COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Milano sentenza n. 6725 sez. 27 del 13 dicembre 2016
PROCESSO TRIBUTARIO – IMMEDIATA ESECUTIVITà DELLE SENTENZE TRIBUTARIE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
All’odierna pubblica udienza sono comparsi difensori delle parti, Come da verbale d’udienza.
Udita la relazione del relatore, le parti presenti confermano quanto esplicitato dallo stesso e si rimettono ciascuno al proprio scritto difensivo concludendo per le opposte ragioni ivi indicate.
La causa prosegue nel segreto della camera di consiglio.
FATTO, DIRITTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
La società ha presentato – tardlvamente – la dichiarazione Iva relativa al periodo d’imposta 2009, dalla quale scaturiva un credito iva di Euro 2.878,00.
Nella dichiarazione Iva relativa al successivo anno 2010, la contribuente riportando tale credito, presentava la dichiarazione con un credito iva di Euro 7.018,00.
Su indicazione del funzionario dell’agenzia delle entrate – ufficio di Tirano – e richiamando la circolare 34/E del 06/08/12, la contribuente veniva a conoscenza che il credito derivante da una dichiarazione “omessa” – quale era quella relativa all’anno 2009, perchè presentata oltre 90 gg. dalla scadenza del termine per la presentazione – non poteva essere compensato (ovvero aggiunto) a quello relativo all’annualità successiva, per cui presentava dichiarazione integrativa, eliminando il riporto del credito del 2009, che evidenziava quindi un minor credito di Euro 4.140,00.
Nel contempo l’agenzia, non trovando il credito relativo alla dichiarazione del 2009, provvedeva ad emettere preavviso di irregolarità, che successivamente veniva annullato atteso che l’importo indicato – di fatto – non era mai stato recuperato, confermando la regolarità della dichiarazione integrativa presentata.
In data 24/01/2013 con prot. 3395 la società presentata domanda di rimborso iva relativamente all’anno 2009 per Euro 2.878,00 che l’agenzia rigettava in quanto domanda presentata oltre il termine decadenziale dei due anni.
Tanto premesso la Commissione rileva che la normativa richiamata dall’agenzia riguarda i c.d. “versamenti diretti” a cui non può farsi risalire il credito vantato dalla società e richiesto a rimborso.
La Cassazione, con sentenza 4316/15, ha affermato che l’obiettivo riscontro documentale del credito IVA – nonostante l’omessa presentazione della dichiarazione iva, non priva il contribuente dall’ottenere il rimborso del credito stesso nell’ordinario termine di prescrizione decennale.
Nessuno ha messo in dubbio la bontà del credito stesso e l’agenzia aveva (ed ha) il potere di accertare – prima del ricorso al Giudice – l’esistenza del credito mediante il controllo della documentazione contabile (registri iva vendite ed acquisti, verifica fatture ricevute, ecc.): nel caso in esame il credito si deve presumere certo, liquido ed esigibile sia perchè evidenziato nella dichiarazione (di scienza) presentata, ancorchè tardivamente, dalla società, sia perchè tale credito è stato ritenuto “mancante” dalla dichiarazione precedente, per cui prima richiesto e poi annullato ed ancora, sia perchè la richiesta presentata esplicitamente richiedeva detto importo: da tutte queste attività l’agenzia avrebbe potuto iniziare un controllo più che legittimo. Il fatto che non lo abbia fatto determina la conferma dell’importo indicato nell’istanza.
Ne consegue che, in riforma della sentenza impugnata, l’appello deve essere accolto, con la conclusione che l’agenzia delle entrate deve pagare l’importo di Euro 2.878,00 quale iva relativa all’anno 2009, oltre agli interessi maturati dalla data della richiesta a quella di effettivo rimborso.
Le sentenze tributarie sono provvisoriamente esecutive ai sensi dell’Art. 69 del D. Lgs. n. 546/92, come novellato dal D. Lgs. n. 156/2015, in attuazione dell’art. 10, c. 1, L. 11 marzo 2014, n. 23, che ha delegato il Governo ad introdurre “la previsione dell’immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle commissioni tributarie”. Questo giudice è ben a conoscenza della norma transitoria del citato decreto n. 156/15 secondo la quale la modifica all’art. 69 entrerebbe in vigore solo dopo l’emanazione di un decreto ministeriale volto a disciplinare i contenuti delle “garanzie” da imporre alla parte privata. Ad avviso del Collegio la norma potrebbe esporsi a più di una censura costituzionale. E’ innanzitutto irragionevole che la previsione di esecutività possa essere subordinata all’emanazione di un decreto relativo alle “garanzie” quando esse non sono dovute. In ogni caso va detto che la legge delega non prevedeva che a fronte dell’esecutività si dovesse imporre una garanzia; tantomeno quindi potrebbe ammettersi che la ).revisione di esecutività chiaramente espressa nella legge sia indefinitamente posticipata dal legislatore delegato al fine di disciplinare tale aspetto marginale, che ben il giudice può regolamentare caso per caso. Inoltre, il fatto che il legislatore delegato – senza imporre limiti di tempo – abbia subordinato, l’effettiva entrata in vigore della norma all’emanazione di un provvedimento regolamentare la cui iniziativa è lasciata in mano al dicastero dell’Economia e delle Finanze (che, in sostanza, è una delle parti del processo) solleva ulteriori ombre di incostituzionalità sull’art. 12, c. 2, del D. Lgs. n. 156/2015.
Occorre quindi dare alla norma una lettura costituzionalmente orientata e ritenere che la provvisoria esecutività delle sentenze, già chiaramente imposta dalla legge delega, debba senz’altro già ritenersi pienamente operante in tutti quei casi in cui il giudice non intenda (oppure non possa ovvero non voglia) imporre alcuna garanzia a carico della parte privata.
Tanto premesso, il Collegio con la presente sentenza – provvisoriamente esecutiva – condanna l’Amministrazione al rimborso di Euro 2.878,00 senza necessità di imporre alcuna garanzia a carico del contribuente poiché il rimborso risulta minore di (10.000,00).
Per quanto sopra ne consegue che, in riforma della sentenza impugnata, l’appello deve essere accolto, con la conclusione che l’agenzia delle entrate deve pagare l’importo di Euro 2.878,00 quale iva relativa all’anno 2009, oltre agli interessi maturati dalla data della richiesta a quella di effettivo rimborso.
La soccombenza determina il pagamento delle spese di giustizia del giudizio, che la commissione liquida – tenendo conto del D.M. 55/2014 – a favore del contribuente ed a carico dell’Agenzia delle entrate – in complessive Euro 2.800,00 (duemilaottocento/00) oltre ad oneri accessori (15% spese generali, 4% cpa; 22% iva) di legge.
Ed infine, visto il lcomma dell’art. 69 del Dpr 546/92 come modificato dal D. Lgs. 156/2015 dichiara la presente sentenza immediatamente esecutiva.
La Commissione,
P. Q. M.
l’appello e per l’effetto,della sentenza impugnata, ordina all’Agenzia appellata di provvedere al RIMBORSO, a favore dell’appellante, della somma di Euro 2.878,00 (duemilaottocentosettantaotto/00) oltre ad interessi di legge decorrenti dalla data di richiesta del rimborso.
Spese del grado secondo soccombenza.
Sentenza immediatamente esecutiva.
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