sono solo quelli favorevoli al privato. È stato anche affermato che la teoria del cd. funzionario di fatto si fonda sul principio di continuità dell’azione amministrativa” (C. di S., sez. IV, 20 maggio 1999 n. 853). L’assoluta carenza di investitura legittimante – proprio come quella dell’usurpatore di pubbliche funzioni di cui all’art. 347, c. 1, c.p. che non costituisce reato solo ove le relative funzioni siano state esercitate con il consenso dell’ente a cui l’ufficio appartiene – costituisce “a competenza” e gli atti posti in essere da chi versa in tale situazione (se non favorevoli al terzo incolpevole) sono radicalmente nulli perché posti in essere da soggetto ab origine privo della qualità di organo amministrativo, nella misura in cui versa in difetto assoluto di attribuzione ex art. 21-septies l. 241/90, con conseguente irrilevanza ai fini impugnatori di ogni termine decadenziale previsto. La dichiarazione di nullità (ex tunc) dell’atto d’investitura presupposto, infatti, avrà ipso iure un effetto cd. caducante dell’atto impositivo presupponente: simul stabant, simul cadent.
Relativamente all’autoannullamento: Il Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000 all’art. 1, c. 2, reca un pleonastico rinvio dinamico che così recita:
“L’Agenzia si conforma ai principi della legge 7 agosto 1990, n. 241.”
Legge 241/90
Art. 21-septies. (Nullità del provvedimento)
1. “È nullo il provvedimento amministrativo … che è viziato da difetto assoluto di attribuzione …” [trattasi di cd. “inesistenza giuridica”. Cass. sent. n. 12104/2003].
Art. 21-octies. (Annullabilità del provvedimento)
1. “È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.”
Art. 21-nonies. (Annullamento d’ufficio)
1. “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico … “.
In ultima analisi, è nullo l’appello che non reca una valida sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro dirigente/funzionario da lui validamente delegato; alla luce di tutto quanto sopra, questo Collegio non può che rilevare la nullità assoluta per straripamento di potere dell’atto di appello di cui è causa, atteso che esso è stato sottoscritto da soggetto divenuto (sotto il profilo dell’irregolarità amministrativa) usurpatore di funzioni pubbliche per difetto assoluto di attribuzione. I restanti motivi dell’appello rimangono assorbiti.
La Commissione ritiene opportuno, poi, richiamare una pregevolissima dottrina che definisce nomopoietica la funzione esercitata dal giudice nel creare la propria particolare norma da applicare al caso concreto – valida solo per le parti in causa e separata dalla norma generale che vale erga omnes – per dare vita al diritto: la norma nasce e resta cosa inanimata fino a quando un giudice, con propria sentenza (iuris dictio) non le dia vita “in nome del popolo italiano” e non dell’apparato statuale al quale lo stesso giudice appartiene. Premessa una distinzione ontologica tra disposizione (intesa come testo letterale della norma) e norma (prodotto dell’attività interpretativa), nelle questioni giudiziarie tributarie più rilevanti, a volte, c’è tra gli operatori del settore chi attende dal giudice investito della questione di “interesse nazionale” una sorta di “favor” nomopoietico volto a costituire la ratio decidendi di una sentenza giudiziale favorevole ad una delle parti in causa anche perché (o sol perché) portatrice di “superiori interessi pubblici”, trascurando il fatto che ogni minaccia a tali “superiori interessi pubblici” debba essere prevenuta, contrastata, repressa e misurata nell’eventuale danno erariale da altre autorità, governative e giurisdizionali, e non certo dal giudice tributario adito che deve fare solo il proprio dovere, secondo il noto brocardo: “da mihi factum, dabo tibi ius”, lasciando ad altro giudice di grado superiore ogni ulteriore vaglio sulla causa sentenziata. Ecco perché il giudice deve essere terzo ed imparziale rispetto alle parti (Cost. art. 111), quant’anche pubbliche, tutte da mettere in condizione di assoluta parità (la sentenza viene pronunciata “In nome del popolo italiano”), nonostante una inaccettabile dipendenza amministrativa dell’apparato giurisdizionale tributario italiano. Per tale abnorme dipendenza amministrativa, che esiste e continua solo per la giurisdizione tributaria e non per le altre: ordinaria, amministrativa e contabile, forse è il caso di provvedere con efficacia e rapidità.
Questo Consesso, infine, non può non porsi il problema per il danno erariale costituito dal mancato introito (vds. d.lgs. 300/99, art. 61, c. 4: “La Corte dei Conti esercita il controllo sulla gestione finanziaria delle agenzie, con le modalità previste dalla legge 21 marzo 1958, n. 259 …” ed art. 69, c. 1, “per altre gravi ragioni di interesse pubblico, con decreto del presidente del consiglio dei ministri su proposta del ministro delle finanze può essere nominato un commissario straordinario) e pertanto, considerato che il giudice collegiale tributario (pubblico ufficiale ex art. 357 c.p.) ha un obbligo giuridico diretto (ex art. 83 L. 1240/1923, art. 53 c. 2 e 3 r.d. 1214/1934, artt. 20 e 21 t.u. 3/1957, art. 1 c. 3 L. 20/94) di trasmettere alla Procura della Corte dei conti un rapporto su eventuali responsabilità per danno erariale, nonché alla Procura della Repubblica (ex art. 331 c.p.p.) denuncia per eventuali rilievi penali e che responsabilità contabili e penali incombono direttamente anche sul giudice collegiale tributario che abbia omesso le doverose denunce (361 c.p.), manda – per debito d’ufficio e per quanto di propria rispettiva ritenuta competenza – alla segreteria di sezione per la trasmissione in copia del fascicolo di causa alle locali Procure della Repubblica, contabile e penale.
La novità della questione costituisce valido motivo per la compensazione delle spese del grado.
P.Q.M.
La Commissione rigetta l’appello. Spese compensate.
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