COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Milano sentenza n. 864 sez. 20 del 10 marzo 2015
ACCERTAMENTO – ANTICIPATO – ESPLICITAZIONE E PROVA DI MOTIVI DI URGENZA – NECESSITA’
OGGETTO DELLA DOMANDA, SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
I contribuenti (…) che erano stati inclusi nel programma accertamenti relativo a soggetti che avessero posto in essere cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, depositavano appello in data 21/2/14 contro la Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Lodi avverso la sentenza n. 107/2/13 del 27/5/13 – 28/6/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Lodi che ne aveva parzialmente accolto, a spese compensate, i riuniti ricorsi avverso l’avviso di accertamento n. (…) per Irpef, annualità 2007.
Gli avvisi di accertamento impugnati erano conseguiti a una vendita effettuata dai tre fratelli (…) di vecchi e fatiscenti fabbricati, posseduti in quote indivise di 1/3 ciascuno, da demolire in Tavazzano con Villavesco per l’ammontare complessivo di Euro 140.000.00 vendita di vecchi e fatiscenti fabbricati da demolire in Tavazzano con Villavesco per l’ammontare complessivo di Euro 130.000,00 effettuata dalla S.S. (…), cessata ai soli fini IVA nell’anno 2006, della quale i tre fratelli (…) sono soci con quote del 33,333% ciascuno. L’Ufficio riteneva che la compravendita avesse avuto per oggetto non la cessione di fabbricati oramai privi di valore, ma l’area edificabile sottostante, precisando che il Certificato di Destinazione Urbanistica descrive i beni come ” Zona B2 residenziale di completamento sottoposta a Piano di recupero”. Pertanto, l’Ufficio riteneva che la vendita avesse dato luogo a plusvalenza ex art. 67 T.U. che non era stata dichiarata. Quindi, vista la provenienza anno 1989, l’Ufficio aveva calcolato il valore iniziale in Euro 754,35 ed una plusvalenza complessiva di Euro 89.749,00 per ognuno dei ricorrenti che aveva assoggettato a tassazione separata applicando inoltre sanzioni ed interessi. Precisava inoltre l’Ufficio che i beni di proprietà della società (…) risultavano acquistati dai tre fratelli in quote indivise nell’anno 1989 con atto Biasini, società che è stata poi oggetto di regolarizzazione di società semplice con atto Laganà del 01/12/1997.
I ricorrenti eccepivano col ricorso introduttivo: 1) la nullità degli avvisi di accertamento perchè emessi in mancanza del presupposto impositivo ed in violazione art. 40 D.P.R. n. 600 del 1973 in quanto l’Ufficio aveva accertato una plusvalenza in capo al socio per un atto compiuto dalla società senza però precedentemente rettificare un maggiore reddito in capo alla società; 2) la nullità degli avvisi di accertamento per violazione del diritto al contraddittorio, violazione art. 12 comma 7 L. n. 212 del 2000 e art. 24 L. n. 4 del 1929. L’Ufficio non aveva redatto alcun verbale di chiusura della verifica, atto questo necessario per informare il contribuente circa l’esito della verifica stessa e per consentirgli di formulare osservazioni e di osservare il termine di 60 giorni prima di emanare gli avvisi di accertamento; 3) illegittimità degli avvisi di accertamento per erronea qualificazione dell’oggetto delle cessioni effettuate dai ricorrenti in quanto ha riguardato fabbricati non oggetto di plusvalenza e non aree edificabili; 4) la illegittimità del provvedimento irrogativo delle sanzioni. Con memoria illustrativa depositata il 13 maggio 2013 i ricorrenti ribadivano che l’accertamento del maggiore reddito in capo alla società è un necessario atto prodromico dell’accertamento di maggiore reddito in capo ai soci.
L’Ufficio relativamente alle eccezioni dei ricorrenti in ordine alla nullità degli avvisi di accertamento perchè emessi in mancanza di presupposto impositivo ed in violazione all’art. 40 cit., controdeduceva che: a) la contestazione riguarda solo una parte dei recuperi di imposta e quindi non si puo’ determinare la nullità o illegittimita’ degli avvisi di accertamento nella loro interezza; b) la contestazione è inoltre infondata perchè la società è cessata ai soli fini IVA nell’anno 2006; c) perchè i beni acquistati individualmente e personalmente dai tre fratelli ricorrenti provengono da atto del 07/09/89 rep. 14826/8122 notaio Biasini, che è lo stesso atto con cui sono stati acquistati i beni della società, solo in seguito conferiti nella s.s. con atto di regolarizzazione del 1997; d) le rettifiche riguardano l’Irpef da sottoporre a tassazione separata, non essendo la s.s. soggetto Irpef la emissione di avviso di accertamento in capo alla s.s. (…) costituisce un inutile passaggio non previsto da nessuna norma; e) relativamente alla dedotta violazione dell’art. 12 L. n. 212 del 2000 che la norma si riferisce alla ipotesi di verifiche fiscali e non trova indiscriminata applicazione a tutti gli avvisi di accertamento; in ogni caso la invocata sanzione della nullità sarebbe tutt’altro che applicabile in quanto il ricorrente era stato preventivamente sollecitato con apposito questionario; f) che l’obbligo del contraddittorio è previsto come necessaria fase procedimentale solo per gli accertamenti fondati sugli studi di settore; g) riguardo alla erronea qualificazione dell’oggetto della cessione effettuata dai ricorrenti, che gli immobili venduti rientravano in un Piano di recupero convenzionato, che risultano essere stati demoliti dall’acquirente, che i fabbricati erano privi di valore economico, che l’acquirente opera nel campo dell’edilizia e che il Certificato di Destinazione Urbanistica descrive i beni come ricadenti in Zona B2 residenziale di completamento sottoposta a Piano di recupero PR-2; h) che i beni censiti ai mappali 72/701 e 76/701 sono stati acquistati individualmente e personalmente dai soci nel 1989 e solo in seguito conferiti nella s.s. con atto di regolarizzazione della società nel 1997; i) relativamente alle irrogazioni delle sanzioni, che l’atto è legittimo e che per la loro applicazione è sufficiente che sia dimostrata la negligenza, la imprudenza e la imperizia del contribuente.
Gli anteriori giudici avevano preliminarmente osservato che, quanto alla dedotta illegittimità degli avvisi di accertamento per erronea qualificazione dell’ oggetto delle cessioni effettute dai ricorrenti, i beni oggetto della compravendita risultavano allocati in zona residenziale di completamento sottoposta a Piano di Recupero con zona a verde privato e allargamento sede stradale e quindi il prezzo di compravendita, rispettivamente di Euro 140.000,00 ed Euro 130.000,00 risultava essere un prezzo eccessivo se riferito a fabbricati vecchi e fatiscenti, ma appariva un prezzo equo se riferito ad aree edificabili. Concludevano sul
punto i primi giudici che “non vi è dubbio che oggetto della compravendita non siano stati i fabbricati vecchi e fatiscenti, privi di valore, ma l’area edificabile sottostante. Pertanto le eccezioni dei ricorrenti in ordine alla nullità degli avvisi di accertamento per erronea qualificazione dell’ oggetto delle cessioni effettuate, sono da rigettare”. Quanto alla dedotta illegittimità degli avvisi di accertamento perchè emessi in mancanza del presupposto impositivo ed in violazione dell’art. 40 D.P.R. n. 600 del 1973 l’anteriore collegio osservava che l’Ufficio aveva illegittimamente accertato una plusvalenza in capo ai soci della s.s.
(…) senza precedentemente rettificare un maggiore reddito in capo alla società e quindi, in un secondo momento, imputare ad ogni singolo socio il reddito così rettificato proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. Relativamente alla richiesta di nullità degli avvisi di accertamento per violazione del diritto al contraddittorio l’anteriore collegio la rigettava ritenendo che l’obbligo del contraddittorio sarebbe “previsto come necessaria fase procedimentale solo per gli accertamento fondati sugli studi di settore” e che il ricorrente era stato preventivamente sollecitato con apposito questionario e che non aveva ritenuto di proporre alcuna istanza di accertamento con adesione. Rigettava altresì la richiesta di annullamento del provvedimento irrogativo delle sanzioni per assenza delle invocate obiettive condizioni di incertezza.
Gli appellanti chiedevano, con vittoria di spese, la riforma parziale dell’impugnata sentenza con annullamento dei notificati avvisi, in primis per la sua illegittimità nella parte in cui non ha rilevato la violazione da parte dell’ Ufficio dell’art. 12 comma 7 della L. n. 212 del 2000 e dell’art. 24 della L. n. 4 del 1929, che statuisce che ogni controllo che contesti la violazione di norme tributarie deve chiudersi con la redazione di apposito processo verbale così come l’art. 12, comma 7 della L. n. 212 del 2000 stabilisce che l’avviso di accertamento non può essere emanato prima di 60 giorni dal rilascio del processo verbale. Lamentava quindi parte contribuente che “nel caso di specie, l’Ufficio non ha redatto il processo verbale a cui era obbligato per legge, ma nemmeno ha atteso il termine dilatorio previsto dallo Statuto del contribuente” e che la Commissione Tributaria Provinciale di Lodi “senza pronunciarsi sulla denunciata violazione dell’art. 24 della L. n. 4 del 1929, ha ritenuto di non dare seguito all’eccezione di nullità svolta dai (…) affermando che l’obbligo del contraddittorio imposto dallo Statuto del Contribuente sarebbe previsto come necessaria fase procedimentale solo per gli accertamenti fondati sugli studi di settore”. Parte contribuente eccepiva trattarsi di una “interpretazione contraria ai principi in tema di contraddittorio contenuti nell’ordinamento eurounitario e, in generale, in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione a cui gli stati membri devono attenersi (cfr. Cass. Civ. 8060/2013)”, riferendosi nello specifico alla decisione n. 349/07 (Sentenza Sopropè) della Corte di Giustizia UE, statuente il principio non derogabile del contraddittorio preventivo ed obbligatorio previsto per qualsiasi forma di procedimento amministrativo, strumentale a un presumibile accertamento fiscale, a prescindere dalla tipologia di accertamento – quindi non solo per accertamenti fondati su studi di settore – e dal luogo in cui avviene materialmente il controllo e quindi non solo nel caso in cui il controllo sia effettuato presso la sede del contribuente ma anche nei casi in cui avvenga presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate. La mancata redazione del processo verbale è causa dell’ annullamento degli atti impositivi (cfr. CTR Milano, Sez. X(…), sent. n.4 del 27/1/2012) e l’Ufficio, non solo non ha redatto il processo verbale, ma non ha nemmeno rispettato il termine di 60 giorni previsto dall’art. 12 comma 7 dello Statuto dei diritti del contribuente. Lo stesso questionario veniva ricevuto solo il 7 novembre 2012, ovvero tardivamente rispetto ai termini decadenziali e senza la esplicitazione di ragioni di particolare urgenza. Eccepivano tuzioristicamente gli appellanti la erroneità del provvedimento impugnato in relazione alla qualificazione dei beni oggetto di cessione e, da ultimo, la illegittimità della sentenza nella parte relativa alle sanzioni.
L’appellato Ufficio chiedeva, con vittoria di spese per Euro 5.603,62, la riforma dell’impugnata sentenza avanzando appello incidentale avverso la parte della sentenza relativa al parziale annullamento degli avvisi quanto alla plusvalenza realizzata dalle parti in qualità di soci poichè “i giudici lodigiani, tralasciando il fatto che l’attività della società era cessata, non hanno colto un aspetto fondamentale della fattispecie, ovvero, la circostanza, dirimente, secondo cui a seguito della cessazione della società non si era più in presenza di una società bensì di una mera comunione di beni, pertanto, nessun preventivo accertamento in capo al soggetto giuridico “società” poteva e doveva essere notificato”. Nel merito l’Ufficio controdeduceva che “l’effettivo oggetto della cessione sono stati non gli immobili, ormai privi di effettivo valore economico, ma l’area edificabile sottostante, area che è stata sottoposta ad interventi di trasformazione urbana, trattandosi di un piano di recupero convenzionato, tale da comportare modifiche dell’assetto e la realizzazione di edifici residenziali con necessaria demolizione degli edifici esistenti (si veda Ris. 22 ottobre 2008, n. 395/E)”, insistendo da ultimo che “le sanzioni irrogate sono assolutamente legittime e motivato è il relativo atto che le irroga come può agevolmente desumersi dalla semplice lettura della pag. 7 dell’impugnato avviso a cui si rinvia per brevità e comodità espositiva, motivazioni che si devono avere in ogni caso qui per integralmente riportate e trascritte”. Quanto alla eccepita falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 della L. n. 212 del 2000 l’Ufficio ne ribadiva la ritenuta “pretestuosità e l’assenza di pregio giuridico delle argomentazioni addotte”. Infatti sosteneva che la norma contenuta nella invocata disposizione ha un ambito di applicazione oggettiva completamente diverso rispetto alla fattispecie concreta oggetto del presente giudizio. Il termine dilatorio ivi previsto si riferisce alle ipotesi di verifiche fiscali della GdF ovvero dell’ AGE e non trova indiscriminata applicazione a tutti gli avvisi di accertamento e in ogni caso la sanzione della nullità sarebbe stata tutt’altro che applicabile. La Suprema Corte avrebbe “sempre evidenziato come il mancato rispetto del termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, non venga sanzionato dalla norma medesima”. Peraltro, nessuna pronuncia dei giudici di merito o di legittimità ha mai sancito che per tutti i procedimenti di accertamento debba trovare applicazione la norma contenuta nel comma 7 dell’art. 12 citato, rilevandosi pretestuosa l’eccezione di invalidità sollevata, basata su una interpretazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000 “carica di eccessivo formalismo, in una misura peraltro mai sostenuta da alcuna parte della dottrina e della giurisprudenza”. In ultimo, è forse superfluo precisare che l’obbligo del contraddittorio è previsto come necessaria fase procedimentale solo per gli accertamenti fondati sugli studi di settore. Peraltro, quanto appena dedotto trova conforto nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. sent. n. 28051/2009): “la convocazione del contribuente, a seguito della sua richiesta, non costituisce per l’Ufficio un obbligo, ma soltanto una facoltà, da esercitare in relazione ad una valutazione discrezionale del carattere di decisività degli elementi posti a base dell ‘accertamento e dell’ opportunità di evitare la contestazione giudiziaria”. Concludeva sul punto l’Ufficio affermando che “anche in presenza di un’ espressa istanza del contribuente, non vi è alcun obbligo od onere degli Uffici finanziari di convocare il contribuente per attivare un contraddittorio”.
La Commissione, visti gli atti, osserva in via preliminare quanto del tutto dirimente ai fini della decisione della presente vertenza – in relazione ad ogni altra questione dedotta in causa, ivi incluse le deduzioni poste dall’Ufficio col proprio appello incidentale – la i(…)mediata nullità dell’avviso di accertamento impugnato in quanto emesso in palese violazione del disposto dell’art. 12, comma 7 della L. n. 212 del 2000, con violazione del diritto al contraddittorio, infondatamente ritenuto dai primi giudici come “previsto come necessaria fase procedimentale solo per gli accertamento fondati sugli studi di settore”.
La Commissione osserva infatti che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dirimendo e chiarendo i precedentemente intercorsi contrasti giurisprudenziali, con la sentenza n. 18184 del 14/5/2013 (pres. Rodorf) hanno statuito che “l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dall’art.12 comma 7, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prematuramente” in quanto non consente al contribuente “di attivare e coltivare il contraddittorio procedimentale”; altresì specificando i Supremi Giudici che “la sanzione della invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale” avendo riconosciuta una “autonoma rilevanza alla portata precettiva della norma in esame”, a prescindere dalla eventualmente intervenuta attivazione di ulteriori strumenti di tutela per il contribuente. Concludendo inequivocamente la sentenza n. 18184/2013 cit. che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma. 7, della L. 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – terminedecorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.
La Commissione osserva al riguardo che non risulta in atti alcuna esplicitazione di motivi di urgenza, tanto meno provata dall’Ufficio per la fattispecie in esame all’epoca della emissione dell’avviso impugnato ed osserva altresì che la successiva sentenza – n.2279 del 3 febbraio 2014 (pres. Chindemi) – sempre emessa dalla Corte di Legittimità, ha ribadito ed ulteriormente specificato sul punto quanto già espresso dalle Sezioni Unite, cosi come la sentenza della Corte di Giustizia UE nelle cause riunite C-129/13 e C-130/13 del 3 luglio 2014 ha ritenuto di ribadire l’ineludibile diritto al contraddittorio nei procedimenti amministrativi, insistendo che il giudice nazionale ha il potere ed il dovere di verificarne l’attuazione, anche immediatamente disapplicando le norme interne che fossero in contrasto col prefato principio.
Per gli esposti motivi e conclusivamente la Commissione non può che accogliere l’appello di parte contribuente annullando l’impugnato avviso e, visto l’art.15 del D.Lgs. n. 546 del 1992, condanna l’Ufficio a rifondere le spese procedimentali nella complessiva misura di Euro 1.200,00.
P.Q.M.
accoglie l’appello con condanna alle spese per Euro 1.200,00.
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