Imposte e tasse – Accertamento tributario – Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali – Contraddittorio endoprocedimentale – Ambito di applicazione – Onere del contribuente. – Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), art. 12, comma 7
Svolgimento del processo
Con l’impugnata sentenza la C.T.P. di Napoli rigettava il ricorso proposto da C.R. avverso l’avviso di accertamento come da epigrafe speditogli dall’Agenzia delle entrate di Napoli in ordine a pretese imposte dirette ed IVA per il 2009 previo accertamento in rettifica del reddito dichiarato con applicazione del disposto di cui all’art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973.
Il ricorrente aveva dedotto il difetto di contraddittorio ed il mancato rispetto dei presupposti di cui all’art. 39 citato, contestando nel merito quell’accertamento siccome non motivato e comunque fondato su elementi deduttivi arbitrari.
L’Agenzia delle entrate di Napoli si era costituita contestando in fatto ed in diritto ogni avversa deduzione e ribadendo la piena legittimità formale e sostanziale del proprio operato.
La C.T.P. dì Napoli riteneva infondate tutte le doglianze calate in ricorso.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Ciotola, deducendo che i primi giudici avevano omesso ogni esame sulla questione del mancato rispetto del contraddittorio, errando poi nel ritenere bastevole e congrua la motivazione dell’atto impositivo in oggetto.
Radicatasi la lite, l’Agenzia delle entrate di Napoli si costituiva ritualmente, deducendo sia l’inammissibilità che l’infondatezza del gravame.
Indi questo collegio ha adottato la deliberazione, come da dispositivo e motivi qui contenuti, all’udienza odierna, svoltasi con le formalità di cui all’art. 34, decreto legislativo n. 546/1992 nella ricorrenza di ogni requisito previsto dalla detta norma.
Motivi della decisione
S’impone ai fini del decidere – previamente rilevato che i primi giudici hanno del tutto omesso, in violazione dell’art. 112 del codice di procedura civile, di occuparsi della doglianza del C. in ordine alla dedotta mancanza dì contraddittorio – la delibazione di questa C.T.R. circa la questione di costituzionalità, da sollevarsi d’ufficio, in ordine al problema, strettamente funzionale alla decisione della presente causa, della legittimità o non del mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, pur quando, come nella specie, un obbligo in tal senso non risulti espressamente previsto per legge.
Il problema è stato di recente affrontato dalle S.U. della Cassazione con la sentenza n. 24823 depositata il 9 dicembre 2015. Per inquadrarlo nei suoi precisi contorni torna utile riportare testualmente proprio quanto la detta sentenza reca in esordio di motivazione: «La questione rimessa all’esame di queste Sezioni unite investe il punto centrale della controversia. Concerne, infatti, il se le garanzie, di carattere procedimentale, predisposte dall’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000 (Formazione di un verbale di chiusura delle operazioni; rilascio di copia del medesimo al contribuente; facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste e corrispondente dovere dell’ufficio di valutarle; divieto per l’ufficio di emettere avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata urgenza) si applichino soltanto agli accertamenti emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ovvero se esse – in quanto espressione di un generalizzato obbligo di contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo di formazione dell’atto fiscale, eventualmente riferibile a dati normativi aliunde desumibili nell’ordinamento nazionale o in quello dell’Unione europea – operino pure in relazione agli accertamenti conseguenti ad ogni altro tipo di verifica fiscale e, in particolare, in relazione agli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’ufficio, in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (cd. “verifiche a tavolino”). Ciò con la specificazione, ove si accedesse alla soluzione della generalizzata applicazione della garanzia del contraddittorio procedimentale, delle concrete modalità di sua attuazione in relazione alle verifiche non direttamente contemplate dalla disposizione sopra citata nonché delle conseguenze della sua inosservanza».
Questi dunque, in estrema sintesi, i termini della questione: se sussista nel nostro diritto positivo un principio del contraddittorio, estraibile dall’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000 o, se si vuole, dalla sua espansione ermeneutica, oppure se sì tratti di disposizione strettamente applicabile all’ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente.
La soluzione adottata dalle S.U. – va detto subito – non convince del tutto questa C.T.R. per più di una ragione.
Per meglio intendersi occorre, per così dire, cominciare dalla fine e cioè dalla massima affermata nella sentenza n. 24823/15 all’esito di un’articolata esposizione motiva: «Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzatì’, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto».
Tale massima è dunque scindibile in tre proposizioni essenziali:
1. Il diritto nazionale, a differenza del diritto dell’Unione europea, non fissa alcun obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale, donde possa derivare, in assenza di espressa previsione, l’invalidità dell’atto in caso di mancanza di esso contraddittorio.
2. Pertanto per i tributi previsti solo dal diritto interno (cd. tributi non armonizzati) l’obbligo del detto contraddittorio sussiste solo se previsto testualmente, mentre in tema di tributi disciplinati anche da norme europee (cd. tributi armonizzati) esso obbligo sussiste sempre.
3. In ogni caso tuttavia la sanzione della nullità vi resta ascritta a condizione che il contribuente in giudizio esponga le ragioni che avrebbe fatto valere e che esse non appaiano pretestuose o comunque devianti dai canoni di correttezza e lealtà.
– II – Orbene, dovendosi tener conto dell’iter logico sottesovi, viene anzitutto in considerazione l’attento e scrupoloso excursus compiuto dai Supremi giudici sulla giurisprudenza invalsa in ordine alla complessiva tematica in discorso.
Essi iniziano col ricordare che prima della sentenza delle S.U. della Cassazione n. 18184/13 non si era minimamente dubitato del fatto che il perimetro applicativo dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 fosse quello testualmente definito. Sol che, non contemplandosi espressamente sanzioni per l’ipotesi di violazione da parte dell’Agenzia degli obblighi sanciti a suo carico, era sorto il dibattito in merito all’identificazione delle conseguente dell’inosservanza degli obblighi suddetti. I contrasti manifestatisi in proposito erano stati composti appunto dalla citata sentenza n. 18184/13 che – disattendendo precedenti pronunce (cfr. Cass. n. 16092/12; n. 21103/11; n. 19875/08) attestate sulla postulazione di conseguenze di mera irregolarità – aveva sancito che la mancata osservanza del previsto termine dilatorio dì sessanta giorni comportava la nullità dell’atto impositivo emesso ante tempus, salva la ricorrenza di comprovate ragioni d’urgenza.
E’ peraltro interessante sottolineare che le S.U. della Cassazione con tale pronuncia n. 18184/13, pur evitando interpretazioni estensive di esso art. 12, avevano divisato, nel silenzio della legge, una nullità cd. virtuale, ascrivibile in ispecie ad una deviazione intollerabile dal modello normativo prescritto, che – come ricordato testualmente nella sentenza n. 24823/15 in discorso – «introiettando, con riguardo all’ambito di applicazione di riferimento, principi (di collaborazione e buona fede nei rapporti tra amministrazione e contribuente) di derivazione costituzionale e comunitaria, configura il contraddittorio endoprocedimentale, nelle verifiche considerate, quale indispensabile strumento di tutela del contribuente e di garanzia del migliore esercizio della potestà impositiva anche nell’interesse dell’Amministrazione».
Indi essa sentenza n. 24823/15, dopo aver citato pedisseque interpretazioni restrittive della norma in esame quanto alla sua sfera di operatività (Cass. n. 26316/10; n. 21391/14; n. 15583/14; n. 13588/14; n. 7598/14; ed altre), non tace di decisioni dissonanti dalle stesse, quali la pronuncia di legittimità n. 2594/14, pur se ritenuta inficiata da qualche fraintendimento, e soprattutto, in modo più netto, le pronunce delle S.U. n. 19667/14 e n. 19668/14, riconosciute tuttavia limitate allo specifico tema delle iscrizioni ipotecarie colà contemplato.
Di poi, nel menzionare le pronunce della Cassazione n. 25759/14 e n. 406/15 – per le quali il rispetto del contraddittorio sancito per gli accertamenti fondati su ipotesi di abuso di diritto nominativamente contemplate dal quarto comma dell’art. 37-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 (poi abrogato e sostituito dall’art. 10-bis della legge n. 212/2000), doveva ritenersi operante anche in relazione agli accertamenti basati su fattispecie atipiche di abuso di diritto – la sentenza n. 24823/15 ne esplica le ragioni così esprimendosi: «In applicazione dei principi costituzionali (segnatamente, di quello di cui all’art. 3 Cost.) e considerata l’esigenza che l’interpretazione del diritto nazionale sia per quanto possibile conforme ai principi dell’ordinamento europeo, a tale conclusione le citate decisioni sono pervenute in base al rilievo che le indicate ipotesi di abuso di diritto non si distinguono morfologicamente dai corrispondenti abusi di diritto di natura comunitaria, sicché un diverso trattamento in tema di contraddittorio risulterebbe razionalmente intollerabile».
Dopodichè è dato leggere che la sentenza della Corte costituzionale n. 132/15 – per la quale il contraddittorio endoprocedimentale previsto come condizione di legittimità degli accertamenti fondati sulle ipotesi tipizzate di abuso di diritto deve estendersi agli accertamenti basati su ipotesi innominate di abuso di diritto – non avrebbe offerto «alcun utile contributo al dibattito in rassegna». Eppure non si trascura il rilievo che la detta pronuncia n. 132/15 «evoca il principio generale di diritto comunitario del rispetto dei diritti di difesa», pur se asseritamente «al solo scopo di contrastare, controbilanciandolo, l’assunto, in detta ottica prospettato dall’intervenuta Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo cui l’obbligo di contraddittorio sancito dall’art. 37-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 dovrebbe essere sacrificato sull’altare del principio di effettività del diritto comunitario e dell’obbligo del giudice nazionale, ad esso conseguente, di disapplicare le norme processuali di diritto interno che ne possano ostacolare la realizzazione».
– III – In ogni caso, delineato il quadro giurisprudenziale di riferimento e procedendo all’analisi della disciplina positiva, le S.U. affermano di dover esaminare in progressione:
A) se la disposizione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 possa interpretarsi nel senso della predisposizione di un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale generalizzato;
B) se tale obbligo derivi da altre disposizioni dell’ordinario ordinamento nazionale;
C) se esso derivi invece direttamente da norme costituzionali;
D) oppure se il medesimo scaturisca da norme dell’ordinamento europeo.
Ebbene:
A) sul primo punto le S.U. trovano agevole constatare che la previsione dell’art. 12 citato è riferita agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, precisando che:
a) a volervi ravvisare la fonte di un generalizzato diritto del contribuente al contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale, si finirebbe col porre in essere un’inammissibile interpretazione abrogans di parte qualificante del dato normativo;
b) la limitazione in parola della garanzia del contraddittorio si spiega con la peculiarità di verifiche caratterizzate dall’intromissione dell’ufficio tributario nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi a lui sfavorevoli;
B) sul secondo punto le S.U. escludono che un obbligo di contraddittorio generalizzato possa riscontrarsi in altre norme di diritto positivo, ma ammettono che plurime disposizioni prescrivono tale contraddittorio, pur se con modalità ed effetti diversi, quali gli articoli 3, comma 185, legge n. 549/1995 e 10, comma 3-bis, legge n. 146/1998 in tema di «accertamenti standardizzati»; gli articoli 36-bis, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 e 54-bis, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972 nonché l’art. 6, comma 5, legge n. 212/2000, con riferimento alle liquidazioni delle imposte in base alla dichiarazione; l’art. 36-ter, comma 4, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, in rapporto al controllo formale delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette; l’art. 38, comma 7, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 (come modificato dall’art. 22, comma 1, decreto-legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010), in tema di accertamento sintetico; il comma 11 dell’art. 110 in tema di recupero a tassazione di deduzioni di costi relativi ad operazioni intercorse con imprese con sede in Paesi black list; il comma 4 dell’art. 37-bis (introdotto dal decreto legislativo n. 358/1997 e poi abrogato dall’art. 1, comma 2, decreto legislativo n. 128/2015), in merito agli accertamenti in materia di imposte dirette fondati su ipotesi di abuso di diritto; il comma 6 dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000 (introdotto, in sostituzione della disposizione prima esaminata, dall’art. 1, comma 1, decreto legislativo n. 128/2015); l’art. 11, comma 4-bis, decreto legislativo n. 374/1990 (introdotto dall’art. 92, comma 1, decreto-legge n. 1/2012, convertito in legge n. 27/2012), in materia doganale. Ciò premesso:
a) anzitutto la conclusione cui pervengono i Supremi giudici è la seguente: «la ricorrenza, in campo tributario, di una pluralità di norme che prescrivono il contraddittorio endoprocedimentale in rapporto ad atti specifici, lungi dal poter assurgere ad indice dell’esistenza, nell’ordinamento tributario, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, assume, ineludibilmente, la valenza opposta»;
b) in secondo luogo l’art. 22, comma 1, decreto-legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, che ha introdotto l’obbligo del contraddittorio per gli accertamenti sintetici ed, in materia doganale, l’art. 92, comma 1, decreto-legge n. 1/2012, convertito in legge n. 27/2012, contemplante lo stesso obbligo anche per l’ipotesi di revisione eseguita in ufficio, vengono definiti come conferma, con argomento a contrario, della tesi che allo stato attuale della legislazione non sussiste nell’ordinamento tributario nazionale una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale;
c) negli stessi sensi viene poi interpretato il rilievo che la legge n. 23/2014, di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, inserisce tra i principi e criteri direttivi della delega la previsione di forme di contraddittorio propedeutiche alla adozione degli atti di accertamento dei tributi (cfr. l’art. 1, comma 1, lettera b), nonché il rafforzamento del contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale (vedi l’art. 9, comma 1, lettera b);
C) sul terzo punto la sentenza delle S.U. n. 24823/15 espressamente esclude che l’esistenza di un generalizzato obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario possa essere direttamente ancorato all’art. 24 Cost., trattandosi di garanzie attinenti all’ambito giudiziale, o all’art. 97 Cost, norma che non reca il benché minimo indice rivelatore dell’indefettibilità di un tal contraddittorio;
D) sul quarto punto la sentenza in discorso osserva che l’ordinamento europeo adotta in tema di contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria un’impostazione diversa, estraibile:
a) dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea (cfr. sentenze: 3 luglio 2014, in causa C-129 e C/130/13, Kamino International Logistics; 22 ottobre 2013, in causa C-276/12, Jirì Sabou; 18 dicembre 2008, in causa C-349/07, Sopropè; 12 dicembre 2002, causa C-395/00, Soc. Distillerie Cipriani; 21 settembre 2000, in causa C-462/98 P, Mediocurso c. Commissione; 4 ottobre 1996, in causa C-32/95 c. Lisrestat), giurisprudenza che configura il rispetto del contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, come un principio fondamentale dell’ordinamento, sicché il destinatario di provvedimento teso ad incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione (cfr., in particolare, la decisione 18 dicembre 2008, in causa C-349/07, Sopropè, punti 36 e 37);
b) dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, norma che, avendo assunto il medesimo valore giuridico dei trattati, prevede che il diritto ad una buona amministrazione deve ritenersi inclusivo del diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio (cfr. anche citate sentenze Jirì Sabou e Kamino International Logistics).
Alla stregua di quanto esposto, le S.U. in primo luogo puntualizzano che la Corte di giustizia europea nondimeno intende l’obbligo del contraddittorio in termini restrittivi e non formali, segnatamente esigendo che la nullità per violazione del medesimo presupponga la verifica che viceversa il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso (cfr. sentenze di essa Corte sopra richiamate ed in particolare 3 luglio 2014, in causa C-129 e C/130/13, Kamino International Logistics, punti 78-82).
Di poi esse registrano che sul tema in rassegna non vi è coincidenza tra disciplina europea e disciplina nazionale, in quanto la prima prevede il contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria quale principio di generale applicazione, mentre la seconda lo delinea quale obbligo gravante sull’Amministrazione a pena di nullità dell’atto soltanto in relazione ai singoli (ancorché molteplici) atti per i quali detto obbligo è esplicitamente contemplato.
– IV – Di qui le S.U. inferiscono che tale divaricazione incide diversamente sui tributi cosiddetti non armonizzati (in particolare quelli diretti), estranei alla sfera di competenza del diritto dell’Unione europea, e su quelli cosiddetti armonizzati (in particolare l’IVA), rientranti in detta sfera.
Per i tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussisterebbe esclusivamente in relazione alle ipotesi in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge, mentre nel campo dei tributi armonizzati, che, inerendo alle competenze dell’Unione, sono investiti dalla diretta applicazione del relativo diritto, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale assumerebbe invece rilievo generalizzato.
In entrambi i casi tuttavia la nullità sussisterebbe a condizione di verificare che, se si fosse rispettato il contraddittorio, il procedimento impositivo avrebbe potuto comportare un risultato diverso (come da indicazioni citate della Corte di giustizia europea e, nella giurisprudenza nazionale, Cass. n. 16036/15; n. 6232/15; n. 5632/15; n. 992/15; n. 961/15).
Ora – proseguono le S.U. – se a riguardo si intendesse che l’effetto di tale nullità dipenda dalla prova fornita in giudizio dal contribuente che l’omissione del contraddittorio gli avrebbe impedito di far emergere altri profili d’illegittimità o addirittura l’infondatezza della pretesa fiscale, tale soluzione non sarebbe convincente, in quanto la violazione del contraddittorio risulterebbe privata d’ogni rilevanza, restando comunque rimesso alla capacità del contribuente di comprovare, in sede contenziosa, quell’illegittimità ulteriore o quell’infondatezza. E, in tal modo, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale verrebbe derubricato a precetto senza sanzione, in contrasto con la stessa configurazione offertane dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
Quest’ultima d’altro canto afferma che, ai fini considerati, non può obbligarsi l’interessato a dimostrare che la decisione avrebbe avuto un contenuto differente, bensì solo che tale ipotesi non va totalmente esclusa in quanto avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità procedurale (cfr. Corte di giustizia 1° ottobre 2009, in C-141/08, Foshan Shunde Yongjian Housewares, punto 94; 2 ottobre 2003, in C-194/99, Thyssen Stahl/Commissione, punto 31; 8 luglio 1999, causa C-51/92, Hercules Chernicals/Commissione, punto 81), sì che la verifica che il procedimento impositivo avrebbe potuto comportare un risultato diverso andrebbe intesa come verifica che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, «non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali», non bastando una formalistica doglianza a riguardo ma piuttosto occorrendo:
a) riscontrare in concreto le ragioni che il contribuente avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr. anche Cass. n. 11453/14; n. 25054/13; S.U. n. 20935/09);
b) delibare che l’opposizione di dette ragioni, valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio, si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale (cfr. anche Cass. S.U. n. 9935/15 e 23726/07; Cass. n. 1271/14 e n. 22502/13). Di qui la massima sopra riportata, non senza il previo commento che «pur essendo ragionevole che l’interpretazione del diritto nazionale incidente su rapporti sottratti all’ambito di operatività del diritto comunitario s’ispiri ai principi giuridici enucleati in sede comunitaria su rapporti analoghi rientranti in detto ambito di operatività, non può, tuttavia, negarsi, che, ferma restando l’innegabile influenza che il diritto dell’Unione necessariamente dispiega sui paradigmi ermeneutici con i quali viene interpretato il diritto nazionale, altro è la diretta applicazione dei principi del diritto comunitario altro è l’interpretazione del diritto nazionale secondo criteri comunitariamente orientati», ragion per cui «l’assimilazione in via ermeneutica del trattamento di rapporti sottratti all’operatività del diritto comunitario (tributi «non armonizzati») al trattamento di rapporti analoghi ad esso assoggettati (tributi «armonizzati») è preclusa in presenza di un quadro normativa nazionale univocamente interpretabile nel senso opposto, e cioè nel senso dell’inesistenza in campo tributario di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale».
– V – Fin qui la motivazione della sentenza n. 24823/15 delle S.U. della Cassazione, motivazione del cui articolato sviluppo si è dato conto non certo per ingiustificata corrività alla ridondanza, ma solo perché, come premesso, più comprensibili appaiano le ragioni del dissenso di questa C.T.R. rispetto alla costruzione ermeneutica che vi si rinviene esplicata e che induce, per ciò che più rileva, a ravvisare la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui posta d’ufficio sul tema del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria nei sensi che meglio saranno poi specificati.
Orbene, prima di entrare in medias res, non è forse inopportuno notare che l’intera, pur minuziosa ed erudita, esposizione dell’iter logico-giuridico sotteso alla soluzione adottata dai Supremi giudici sembra tradire un approccio, per così dire, alquanto burocratico, cui forse è mancato, se mal non s’intende, un opportuno slancio vitale capace di veicolare – proprio in base alle stesse argomentazioni della sentenza in discorso, non a caso diffusamente riportate – il diverso ed anzi opposto risultato dell’esistenza in campo tributario di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale.
Per essere subito più chiari, il contesto interattivo dei rilievi variamente esegetici profusi in detta sentenza, a parere di questa C.T.R., avrebbe dovuto propriamente condurre ben oltre la rassegnata notazione di una diversa disciplina del contraddittorio endoprocedimentale a livello europeo rispetto a quello nazionale, con connesso distinguo fra tributi armonizzati e non, bensì piuttosto avrebbe dovuto suggerire una scelta di interpretazione evolutiva legittimata in ispecie da un ben possibile e lecito ricorso all’analogia.
Ma procediamo con ordine, prendendo le mosse dalla triplice scissione concettuale della massima contenuta nella sentenza n. 24823/15 nei sensi proposti sopra sub I, e notiamo subito che la prima proposizione – quella per cui il diritto nazionale, a differenza del diritto dell’Unione europea, non .fissa alcun obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale, donde possa derivare, in assenza di espressa previsione, l’invalidità dell’atto in caso di mancanza di esso contraddittorio – è ineccepibile, ma solo nel senso della constatazione che nessuna norma di diritto interno fissa testualmente ed espressamente l’obbligo generalizzato del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria. Con ciò si intende dire che il passaggio alla seconda proposizione – per la quale per i tributi previsti solo dal diritto interno (cd. tributi non armonizzati) l’obbligo del detto contraddittorio sussiste solo se previsto testualmente, mentre in tema di tributi disciplinati anche da norme europee (cd. Tributi armonizzati) esso obbligo sussiste sempre – non è affatto consequenziale ed anzi sembra palesare uno scollamento sillogistico neppur poco vistoso, dacchè dalla corretta premessa (maggiore) per cui non vi è testuale obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria viene fatta discendere, come necessaria, la detta conclusione.
Ciò, a ben guardare, sarebbe postulabile solo a condizione che vi facesse da tramite altra premessa (minore) per la quale la frequente previsione legislativa testuale di obblighi plurimi e specifici di contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria sia da ritenersi rivelatrice di una voluntas legis intesa a far permanere ed anzi incrementare una tale sporazione normativa e non piuttosto rivelatrice di una costante volontà sempre direzionata nel senso dell’estensione di esso contraddittorio in ulteriori e crescenti spazi applicativi dell’esazione tributaria. Sembrerebbe quindi da preferirsi la seconda alternativa, donde potrebbe legittimarsi una soluzione ben diversa del problema in oggetto, in forza di un’interpretazione all’un tempo logico-sistematica e storico-evolutiva delle norme considerate. E ciò maggiormente perché, accanto a queste ultime, così come opportunamente menzionate nella sentenza in discorso nei termini riportati nella sezione III del presente scritto sub B), in uno all’art. 22, comma 1, decreto-legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, pure colà ricordato, non manca la menzione della legge n. 23/2014 di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, legge che inserisce tra i principi e criteri direttivi della delega la previsione di forme di contraddittorio propedeutiche alla adozione degli atti di accertamento dei tributi (cfr. l’art. 1, comma 1, lettera b), nonché il rafforzamento del contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale (vedi l’art. 9, comma 1, lettera b). E dunque, se la detta legge n. 23/2014 inserisce il contraddittorio in parola tra i principi e criteri direttivi della delega al Governo con l’espressa indicazione di incrementare ed espandere tale istituto, peraltro in maniera così incisiva e qualificante da apparire senza dubbio tendenziale e generale, appare ben possibile una soluzione opposta a quella prospettata dalle S.U., il cui mero augurio di futura armonizzazione di tutti i tributi per come trascritto alla fine della sezione IV potrebbe quindi apparire alquanto improprio, e ciò soprattutto perché Esse non esitano a definire una tale auspicata evenienza come «ragionevole», trattandosi di «rapporti analoghi».
Sorge quindi il problema di valutare se per caso un appropriato ricorso all’analogia non s’imponga da subito sull’abbrivio delle dette considerazioni, altresì supportate dagli argomenti di cui alla sentenza delle S.U. della Cass. n. 18184/13 sopra riportati sub II, argomenti per cui il contraddittorio endoprocedimentale sarebbe un indispensabile strumento di tutela del contribuente e di garanzia del migliore esercizio della potestà impositiva anche nell’interesse dell’Amministrazione in una logica di collaborazione e buona fede nei rapporti tra amministrazione e contribuente, nonché supportate da quanto commentato, a proposito delle pronunce della Cassazione n. 25759/14 e n. 406/15, dalle stesse S.U. nella sentenza n. 24823/15 in esame circa l’esigenza che l’interpretazione del diritto nazionale sia per quanto possibile conforme ai principi dell’ordinamento europeo, così come ancora trascritto sub II, laddove esse S.U., quanto alla sentenza della Corte costituzionale n. 132/15, hanno opportunamente ricordato che tale pronuncia, pur non esplicita nella soluzione del problema in oggetto, evoca a proposito del contraddittorio endoprocedimentale il principio generale di diritto comunitario del rispetto dei diritti di difesa.
Pertanto – pur senza contraddire la notazione delle S.U. riportata sub III alla lettera C) nel senso che un generalizzato obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario non sembrerebbe ancorato agli articoli 24 e 97 Cost. – è quanto riportato nel successivo punto D) a proposito della giurisprudenza della Corte di giustizia europea e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che maggiormente induce, a pare di questa C.T.R., alla necessità o quantomeno all’opportunità di superare la rigida e forse sterile constatazione notarile dell’inesistenza di un obbligo generale del contraddittorio endoprocedimentale tributario, e ciò quantomeno in aderenza all’interpretazione comunitaria che vi corrisponda precipuamente il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio, a quanto indicano il citato art. 41 e le sentenze Jirì Sabou e Kamino International Logistics di cui al citato punto D).
– VI – Di qui la necessità di invocare una pronuncia quantomeno interpretativa della Corte costituzionale in ordine al tema in questione, onde chiarire se l’attuale stato della legislazione interna, integrato per quanto dì ragione dall’assetto normativo europeo, consenta già di pervenire alla specifica affermazione di un obbligo generale del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, semmai ricavandolo in via di estensione esegetica dall’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, o per converso legittimi la conclusione, sopra trascritta sub III, B), a), delle S.U. della Cassazione nella sentenza n. 24823/15 in discorso e cioè che «la ricorrenza, in campo tributario, di una pluralità di norme che prescrivono il contraddittorio endoprocedimentale in rapporto ad alti specifici, lungi dal poter assurgere ad indice dell’esistenza, nell’ordinamento tributario, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, assume, ineludibilmente, la valenza opposta».
La contrarietà di un’interpretazione restrittiva in tal ultimo senso potrebbe cogliersi rispetto all’art. 117, comma 1 Cost, e, per esso, rispetto ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, o quantomeno rispetto a criteri generali di razionalità ed uniformità con detto ordinamento nonché comunque nell’ambito dello stesso diritto nazionale che, in relazione al distinguo fra tributi armonizzati e non armonizzati nei sensi precisati dalla detta sentenza n. 24823/15 e riportati sopra sub IV, finirebbe col disciplinare diversamente situazioni indubbiamente connotate da eadem ratio e come tali meritevoli di essere sussunte in una logica unitaria di trattamento normativo.
E’ infatti innegabile che i tributi, armonizzati o non, restano pur sempre tributi, nel contesto di elementi d’individuazione strutturali e funzionali essenzialmente conformi fra loro ed anzi tali da comportare che al loro insieme si riconosca un’unica categoria logico-giuridica con peculiari connotazioni le quali poi, nella generale previsione dell’art. 53 Cost., valgano a distinguerli da contigue fattispecie nel panorama generale dei doveri individuati dagli articoli 52 – 54 e per essi dal titolo IV della legge fondamentale nonché, sotto diverso profilo, nell’ambito delle prestazioni pecuniarie dei privati verso la pubblica amministrazione.
Ed è appunto tale immanente ed ineludibile identità dei tributi in quanto tali, armonizzati o non che siano, che dovrebbe imporre, secondo le ordinarie e comuni regole interpretative, il ricorso all’analogia per compensare gli spazi normativi, per vero de die in diem sempre più ristretti, del diritto positivo tributario ove non sia prescritto l’obbligo del contraddittorio in discorso. Nondimeno la soluzione che, ad avviso di questa C.T.R.,sembrerebbe più appropriata resterebbe pervasa da problematiche di non poco conto, atteso che, a voler ritenere che l’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 non detti alcuna regola generale di contraddittorio e che quest’ultima sia invece estraibile dal progressivo incremento di norme tributarie che ne prevedono l’obbligo, per come sopra menzionate sub III B) – fra cui in particolare gli articoli 1, comma 1, lettera b) e 9, comma 1, lettera b) della legge n. 23/2014 di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale nei sensi indicati, il tutto nel contesto, anch’esso progressivo, di un ordinamento europeo orientato nella stessa direzione – l’eventuale incostituzionalità delle norme tributarie che non prescrivono testualmente il contraddittorio di che trattasi o comunque l’eventuale ricorso all’analogia nei termini indicati non potrebbero giovarsi dell’ordinaria efficacia ex tunc, proprio perché l’illegittimità delle dette norme o, pedissequamente, la legittimità di interpretarle mediante analogia dovrebbero cogliersi rispetto a quel progressivo divenire e quindi non già nel momento genetico dell’entrata in vigore delle stesse.
Il che – a parte la singolarità di un’operazione del genere, sia nel caso di declaratoria di incostituzionalità che nel caso di interpretazione analogica, per come pare evidente – comporterebbe l’arduo compito di individuare il momento a partire dal quale le norme che non prescrivono il contraddittorio possano dirsi illegittime o comunque colmarsi con una tal previsione a livello interpretativo analogico. Una soluzione – premesso che difficoltà del genere non dovrebbero apparire impeditive delle auspicate pronunce della Consulta – potrebbe rinvenirsi nel far riferimento al tempo dell’entrata in vigore della citata legge di delega n. 23/2014 come momento più chiaro ed inequivoco, da un lato, e più qualificante, dall’altro, di manifestazione della volontà del legislatore italiano di fissare l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in via generalizzata per ogni atto d’imposizione tributaria.
Non si potrebbe invero più avallare un sistema caratterizzato da una reattività solo postuma del contribuente in termini di mera opposizione giudiziale, in luogo di agevolargli la possibilità di previe contestazioni amministrative della pretesa tributaria già nel suo divenire, di guisa che il rispetto del contraddittorio valga non solo a rendere concreta e non meramente enunciata la tutela di esso contribuente, partecipe a pieno titolo della vicenda tributaria che lo riguarda in una rinnovata dimensione paritetica rispetto al soggetto impositore, ma valga altresì ad evitare sul nascere possibili accertamenti erronei o solo ipertrofici, adeguandoli da subito ad una logica di riscontro dialettico e di effettività e pertanto finendo anche e segnatamente con l’assumere un preciso ruolo deflattivo del contenzioso.
In ogni caso non ci si nasconde che quanto divisato dalle S.U. nella sentenza n. 24823/15 potrebbe non solo intendersi come una mera presa d’atto dello stato attuale della legislazione tributaria, presa d’atto forse ineccepibile pur se insoddisfacente proprio perché tale e, per così dire, senz’anima, o più in particolare senza eccessive attenzioni alla mens legis di molte e qualificanti novelle normative, di diritto interno ed internazionale, ma varrebbe altresì ad evitare sul nascere tutta una serie di problemi di cui è indubbiamente lastricato il cammino verso un’opposta soluzione vivificata da un più ampio respiro ermeneutico, non senza l’impiego di un colpo d’ala direzionato verso dimensioni evolutive, onde, se quest’ultimo dovesse apparire troppo ardito, la massima colà sintetizzata potrebbe più comodamente restare condivisa almeno per intanto, in attesa cioè dell’attuazione della delega di cui alla detta legge n. 23/2014.
Ma lo potrebbe, a tutto concedere, solo in ordine alle prime due proposizioni riportate nel presente scritto sub I e fin qui esaminate, non già comunque, ad avviso di questa C.T.R, in ordine alla terza.
– VII – Ed invero a questo punto mette conto aggiungere che – ove pure non si dovesse ravvisare nel complesso di norme tributarie menzionate sopra sub III B), assieme a quella dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, contrarietà alcuna a precetto costituzionale o ad immanenti criteri di razionalità o ancora, e massimamente, a criteri di uniformità con l’ordinamento europeo, per tutto quanto, a tal ultimo proposito, riportato nel successivo punto D) circa la giurisprudenza della Corte di giustizia europea e circa l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – nondimeno non convincerebbe la terza proposizione della massima delle S.U. riportata sub I e cioè che, in caso di inosservanza dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale laddove previsto, la sanzione della nullità vi resterebbe ascritta a condizione che il contribuente in giudizio esponga le ragioni che avrebbe fatto valere ed a condizione che esse non appaiano pretestuose o comunque devianti dai canoni di correttezza e lealtà.
Orbene, nella sezione IV si è già precisato che questa duplice condizione restrittiva nasce dal pragmatismo della giurisprudenza della Corte di giustizia europea, imitato da quella nostrana (vedi Cass. n. 16036/15; n. 6232/15; n. 5632/15; n. 992/15; n. 961/15 citt.), per cui occorrerebbe verificare che, se si fosse rispettato il contraddittorio, il procedimento impositivo avrebbe potuto comportare un risultato diverso.
In proposito si è già detto che le S.U. opportunamente criticano una lettura assolutizzante di tale ultimo inciso, atteso che la violazione del contraddittorio non riceverebbe sanzione se al contribuente spettasse comunque di provare in giudizio quei profili d’illegittimità ulteriore o addirittura d’infondatezza della pretesa fiscale che avrebbe potuto prospettare in esso contraddittorio. Nondimeno esse S.U. aderiscono all’interpretazione che dell’inciso stesso offre la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, per la quale l’interessato non potrebbe essere obbligato a dimostrare che l’atto amministrativo avrebbe avuto un contenuto differente, bensì solo che tale ipotesi non avrebbe potuto escludersi del tutto in quanto egli avrebbe potuto difendersi più efficacemente nel contesto del contraddittorio (cfr. Corte di giustizia 1° ottobre 2009, in C-141/08, Foshan Shunde Yongjian Housewares, punto 94; 2 ottobre 2003, in C-194/99, Thyssen Stahl/Commissione, punto 31; 8 luglio 1999, causa C-51/92, Hercules Chemicals/Cominissione, punto 81).
Tuttavia, ad avviso di questa C.T.R., neppure questa interpretazione, invero meno afflittiva per il contribuente sola in apparenza, potrebbe dirsi condivisibile, risolvendosi in una specificazione che nulla toglie al notevole aggravio probatorio di dimostrare che il procedimento impositivo avrebbe potuto comportare un risultato diverso.
Dire infatti che la verifica di una tale evenienza andrebbe intesa come verifica che il contraddittorio, se vi fosse stato, «non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestita una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali» equivale né più né meno ad affermare che il contribuente è gravato dall’onere di una prova certamente difficile, se non addirittura diabolica e comunque non resa certamente più agevole dalla specificazione che egli avrebbe potuto addurre ragioni non pretestuose bensì corrette, leali e di buona fede (cfr. Cass. S.U. n. 9935/15 e 23726/07; Cass. n. 1271/14 e n. 22502/13).
La verità è che, se mal non s’interpreta, dovrebbe ritenersi del tutto esulante dal nostro sistema giuridico l’idea del rispetto di una garanzia procedimentale in relazione a deduzioni e difese di merito, quasi che una regola rituale, vieppiù strettamente connessa al diritto di difesa del singolo, resti asservita alla fondatezza di esse deduzioni e difese, e quindi la si debba rispettare o la si possa violare a seconda che quegli abbia ragione o torto. Alberga invece nel nostro ordinamento e, per esso, nella nostra sensibilità di interpreti – ed è forse il caso che nell’uno e nell’altra continui a permanere – un rispetto delle forme che, ad onta di troppo facili e poco pensose critiche di cosiddetta sostanza, è qualificante aspetto di civiltà giuridica, si che esse, a voler sintetizzare e nel contempo banalizzare articolati discorsi che sarebbero necessari a riguardo, sono intese come la quintessenza della tutela dei diritti.
Sì, proprio le forme nella loro ragion pura, per così dire, prescissa da contenuti di sorta e quindi da aspetti di merito, che sono indefettibilmente di indole valutativa e che attengono, appunto perché tali, al posterius che è proprio e peculiare della decisione, la quale ultima di certo non può restare, in un deprecabile ribaltamento d’ogni logica comune prima ancora che giuridica, anticipata alla fase acquisitiva del procedimento, quale che esso sia, peggio ancora se ne vengano condizionate perfino le scansioni di cui esso consta.
Ed invero il procedimento non è altro che fissazione di forme pure entro le quali veicolare e sviluppare un’attività che, a ben guardare, è diritto essa stessa – ed anzi nella tradizione romanistica ne è addirittura sinonimo – e che quindi mal soffre incursioni di tipo decisionale capaci di flettere l’ordinato sviluppo di quei modi e quei tempi posti a presidio dell’esplicazione dei diritti e perciò della loro vita funzionale. Ecco perché, ad esempio, l’imputato pur afflitto da schiaccianti prove di reità deve, essere sentito in giudizio e parallelamente il soggetto convenuto per un risarcimento del danno deve godere di tutti i tempi del processo per esplicare compiutamente la propria difesa pur se agli atti già risulti dimostrata la sua responsabilità contrattuale o aquiliana.
Pertanto non dovrebbe essere consentito rispettare o violare l’obbligo del contraddittorio in funzione di una sorta di prognosi postuma, di immanente carattere valutativo, formulata sulla bontà o sulla strumentalità delle ragioni del contribuente spendibili nel contraddittorio mancato.
Ne dovrebbe quindi derivare che il difetto del contraddittorio in quanto tale, come mera mancanza procedimentale, resti sempre sanzionato da nullità a prescindere da improbabili commistioni anticipate di tipo decisionale nei sensi detti.
In ogni caso la violazione dell’obbligo del contraddittorio – poco importa a questi effetti se si tratti di obbligo generalizzato pur nel silenzio della legge o di obbligo testualmente prescritto – resterebbe davvero deprivato di sanzione, se si accedesse alle specificazioni restrittive in parola per come introdotte dalla Corte di giustizia europea con largo seguito nella giurisprudenza italiana, come si è detto, e ciò per le stesse ragioni egregiamente espresse nella sentenza n. 24823/15 delle S.U. della Cassazione, le quali poi accedono ad una soluzione del problema assolutamente identica, se non peggiore, rispetto a quella iniziale da loro ricusata.
Invero onerare il contribuente della prova che il procedimento impositivo avrebbe potuto comportare un risultato diverso non ha valenze concettuali o pragmatiche minori o quantomeno diverse – sia in termini di aggravamento del diritto di difesa di lui, sia in termini di vanificazione delle conseguenze invalidanti connesse alla mancata fruizione di quel lecito spazio endoprocedimentale tuttavia negatogli – rispetto all’alternativa dell’onerarlo della prova che egli avrebbe potuto addurvi ragioni non pretestuose né strumentali.
Non si ravvisa quindi manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui posta d’ufficio con riferimento alla contrarietà delle restrizioni in parola rispetto agli articoli 3 e 24 Cost., essendo innegabile il dato della disparità di trattamento delle parti, con intollerabile sbilanciamento a svantaggio del contribuente, costretto comunque a vedere limitata e compromessa la sua difesa ed addirittura a veder negato esso contraddittorio, peraltro per effetto di una anticipazione decisionale sulla sostanza di merito delle sue ragioni.
Da quanto appena detto discende altresì, quasi a mò di corollario, la non manifesta infondatezza della stessa questione di costituzionalità rispetto all’art. 117, comma 1 Cost. almeno per quanto direttamente riguardante i tributi cosiddetti armonizzati nell’accezione di cui sub IV, ma, per quanto ravvisato da questa C.T.R. nei sensi sopra espressi, in genere per ogni tipo di tributi. A ciò si aggiungano le esposte notazioni riferite ai guasti giuridici che si verificherebbero nel sistema a voler condizionare mediante anticipate ragioni valutative di merito il rispetto della garanzia del contraddittorio, vuoi nei casi tassativamente previsti, vuoi ancor più considerandolo obbligatorio in via generale per come prospettato sub V e VI.
– VIII – Per tutto quanto precede, la complessiva tematica della legittimità costituzionale della mancata previsione di un obbligo generale del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, ad avviso di questa C.T.R., merita di essere approfondita, alla stregua degli argomenti qui addotti ex officio judicis, sotto i seguenti profili:
1) se sia legittimo che il diritto nazionale, a differenza del diritto dell’Unione europea, non fissi alcun obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, vieppiù a pena di nullità, oppure, come ritiene questa C.T.R., previamente ravvisato a riguardo contrasto con l’art. 117, comma 1 Cost., nonché comunque con criteri comuni di razionalità ed uniformità logico-giuridica, di diritto interno ed internazionale, siano da dichiararsi illegittime tutte le norme che non prevedono testualmente il detto contraddittorio o, in alternativa, siano da interpretarsi esse tutte come sanzionanti, pur nel silenzio della legge, a pena di nullità il contraddittorio medesimo, e ciò per effetto di pedissequo ricorso all’analogia fondato su quelle che testualmente lo prevedono, o quantomeno per effetto di lettura estensiva dell’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, così superandosi altresì, per quanto di ragione, il distinguo fra tributi non armonizzati e tributi armonizzati nei sensi sopra chiariti e le connesse disparità di disciplina;
2) se in ogni caso, comunque risolta la prima questione nel suo complesso, la sanzione della nullità, testuale o virtuale, per violazione del contraddittorio vi possa restare ascritta unicamente a condizione che il contribuente in giudizio esponga le ragioni che avrebbe fatto valere nel mancato contraddittorio ed ancora a condizione che esse non appaiano pretestuose o devianti dai canoni di correttezza e lealtà, oppure se tali restrizioni interpretative non contrastino piuttosto, come ritiene questa C.T.R., coi precetti di cui agli articoli 3 e 24 Cost., ed inoltre con l’art. 117, comma 1 Cost., con i criteri di razionalità e con i principi generali dell’ordinamento italiano nei sensi di cui si è detto.
A mente dell’art. 23, comma 2 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio è sospeso fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità, mentre ai sensi dell’art. 23, comma 4 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sarà notificata alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
P.Q.M.
Così provvede;
a) letti gli articoli 134 e 137 Cost., l’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la complessiva questione di legittimità costituzionale nei sensi esposti in motivazione e segnatamente nella sintesi finale sub 1) e 2) della sezione VIII;
b) dispone la sospensione del presente giudizio;
c) dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati;
d) dispone infine l’immediata trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale assieme al fascicolo processuale nella sua interezza e con la prova delle avvenute e rituali notificazioni e comunicazioni predette.