COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Napoli sentenza n. 806 del 19 aprile 2016
PROCESSO TRIBUTARIO – CONTRIBUTO UNIFICATO -RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE DELL’ART. 14BIS DEL D.P.R. 115/2002
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l’impugnata sentenza la C.T.P. di Caserta rigettava il ricorso proposto O.R. avverso l’invito di pagamento della residua somma di euro 360,00 ad integrazione di contributo unificato come da epigrafe, invito speditogli dal Ministero delle Finanze in relazione a ricorso tributario presentato presso la stessa C.T.P. di Caserta.
Il ricorrente aveva dedotto la correttezza del calcolo del contributo versato in ragione di euro 30,00 in ordine al valore di quella lite, consistente in un’opposizione ad estratto di ruolo cumulativamente riferito a dieci cartelle, per cui, a suo dire, non si dovevano tenere in conto partitamente i valori di ciascuna di quelle, ma la somma complessiva dei medesimi.
Il Ministero delle Finanze resistente, instauratosi il contraddittorio, si era costituito eccependo l’inammissibilità del ricorso in quanto presentato avverso un atto non impositivo, nonché contestando nel merito l’avverso dedotto.
La C.T.P. di Caserta, previamente delibata l’ammissibilità del ricorso in relazione alla ritenuta non tassatività dell’art. 19 d. lgs. 546/92, rilevava che il valore della lite, da computarsi ai sensi degli artt. 14 co. 3 del dpr n. 115/02 e 12 co. 5 d. lgs. 546/02, così come modificato dall’art. l, co. 558, della legge n. 147/13, eccedeva lo scaglione di euro 2.583,00 cui si era riferito il contribuente ai fini di quel versamento, il quale ultimo andava quindi integrato nei sensi richiesti dal Ministero resistente. Avverso tale sentenza proponeva appello l’O.R., ribadendo le doglianze già esposte in primo grado e deducendo l’incostituzionalità degli artt. 14 co. 3 bis del dpr n. 115/02 e 12 co. 5 d. lgs. 546/02, così come modificato dall’art. l, co. 558, della legge n. 147/13 rispetto agli artt. 3, 53, 24, 113 e 117 co. l Cost., nella parte in cui si prevede che il valore della lite per il calcolo del contributo unificato venga determinato per ciascun atto impugnato anche in appello, con conseguente disparità di trattamento per l’ipotesi di ricorsi cumulativi come nella specie.
Egli tuttavia non chiedeva pronuncia di manifesta infondatezza della questione di costituzionalità
con i provvedimenti accessori del caso, ma invocava solo l’annullamento dell’atto contestato in riforma dell’impugnata sentenza.
Il Ministero appellato, radicatasi la lite nel presente grado, si costituiva tardivamente resistendo al gravame.
Indi questo collegio ha adottato la deliberazione, come da dispositivo e motivi qui contenuti, riservandosi all’udienza dell’08.04.16, svoltasi con le formalità di cui all’art. 34 d. lgs. 546/92 nella ricorrenza di ogni requisito previsto dalla detta norma.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La materia del contendere è limitata alla mera delibazione di questa C.T.R. in ordine alla questione di costituzionalità prospettata dall’O.R. nei sensi di cui in narrativa, questione strettamente funzionale alla decisione della causa, in cui appunto si controverte della legittimità della pretesa tributaria, per così dire, atomistica e non cumulativa del contributo unificato per ciascun atto impugnato, a quanto espressamente previsto dall’art. 14 co. 3 bis del dpr n. 115/02 che rimanda all’art. 12 co. 5 d. lgs. 546/02, così come modificato dall’art. l, co. 558, della legge n. 147/13.
Orbene va anzitutto premesso che la Corte Cost. si è recentissimamente occupata della questione, per come sollevata dalla C.T.P. di Campobasso con ordinanza del 07.05.15 con riferimento agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117 co. l Cost., quest’ultimo quanto agli artt. 6 e 13 CEDU, ed ha reso con sentenza n. 78 depositata il 07.04.16, appena un giorno prima dell’udienza tenuta da questa C.T.R., pronuncia d’inammissibilità di essa questione in ordine a ciascuna delle dette norme con argomenti di cui si darà partitamente conto nel prosieguo del presente testo.
Ciò detto, va ricordato che la Corte medesima, già investita del problema della definizione della natura giuridica del contributo unificato, lo ha inquadrato come entrata tributaria erariale ex art. 2 dpr n. 1074/65, sì che è consentito far riferimento alle numerose pronunce della Corte stessa in ordine alle caratteristiche proprie dei tributi (cfr., ex multis, sentt. n. 26/82; n. 63/90; n. 2/95; n. 11/95; n. 37/97).
Da ciò il Ministero appellato fa discendere la conseguenza che al legislatore ordinario resterebbe riservata la più ampia autonomia in ordine all’esigibilità del contributo unificato, così come nella de terminazione ed individuazione d’ogni altro tributo in quanto tale.
Tale argomento tuttavia non può essere condiviso, dacché diversamente la discrezionalità legislativa in materia tributaria trasmoderebbe in arbitrio, non restando asservita, per come dev’essere, ai precipui criteri di razionalità, eguaglianza e giustizia che sono, a tacer d’altro, sottesi agli artt. 3 e 24 Cost., sì che non si possa in alcun modo legittimare la prospettata equazione fra natura tributaria del contributo unificato e possibilità di fissare ad libitum ogni aspetto della sua esazione (an, quid, quomodo, quando).
A ben guardare invero la radicalizzazione di un siffatto approccio interpretativo renderebbe vano lo stesso controllo di legittimità della Corte Cost. perché consentirebbe a priori la possibilità di esigere il contributo unificato ed i tributi in genere nel più dispotico dei modi, senza alcuna possibilità di vagliare a riguardo la complessiva scelta del legislatore ordinario – in particolare nei cennati an, quid, quomodo, quando – in termini di conformità al sovraordinato schema di princìpi e norme che vi conferiscono istituzionale giustifica.
Nondimeno va subito precisato che la critica appena mossa alla posizione difensiva del Ministero non implica nel contempo adesione totale agli argomenti addotti dall’appellante.
Si ravvisa invero manifesta infondatezza in ordine al prospettato contrasto della disposizione normativa in esame rispetto all’art. 53 Cost., e ciò perché, come correttamente dedotto da esso Ministero, gli importi del contributo unificato sono calcolati in base al valore della lite, mentre la capacità contributiva non attiene alle spese per i servizi di giustizia, rappresentando piuttosto l’attitudine soggettiva ad eseguire la prestazione imposta, con riguardo al presupposto economico cui è correlata l’obbligazione tributaria e quindi rispetto all’esistenza di causa giustificativa del prelievo sulla base di indici rivelatori (v. Corte Cost. n. 155/01 e n. 3737/15).
A riguardo ovviamente soccorrono anche e soprattutto le specifiche motivazioni leggibili nella sentenza n. 78/16, motivazioni riferite al prospettato contrasto della normativa in oggetto rispetto agli artt. 3 e 53 Cost., quasi a livello di disposto congiunto, sotto il profilo del diverso trattamento riservato a tributi e sanzioni, così come da ordinanza di rimessione della C.T.P. di Campobasso.
Non si ravvisa invece manifesta infondatezza con riferimento alla dedotta contrarietà della normativa di che trattasi rispetto agli artt. 3 e 24 Cost., essendo innegabile il dato della costrizione e del condizionamento del diritto di accesso alla giustizia, reso indubbiamente più disagevole e, per così dire, appesantito dalla necessità di corrispondere tanti contributi unificati per quanti atti impositivi siano da contestarsi in giudizio e non già un solo contributo sulla somma dei corrispettivi valori (ipotesi di violazione dell’art. 24 Cost.), secondo la logica del cumulo regolata dall’art. 10 c.p.c. che, come meglio sarà detto poi, dovrebbe essere applicabile ad ogni altro rito dell’ordinamento, ivi incluso quello della giustizia amministrativa (ipotesi di violazione dell’art. 3 Cost.).
Ed invero in dettaglio, per quanto riguarda lo specifico contrasto con l’art. 24 Cost., va ricordato che la pregnante formulazione garantistica della detta norma e l’ampio respiro enunciativo che la rende, nella sua indiscussa solennità, fra le più caratterizzanti dell’ordinamento offrono già di per sé una sicura direttiva ermeneutica nel senso di annettervi il minimo possibile di lacci e lacciuoli donde il diritto di difesa possa subire limitazioni o compressioni a qualsiasi livello, se non quelle strettamente necessarie.
In tale ottica un’esazione di contributo unificato atomistica e parcellizzata, in deroga al generale criterio del cumulo (ma su ciò si dirà meglio poi), principio certamente più favorevole al titolare del diritto di azione, non può non apparire come un onere eccessivo, irrazionale e punitivo per chi intenda adire la giustizia tributaria.
E ciò massimamente nel caso oggetto del presente giudizio, in cui è stato impugnato un estratto di ruolo.
Infatti si ricorderà in proposito che la questione dell’impugnabilità dell’estratto di ruolo, molto controversa in giurisprudenza, è stata da ultimo positivamente risolta dalla sentenza delle S.U. della Cass. n. 19704 del 02.10.15.
Tale pronuncia, con un’interpretazione sistematica dichiaratamente definita come- costituzionalmente orientata, precisa, fra l’altro, che è ammissibile il ricorso del contribuente avverso la cartella e/o il ruolo, pur se quegli, in difetto di notifica a riguardo, ne sia venuto a conoscenza attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta, e ciò senza che vi sia d’ostacolo il disposto dell’ultima parte del 3° co. dell’art. 19 d. lgs. 546/92 per il quale “la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l ‘impugnazione unitamente a quest’ultimo”.
Se ne inferisce che l’estratto di ruolo, alla stregua della più recente giurisprudenza testé menzionata, è passibile di impugnativa giudiziale unitaria in quanto tale, non essendovi la necessità di dettagliare tante autonome opposizioni per quante cartelle esattoriali vi siano contemplate.
Ciò dunque integra una ragione ulteriore per ritenere che la commisurazione del contributo unificato al valore delle singole cartelle e non alla somma complessiva di quelle stesse rappresenti non solo una penalizzazione eccessiva del diritto di difesa del contribuente, vieppiù nella qualificante valorizzazione conferitavi dal complesso normativa di cui alla legge n. 212/00, ma contrasti con la stessa logica della possibilità di impugnativa unitaria dell’estratto di ruolo nei sensi detti.
Né sembra aver pregio l’obiezione del Ministero appellato per cui il pagamento del contributo unificato non costituisce condizione di ammissibilità o procedibilità della domanda (v. Corte Cost. ord. n. 143/11 e n. 284/11), e ciò perché sul piano logico l’inesistenza di un vincolo restrittivo di una facoltà non attrae di per sé la pedissequa inesistenza di altri vincoli che ben possono coesistervi in positivo e sul piano giuridico condizionamenti del diritto di accesso alla giustizia possono essere costituiti da oneri, economici o non, che lo rendano, come già cennato, meno agevole, pur senza creare implicazioni in termini di sbarramenti processuali radicali di tipo impeditivo per com’è proprio delle categorie dell’ammissibilità o della procedibilità dell’azione.
Vi è poi da considerare che non sussiste alcun valido e razionale motivo per riservare solo alla giustizia tributaria tale jus singulare nel panorama complessivo dell’ordinamento processuale italiano, ove impera la regola del cumulo di cui all’art. 10 c.p.c., regola quindi contenuta nello schema più contiguo a quello del rito tributario, come indica il disposto dell’art. l del d. lgs. n. 546/92, norma di apertura e di chiusura, al tempo stesso, della disciplina del medesimo.
Ebbene a tal proposito la sentenza n. 78/16 della Corte Cost. esplicitamente osserva che non vi è ragione alcuna per considerare la regola del cumulo di cui all’art. 10 c.p.c. come tertium comparationis cui annettere, per effetto di ravvisate omogeneità che in realtà sarebbero insussistenti, un possibile ricorso all’analogia.
Tale affermazione trae le sue premesse dalla constatazione che l’art. 113 del dpr n. 115/02 stabilirebbe criteri diversi per il processo civile, per quello amministrativo e per quello tributario, per cui, come testualmente leggesi nella sentenza n. 78/16, “nel primo per la quantificazione del contributo… vengono in rilievo sia la materia che il valore della controversia; nel secondo … è stato adottato il criterio della differenziazione per materia: nel processo tributario … il successivo comma 6 quater stabilisce importi crescenti per scaglioni di valori delle liti”.
Ebbene le differenze divisate dalla Corte non convincono del tutto questa C.T.R., essenzialmente perché non si riscontra veridica la proposizione distintiva fra rito civile e rito amministrativo nel senso che nel primo vengano in rilievo sia la materia che il valore della controversia, mentre nel secondo risulti adottato il criterio della differenziazione per materia.
Pare invece che tanto il processo civile quanto il processo amministrativo restino regolati dall’art. 113 in discorso sia ratione materiae che ratione valoris, alla stregua peraltro di un’esegesi addirittura letterale ed inequivoca di tale norma.
Infatti il co. 6 bis dell’art. 113 cit., che si occupa del contributo unificato nel rito amministrativo, fa riferimento anche al valore delle controversie, per come leggesi al punto b), laddove viene operato testuale rinvio, per le cause relative a rapporti di pubblico impiego, al co. 3 e, per esso, ai criteri di valore quivi indicati, e per come leggesi ancora al punto d), che anzi è così articolatamente riferito a criteri di valore da legittimare l’interprete a concludere che esso art. 113 contempla il contributo unificato nel rito civile e nel rito amministrativo in modo non dissimile l’uno dall’altro, dacché in entrambi i casi lo riferisce a criteri sia di materia che di valore.
Se ciò è vero, è vero allo stesso tempo che il rito civile e quello amministrativo non trovano disciplina diversa nell’ambito dell’art. 113 del dpr n. 115/02, ma anzi disciplina essenzialmente conforme, per cui ai due tipi di processo viene riservata sostanziale omogeneità nella determinazione del contributo stesso.
Ed anzi, siccome, a quanto correttamente affermato dalla sentenza n. 78/16 nei sensi sopra riportati, ”nel processo tributario il successivo comma 6 quater stabilisce importi crescenti per scaglioni di valori delle liti”, è lecito affermare che tutti e tre i tipi processuali rimandano, per quanto di ragione,
a criteri del valore per la determinazione del contributo unificato, ma che solo nel rito tributario non vige la regola del cumulo ex art. 10 c.p.c. che pacificamente si applica anche nel rito amministrativo nei casi in cui si debba far riferimento appunto ad essi criteri del valore.
È dunque lecito considerare che il detto art. 10 debba opportunamente interpretarsi come precetto di amplissima e generale portata, pur al di fuori dell’ordinamento processuale civile ove resta allocato, e ciò per effetto della dimensione espansiva che vi si deve annettere in relazione alla razionalità che l’ispira, permeandone la mens legis assieme alla palese conformità ad elementari criteri di giustizia distributiva.
Peraltro, se è vero che il contributo unificato, come già detto, rinviene la sua ragione giustificativa nella partecipazione economica alle spese del servizio di giustizia, è irrazionale moltiplicare per un solo ricorso tale onere economico del privato come se avesse fruito di un servizio plurimo commisurato ai singoli atti impositivi opposti e cioè come se avesse adito separatamente il giudice tributario con più ricorsi.
In altri termini fra il contribuire monistico per un ricorso semplice ed il contribuire plurimo per un ricorso complesso la barra della razionalità non può che stare nel mezzo, esattamente come quella che informa di sé il cit. art. 10 e cioè quella riferita alla logica del cumulo del valore, per cui una giustizia scomodata una sola volta con valore intrinsecamente plurimo non può equivalere esattamente ad una giustizia scomodata più volte con singoli valori di corrispondente importo totale.
Tanto altresì massimamente rileva nell’ambito di un più generale discorso imperniato sui principi dell’art. 3 Cost., per i quali, com’è noto, non possono tollerarsi disparità di trattamento a parità di condizioni, sì che colui che ricorre al giudice tributario non può vedersi penalizzato rispetto a chi ricorre al giudice civile o amministrativo.
Ed invero a tal proposito le determinazioni della Corte Cost. per come adottate nella sentenza n. 78/16 andrebbero, a parere di questa C.T.R., riconsiderate.
E ciò quantomeno perché testualmente fondate sulla premessa della disomogeneità dei tre riti, civi le, amministrativo e tributario, disomogeneità che non convince quantomeno nei termini leggibili nella detta sentenza n. 78/16, laddove si sostiene che il contributo unificato nel processo civile si de terminerebbe in base ai criteri della materia e del valore della controversia, mentre nel processo amministrativo solo in base al criterio della materia.
Non sfuggirà dunque ad alcuno che, espunta la premessa della disomogeneità nei sensi detti, verrà meno anche la conclusione sillogistica su cui la sent. n. 78/16 testualmente fonda: “In definitiva- si legge in tale pronuncia – dalla esposta premessa si ricava implicitamente la difficoltà di individuare un principio o una fattispecie suscettibile di analogia, utilizzabile nel presente giudizio quale tertium comparationis”.
Potrà quindi essere vero proprio il contrario, e cioè che da una corretta premessa di omogeneità dei tre schemi processuali nei sensi sopra evidenziati possa e debba ricavarsi l’agevole individuazione di un criterio analogico ovviamente funzionale ad una ben diversa soluzione della tematica di che trattasi.
Ciò detto, non meno debole appare a questa C.T.R. il dedotto profilo di illegittimità per asserito contrasto con l’art. 113 Cost. che stabilisce che la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa, dacché l’appesantimento in discorso, per com’è intuitivo, si traduce immediatamente in una diminuita possibilità reattiva avverso atti d’imposizione tributaria, promananti in quanto tali sempre da soggetti pubblici.
Ed invero, se ben si riflette, la non manifesta infondatezza del profilo di costituzionalità riferito agli artt. 3 e 24 Cost. nei termini considerati finisce col radicare, per diretta implicazione logica a mo’ di corollario, la postulabilità dello stesso discorso con riferimento al cit. art. 113, né più né meno che nella dimensione di un rapporto fra genere e specie.
Né sarebbe d’ostacolo quanto esposto dalla Corte Cost. nella sentenza n. 78/16, ove è detto che “il remittente non avrebbe chiarito per qual motivo il diritto di difesa sarebbe conculcato dal meccanismo di determinazione del contributo unificato” così come fissato per i ricorsi cumulativi, “quasi che la possibilità di difendersi fosse legata alla prerogativa di scegliere le modalità cumulative anziché individuali”.
Infatti – non mettendo conto, ovviamente, qui considerare le motivazioni addotte dalla C.T.P. di Campobasso circa il divisato contrasto con l’art. 24 Cost.- non dovrebbe poter intendersi il diritto di difesa, al di là dell’iperbole adoperata dalla Corte Cost. nella proposizione appena trascritta, come mera possibilità di difendersi.
In particolare – non senza ribadire la precedente notazione di questa C.T.R. per cui dovrebbe bastare il rilievo dell’appesantimento del diritto di difesa per configurare un contrasto con l’art. 24 Cost., non certo ipotizzabile solo in casi di abrasione totale del medesimo, vero essendo, sia sul piano logico che su quello giuridico, che condizionamenti del diritto di accesso alla giustizia possono essere costituiti da oneri, economici o non, che lo rendano meno agevole, pur senza addurvi radicali sbarramenti impeditivi – non dovrebbe apparire in ipotesi del tutto congruo, in tale ottica, asserire che un dubbio di legittimità costituzionale correlato al detto appesantimento possa risolversi banalmente nella postulazione di un diritto di difesa legato alla prerogativa di scegliere le modalità cumulative anziché individuali.
E non lo dovrebbe invero, a condizione di serbare dell’art. 24 Cost. una specifica visione qualitativa e quantitativa all’un tempo, banale essendo – sì, stavolta – osservare che il diritto di difesa non rileva solo in termini di astratta possibilità di difendersi, bensì anche e soprattutto in termini di sua concreta estensione quantitativa.
Anzi il diritto di difesa come possibilità di difendersi può dirsi sempre esistito, persino negli Stati assoluti e finanche nelle tribù primitive, divenendo poi coessenziale allo Stato di diritto proprio nella sintetica accezione di acquisito arricchimento di contenuti e spazi maggiori in un processo storico che ovviamente non può dirsi esaurito.
Non esiste in altri termini un principio ex art. 24 Cost. da intendersi burocraticamente come diritto di difesa sì anziché no, ma piuttosto da intendersi evolutivamente come diritto di difesa quanto più concreto, più completo, più esteso possibile nel diritto vivente.
Del pari non dovrebbe apparire del tutto infondato il prospettato contrasto della normativa in questione con l’art. 117 co. l Cost. e, per esso, con i vincoli derivanti dagli artt. 6, 13 e 18 CEDU, i quali sanciscono rispettivamente il diritto ad un processo equo, ad un ricorso effettivo e al divieto di restrizione dei diritti non strettamente connessa allo scopo previsto.
Anche rispetto a tali princìpi tuttavia la sentenza della Consulta n. 78/16 non ravvisa contrasti, riproducendo la stessa argomentazione addotta con riferimento all’art. 24 Cost., peraltro esaminato in unico contesto con l’art. 113 Cost., pur se la remittente C.T.P. di Campobasso aveva prospettato a riguardo separati discorsi.
Anche qui dunque questa C.T.R. auspica che venga adeguatamente valorizzata la logica della concretezza e dell’effettività contenutistiche del diritto di difesa nella ratio legis sottesa ai detti artt. 6, 13 e 18 CEDU, che non sono altro che la proiezione ultranazionale dell’art. 24 Cost. negli stessi termini di cui si è detto.
Per tutto quanto precede, la tematìca de11a legittimità costituzionale del complessivo disposto di cui all’art. 14 co. 3 bis del dpr n. 115/02 e 12 co. 5 d. lgs. 546/02, così come modificato dall’art. l, co. 558, della legge n. 147/13, ad avviso di questa C.T.R., merita di essere riconsiderata, alla stregua degli argomenti addotti dall’appellante e di altri complementari ex officio judicis dei quali si è fatto cenno, nella parte in cui si prevede che il valore della lite per il calcolo del contributo unificato venga determinato in via autonoma per ciascun atto impugnato e non piuttosto complessivamente secondo la regola del cumulo fissata dall’art. 10 c.p.c. – da considerarsi norma di carattere generale non ristretta all’ambito processuale civile per il quale è dettata, attesa la sua specifica aderenza ad indubbi criteri di logicità e giustizia -, con conseguente disparità di trattamento per l’ipotesi di ricorsi tributari cumulativi come nella specie rispetto al pedissequo diritto d’azione esercitato nel processo civile ed in quello amministrativo.
Ai sensi dell’art. 23 co. 2 della legge 11.03.53 n. 87 il presente giudizio è sospeso fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità, mentre ai sensi dell’art. 23 co. 4 della legge 11.03.53 n. 87 la presente ordinanza sarà notificata alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
P.Q.M.
La commissione così provvede:
a) letti gli artt. 134 e 137 Cost., l’art. l della legge cost. 09.02.48 n. l e l’art. 23 della legge 11.03.53 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 co. 3 bis del dpr n. 115/02 e 12 co. 5 d. lgs. 546/02, così come modificato dall’art. 1, co. 558, della legge n. 147/13, in relazione agli artt. 3, 24, 113 e 117 co. l Cost. nei sensi di cui in motivazione;
b) dispone la sospensione del presente giudizio;
c) dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati;
d) dispone infine l’immediata trasmissione della presente ordinanza alla Corte Cost. assieme al fascicolo processuale nella sua interezza e con la prova delle avvenute e rituali notificazioni e comunicazioni predette.
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