COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Napoli sentenza n. 4294 sez. 8 del 8 maggio 2015
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – SCUDO FISCALE – OPPONIBILITA’ PER LA PRIMA VOLTA ANCHE IN FASE DI CONTENZIOSO
Svolgimento del processo e motivi della decisione
La parte Contribuente in primo grado ha impugnato un avviso di accertamento sintetico emesso ai sensi dell’art. 38 del DPR 600/73.
La parte Contribuente ha lamentato, tra l’altro, il difetto del preventivo contraddittorio e la giustificazione degli incrementi patrimoniali attraverso il cd. “Scudo fiscale”.
La Ctp ha accolto il ricorso evidenziando la mancata instaurazione del preventivo contraddittorio, a mezzo del quale il Contribuente avrebbe potuto opporre lo “Scudo fiscale” di cui si è comunque avvalso in giudizio.
L’Ufficio propone appello lamentando che la Ctp avrebbe errato la decisione non considerando:
1. la corretta instaurazione del preventivo contraddittorio a mezzo invito notificato in data 7.11.2012 (già allegato in primo grado – doc. 3);
2. la preclusione, in presenza di invito al contraddittorio, in capo alla Ctp di prendere in esame documenti o atti non tempestivamente esibiti nella fase del contraddittorio ma prodotti solo nella fase contenziosa (come, nella specie, la dichiarazione di “Scudo fiscale”);
3. che lo “Scudo Fiscale”, essendo relativo all’anno 2009, non può valere per accertamenti di incrementi patrimoniali afferenti annualità precedenti; il Contribuente avrebbe dovuto cioè dimostrare che le spese individuate dall’Ufficio (per gli anni 2007 e 2008) erano state sostenute proprio con le attività finanziarie rientrate dall’estero soltanto nel 2009.
Resiste il Contribuente con varie argomentazioni chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. Osserva in particolare che la Ctp ha motivato anche sulla irrazionalità di aver considerato il reddito complessivo del nucleo familiare per ricostruire quello di esso ricorrente, ed in relazione a tale profilo invoca il giudicato interno. Contesta poi che il mero invito a produrre documenti possa essere elevato ad una vera e propria instaurazione del contraddittorio, trattandosi di una fase semmai “successiva” alla produzione di documenti, nella quale le parti si incontrano e si confrontano. In ultimo osserva che la legge di riferimento in materia di “Scudo fiscale” prevede espressamente la preclusione di qualsivoglia accertamento per i periodi di imposta per i quali non è ancora scaduto il relativo termine. Poiché la regolarizzazione è avvenuta in data 11.11.2009, gli effetti preclusivi non possono che retroagire anche alle annualità in esame, trattandosi peraltro di una normativa di rango speciale. Lamenta infine la assoluta novità e inammissibilità della deduzione della necessità di un nesso eziologico tra le attività coperte dallo scudo e gli incrementi patrimoniali accertati.
L’appello dell’Ufficio è infondato.
La causa presuppone una disamina della materia circa la emersione di attività detenute all’estero ai sensi dell’articolo 13-bis del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni.
L’effettivo pagamento dell’imposta straordinaria produce gli effetti di cui agli articoli 14 e 15 del decreto legge n. 350 del 2001 e rende applicabili le disposizioni di cui all’articolo 17 del medesimo decreto.
In linea generale, è prevista l’inibizione dei poteri di accertamento dei competenti uffici in materia tributaria e previdenziale, nonché l’estinzione delle sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali relative alle disponibilità delle attività emerse.
L’Ufficio appellante lamenta però che, per poter opporre l’effetto preclusivo all’accertamento subito, vi deve comunque essere una riconducibilità eziologica tra le somme “rimpatriate” e l’imponibile oggetto dell’accertamento.
La tesi dell’Ufficio, oltre che ad essere proposta per la prima volta in appello, secondo il Collegio appare frutto di un’interpretazione troppo restrittiva, non in linea con il tenore letterale della normativa medesima, la quale va interpretata nel senso precisato dalla stessa Amministrazione finanziaria nella propria circolare 43/E del 10.10.2009, laddove si afferma testualmente che la preclusione degli accertamenti per effetto dell’adesione allo scudo fiscale opera automaticamente, senza necessità di prova specifica da parte del Contribuente, in tutti i casi in cui sia possibile, anche astrattamente, ricondurre gli imponibili accertati alle somme o alle attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio. La tesi dell’astratta riferibilità appare la più conforme alla logica della scelta legislativa, tenuto conto che le somme oggetto di emersione erano “nascoste” all’estero e, dunque, appare ben difficile che il Contribuente possa aver conservato un impianto documentale idoneo a provare l’origine di dette attività. In una siffatta situazione, l’interpretazione della parte appellante si tradurrebbe in una probatio diabolica in capo al Contribuente con conseguente vanificazione degli intenti sananti espressamente disposti dal legislatore.
Sulla base dei principi espressi dalla stessa Amministrazione Finanziaria, l’opponibilità dello scudo deve pertanto essere riconosciuta ogniqualvolta non vi siano elementi oggettivi che rendano impossibile il collegamento fra somme scudate e reddito accertato, come ad esempio in ipotesi di accertamento relativo ad un’annualità di imposta successiva rispetto a quella di formazione dei valori oggetto di scudo fiscale.
Di contro l’astratta riconducibilità deve essere riconosciuta ogniqualvolta non vi siano elementi oggettivi tali da renderla a priori impossibile.
Basti pensare al fatto che si deve anzitutto operare una distinzione tra il patrimonio, che viene rimpatriato o regolarizzato e i redditi che tale patrimonio potrebbe nel frattempo avere generato negli anni, muovendo dal fatto che l’imposta straordinaria colpisce anche la remunerazione delle attività estere nella misura già predeterminata ex lege.
Ciò per il principio generale secondo cui un reddito, dichiarato o non dichiarato al Fisco, ha in sé la potenzialità di trasformarsi in un patrimonio capace, a sua volta, di produrre ulteriori redditi, mentre un reddito sottratto ad imposizione in Italia può diventare, all’estero, patrimonio produttivo di redditi a loro volta sottratti al prelievo.
Nemmeno ignora questo Collegio che la Corte di Cassazione, sul tema degli accertamenti fiscali, non è certo indifferente al principio basilare dell’art. 53 della Costituzione, in forza del quale ognuno è chiamato a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva.
Va poi rilevato che l’Amministrazione finanziaria ritiene che la preclusione non operi nei casi in cui il ricorrente non provveda – da subito – ad informare l’Ufficio dell’avvenuto scudo fiscale e ad esibire la dichiarazione riservata. Al contrario la giurisprudenza di merito è conforme nel ritenere che non sussiste per il Contribuente alcun obbligo di opporre all’Ufficio già in sede di inizio di accessi gli effetti preclusivi ed estintivi dello “Scudo fiscale”. In altre parole il Contribuente ben può opporre lo “Scudo” per la prima volta anche in fase contenziosa, giacché l’introduzione di un termine per il riconoscimento degli effetti dello “Scudo” non risulta essere stato previsto. L’art. 14, comma 6, del D.L. n. 350/2001, infatti, in ordine ai ricordati effetti preclusivi del rimpatrio rispetto ad ogni accertamento dell’Amministrazione Finanziaria, si limita a stabilire che in caso di accertamento i Contribuenti interessati “possono” opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi ed estintivi dello scudo, lasciando in tal modo intendere che l’interesse protetto dalla disposizione non è quello del Fisco, ma quello di colui che ha rimpatriato o regolarizzato. In altri termini, dietro a quel “possono” sta l’idea secondo la quale spetta alla persona fisica o all’ente la decisione sul se e sul quando esibire la dichiarazione riservata, sulla base delle stesse valutazioni di opportunità che hanno ispirato la decisione di aderire alla disciplina dello “Scudo”. Ne consegue che anche la censura di un termine perentorio, il cui mancato rispetto produrrebbe per il Contribuente la decadenza dall’esercizio di un diritto espressamente previsto da una norma, non può essere accolta.
Spese compensate attesa la peculiarità e novità della questione.
P.Q.M.
Rigetta l’appello e compensa le spese.