COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE PALERMO – Sentenza 20 giugno 2013, n. 219
Tributi (in generale) agevolazioni tributarie – Province terremotate della Sicilia – Diritto al rimborso delle imposte pagate nel triennio 1990 1992 – Decadenza Dies a quo – Individuazione – Criteri
In fatto
L’Agenzia delle Entrate di Ragusa ha proposto appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di cui in epigrafe, con la quale, in parziale accoglimento del ricorso di D. G., essa Agenzia è stata condannata a rimborsare al ricorrente – in forza dell’agevolazione fiscale prevista, dall’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002 n. 289, in favore dei soggetti colpiti dal sisma che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa il 13 e 16 dicembre 1990 – la somma di € 259.164,79, oltre agli interessi legali dalla data di presentazione dell’istanza di rimborso sino al soddisfo, quale somma indebitamente pagata a titolo di IRPEF e di ILOR per il triennio 1990-1991-1992; è stata rigettata analoga domanda di rimborso formulata dal D. con riferimento a quanto versato a titolo di IVA; sono state infine compensate tra le parti le spese del giudizio.
L’appellante Agenzia chiede che, in riforma della impugnata sentenza, la Commissione Regionale rigetti il ricorso originario e condanni il ricorrente al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio.
Si è costituito nel giudizio di appello D. G., chiedendo il rigetto dell’appello principale; proponendo appello in via incidentale, chiede altresì che la Commissione Regionale condanni l’Agenzia della Entrate a rimborsargli, a titolo di IRPEF e di ILOR,
l’ulteriore somma di € 88.544,66 da aggiungersi a quella già
riconosciutagli dalla sentenza di primo grado; chiede ancora condannarsi la detta Agenzia delle Entrate a rimborsargli la somma di € 188.476,29 a titolo di IVA; chiede infine condannarsi l’appellante a rifondergli le spese di entrambi i gradi del giudizio.
In diritto
La controversia in esame scaturisce dalla impugnazione del silenzio-rifiuto relativo all’istanza presentata il 7.3.2008 da D. G., con la quale il contribuente – notaio in Ragusa, residente in uno dei comuni colpiti dal detto sisma del 1990 – ha chiesto all’amministrazione finanziaria il rimborso del 90% delle imposte pagate per gli anni 1990, 1991 e 1992.
La vicenda sottoposta al giudizio del Collegio verte sulla vexata quaestio relativa all’applicazione della legge 27 dicembre 2002 n. 289, il cui art. 9, comma 17 (come modificato dall’articolo 5-bis del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282), nel prevedere agevolazioni fiscali per i soggetti residenti nei comuni colpiti dal sisma del 1990, così dispone: «I soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’articolo 3 dell’O.M. 21 dicembre 1990 del Ministro per il coordinamento della protezione civile, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990, destinatari dei provvedimenti agevolativi in materia di versamento delle somme dovute a titolo di tributi e contributi, possono definire in maniera automatica la propria posizione relativa agli anni 1990, 1991 e 1992. La definizione si perfeziona versando, entro il 16 aprile 2003, l’intero ammontare dovuto per ciascun tributo a titolo di capitale, al netto dei versamenti già. eseguiti a titolo di capitale ed interessi, diminuito al 10percento (…)».
Com’è noto, questa disciplina normativa è stata più volte modificata” dal legislatore:
Infatti, successivamente alla scadenza del primo termine del 16 aprile 2003, l’art. 3-quater del D.L. 28 dicembre 2006 n. 300 (cd. Mille proroghe), convertito nella legge 26 febbraio 2007 n. 17, ha riaperto il termine per la definizione agevolata della posizione tributaria, fissando la nuova scadenza al 31 dicembre 2007 e prevedendo – in senso restrittivo rispetto al primo provvedimento legislativo – che la definizione agevolata poteva ottenersi con il versamento del 30% delle somme dovute a titolo di imposta (con una riduzione, quindi, del 70% delle imposte), piuttosto che col versamento del 10% (con la riduzione del 90% rispetto al dovuto). Infine, l’art. 36-bis del D.L. 31 dicembre 2007 n. 248, introdotto in sede di conversione dalla legge 28 febbraio 2008 n. 31 (in vigore dall’1 marzo 2008), ha riaperto ancora i termini per fruire della agevolazione tributaria, fissando l’ulteriore data del 31 marzo 2008 per la definizione della posizione tributaria del contribuente, e ha ripristinato l’originaria entità dell’agevolazione, prevedendo la possibilità per il contribuente di definire la propria posizione versando solo il 10% dell’intero ammontare dovuto.
Questa essendo la disciplina normativa, si tratta ora di esaminare le varie censure mosse dagli appellanti alla sentenza di primo grado.
Col primo motivo di appello, l’Agenzia delle Entrate lamenta l’errore in cui – ” a suo dire – sarebbe incorso il giudice di primo grado nell’avere riconosciuto al ricorrente il diritto di beneficiare delle agevolazioni di cui all’art. 9, comma 17, della legge n. 289/2002; a dire dell’appellante, tale diritto sarebbe stato previsto soltanto in favore dei contribuenti: che-erano ancora debitori di quanto dovuto per il triennio 1990-1991-1992, “e non anche in favore di quelli che – come il incorsa nella violazione e falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 9 cit.
La censura è infondata.
Invero, la Corte suprema ha avuto più volte occasione di statuire che, in tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991 e 1992/ prevista dall’art. 9, comma 17, legge n. 289 del 2002 a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, la definizione può avvenire con due simmetriche modalità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10% del dovuto da effettuarsi entro il termine di legge; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90% di quanto versato al medesimo titolo; e ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di ius superveniens favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto ex post (Cass., sez. V, 1 ottobre 2007, n. 20641; Cass., sez. lav., 23 febbraio 2010, n. 11247; Cass., sez. VI, ord. 12 giugno 2012, n. 9577; Cass., sez. V, 20 dicembre 2012, n. 23589).
L’appellante non ha addotto argomenti in grado di porre in discussione il richiamato consolidato orientamento giurisprudenziale.
D’altra parte, la diversa soluzione proposta dall’appellante – che vorrebbe” escludere i contribuenti che hanno già pagato i tributi dalla possibilità di fruire dell’agevolazione fiscale – non può essere condivisa, ponendosi essa chiaramente in contrasto col principio costituzionale della eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3, comma 1, Cost.), – indubbiamente-valido anche in materia tributaria, perché determinerebbe “una inammissibile, disparità di trattamento tra contribuenti che hanno pagato tempestivamente le imposte (ad es., con prelievo alla fonte da parte del sostituto d’imposta) e contribuenti che non le hanno pagate. Dunque, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002 impone di riconoscere che l’agevolazione tributaria prevista vale anche a favore dei contribuenti che hanno già pagato le imposte, traducendosi, in questo caso, nel diritto ad ottenere la restituzione di quanto pagato in eccedenza rispetto alla agevolazione di legge, da ritenersi dovuto ex post a seguito dello ius superveniens costituito dall’art. 9 suddetto.
In definitiva, deve ritenersi che la disciplina prevista dall’art. 9, comma 17, cit. dispieghi i propri effetti in una duplice direzione: da un lato, “in funzione condonistica”, in favore di chi non ha effettuato i pagamenti, operando in tal caso mediante il versamento nel termine stabilito del solo 10% dell’imposta; dall’altro, “in funzione restitutoria”, in favore di chi ha già pagato, operando in questo secondo caso – a seguito della presentazione di apposita istanza di rimborso – mediante la restituzione del 90% di quanto versato.
Col secondo motivo di appello, l’Agenzia delle Entrate lamenta Terrore in cui – a suo dire – sarebbe incorso il giudice di primo grado nell’aver ritenuto la tempestività dell’istanza di rimborso presentata dal D.. A dire dell’appellante, l’istanza di restituzione delle somme eccedenti il 10% dell’imposta sarebbe stata presentata tardivamente dal contribuente, tanto assumendo come riferimento il termine di cui all’art. 38 D.P.R. n. 602/1973, quanto considerando il termine di cui all’art. 21 D.lgs. n. 546/1992; ne sarebbe conseguita la decadenza del D. dal diritto di avvalersi della agevolazione tributaria. – Anche questa censura è priva di fondamento.
La disposizione dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002 – che ha inteso riequilibrare, in funzione del principio di solidarietà sociale, le conseguenze patrimoniali negative dell’eccezionale evento sismico del dicembre 1990 – ha introdotto la possibilità per il contribuente di definire la propria posizione fiscale per i precedenti anni 1990-1991-1992.
Il sopraggiungere di questa norma – a distanza di molti anni (circa un decennio) dalla scadenza del termine di pagamento delle imposte – ha determinato il sorgere ex post, in favore del contribuente che aveva già versato l’intero importo delle imposte dovute per gli anni 1990-1991-1992, del diritto alla ripetizione di un vero e proprio indebito; un indebito, pari alla somma versata in eccedenza rispetto alla percentuale prevista dall’art. 9 cit., sorto sulla base di uno ius superveniens che ha reso non dovuto quanto in precedenza (dovuto e) versato.
Ora, è noto che, in materia tributaria, per la ripetizione del pagamento indebito non si applica la disciplina prevista per l’indebito di diritto comune, ma vige un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o, in difetto, dalle norme sul contenzioso tributario (art. 21, comma 2, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546). Ne discende, da un lato, che l’istituto del rimborso su istanza di parte ha carattere di regola generale in materia tributaria; dall’altro, che le norme che contemplano l’istituto del rimborso d’ufficio hanno natura eccezionale e vanno considerate di stretta interpretazione (in tal senso, Cass., sez. V, 12 luglio 2006, n. 15840). Pertanto, i contribuenti che hanno versato imposte non dovute, o divenute tali in seguito, possono ottenere di-norma (salva espressa disposizione contraria) la restituzione di quanto pagato in eccesso solo a seguito di apposita istanza, da presentarsi entro il termine di decadenza previsto dalla legge.
Ciò premesso in via generale, con riferimento alla fattispecie sottoposta al giudizio di questa Commissione Regionale si tratta di stabilire: 1) quale sia il termine di decadenza per la presentazione della istanza di rimborso dei tributi pagati in eccedenza rispetto alla agevolazione prevista dall’art. 9, comma 17 cit.; 2) da quale data tale termine decadenziale decorra.
In ordine alla prima questione, il Collegio ritiene innanzitutto che il diritto alla ripetizione dell’indebito, scaturito dall’entrata in vigore della normativa che ha ridotto il debito tributario per i soggetti residenti nelle province colpite dal sisma del 1990, non è soggetto al termine decandenziale previsto dallo stesso art. 9, comma 17, cit. e successive modificazioni, per il versamento dell’«ammontare dovuto per ciascun tributo a titolo di capitale, al netto dei versamenti già eseguiti a titolo di capitale ed interessi, diminuito al 10 per cento (…)»; termine che, come si è detto, dopo essere stato originariamente fissato nel 16 aprile 2003, è stato via via prorogato, prima (per effetto dell’art. 3-quater del D.L. 28 dicembre 2006 n. 300) al 31 dicembre 2007, poi (per effetto dell’art. 36-bis del D.L. 31 dicembre 2007 n. 248) fino al 31 marzo 2008.
Non mancano, in giurisprudenza, pronunce che hanno richiamato proprio la data del 31 marzo 2008 come termine finale per ricorrere alla sanatoria, anche in fattispecie nelle quali il ricorrente – avendo già pagato per intero le imposte – chiedeva la restituzione di quanto pagato in eccedenza rispetto alla agevolazione fiscale (cfr. Cass., sez. VI, ord. 11 dicembre 2012, n. 22507; Cass., sez. VI, ord. 2 maggio 2013, n. 10242.
Ritiene, tuttavia, il Collegio che tale Orientamento non possa essere condiviso.
Infatti, l’art. 9, comma 17, cit. si è curato di prevedere un termine di decadenza per il pagamento (in misura ridotta), da parte del contribuente moroso, dei tributi non ancora pagati, ma non ha inteso prevedere alcuno specifico termine decadenziale per la presentazione dell’istanza di restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto alla agevolazione tributaria da esso introdotta.
Ora, la diversità ontologica tra l’obbligo di pagare le imposte e il diritto di ripetere quanto non (più) dovuto, l’autonomia logica e giuridica tra la funzione condonistica dell’istituto di cui all’art. 9 cit. e la sua funzione restitutoria, escludono che il termine fissato – ai fini del pagamento – per il contribuente ancora debitore di imposta possa valere anche ai fini dell’istanza di rimborso da parte del contribuente non più debitore di imposta, anzi divenuto creditore, nei confronti dello Stato, di quanto pagato in eccedenza rispetto alla sopravvenuta agevolazione tributaria.
Si è in presenza, dunque, di un vero e proprio vuoto normativo; di modo che non rimane che ricavare il termine di decadenza entro il quale presentare l’istanza di rimborso dalle altre norme vigenti che disciplinano espressamente l’istanza di restituzione dell’indebito tributario.
L’amministrazione appellante assume che il termine entro il quale il contribuente è tenuto, a pena di decadenza, a presentare istanza di restituzione del tributo pagato in eccesso, ai sensi dell’art. 9, comma 17, legge n. 289/2002, sarebbe quello previsto dall’art. 38 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602.
L’assunto non può condividersi.
Invero, l’art. 38 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 – a tenore del quale «il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare (…) istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso» – è una disposizione che mira a disciplinare i soli casi di inesistenza originaria del debito tributario (la norma espressamente elenca: «errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento»), e non può applicarsi al diverso e non omogeneo caso – corrispondente a quello di cui alla presente controversia – in cui l’imposta era effettivamente dovuta nel momento in cui è stata corrisposta ed è divenuta non dovuta solo ex post, in forza di uno ius superveniens.
In tal senso, si è pronunciata la Corte suprema, quando ha statuito che, in tema di rimborso di somme versate per tributi non dovuti, il termine decadenziale previsto dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 si applica ad ogni tipologia di indebito tributario conseguente a versamenti sin dall’origine non dovuti, e non alle diverse ipotesi in cui il diritto alla restituzione sia sorto in data posteriore al pagamento dell’imposta (Cass., sez. V, 23 maggio 2005, n. 10838; Cass., sez. V, 22 gennaio 2004, n. 1040).
Peraltro, l’adozione della data di pagamento dell’imposta, quale dies a quo del termine di quarantotto.mesi previsto dall’art. 38 cit, avrebbe, nel caso di specie, l’effetto di privare il contribuente della possibilità di presentare istanza di rimborso, perché lo ius superveniens che ha determinato il sorgere dell’indebito, e dunque la possibilità di chiedere il rimborso, è intervenuto (nel dicembre 2002) dopo la scadenza dei quarantotto mesi dall’ultimo pagamento effettuato dal D.-(che risulta eseguito – nel novembre 1998).
Esclusa – per quanto detto – la possibilità di adottare il termine previsto dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, ritiene il Collegio che il termine decadenziale entro il quale il contribuente, destinatario della agevolazione tributaria di cui all’art. 9 cit., deve chiedere il rimborso di quanto pagato in eccesso debba ricavarsi dalla norma, a carattere residuale, di cui all’art. 21, comma 2, D.lgs 31 dicembre 1992 n. 546, dettata in materia di processo tributario, a tenore della quale «la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione».
Si tratta di una conclusione che trova ragione nel carattere generale della norma di cui all’art. 21, comma 2 cit., applicabile a tutti in casi in cui non sia stato altrimenti disposto, e che ha trovato conferma anche in una recente pronuncia della giurisprudenza di legittimità.
La Corte suprema, infatti, ha recentemente affermato che il diritto alla restituzione del 90% delle imposte pagare negli anni 1990-1991-1992, previsto dall’art. 9, comma 17, legge 27 dicembre 202 n. 289 in favore dei residenti nelle province siciliane colpite dal sisma del 13 dicembre 1990, è soggetto al termine biennale di decadenza di cui all’art. 21, comma 2, D.lgs 31 dicembre 1992 n. 546 (Cass., sez. V, 20 dicembre 2012, n. 23589).
Individuato dunque il termine di decadenza per la presentazione della istanza di rimborso in quello di cui all’art. 21, comma 2, D.lgs n. 546/1992, rimane da risolvere la seconda questione dianzi posta, relativa alla individuazione del dies a quo del detto termine di decadenza; tenendo presente che tale dies a quo – secondo quanto prevede lo stesso art. 21 – deve farsi corrispondere al momento in cui è sorto il presupposto giuridico per la restituzione dei tributi versati.
Secondo l’appellante, tale – presupposto, si sarebbe verificato in data 1 gennaio 2003, con l’entrata in vigore dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289/2002; e in questo senso si è autorevolmente pronunciata la Corte di legittimità nella sentenza da ultimo citata, con la quale ha affermato che «il momento iniziale della decorrenza del termine di decadenza (…) non può (…) che essere ricollegato alla data (1 gennaio 2003) di entrata in vigore dell’originaria previsione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17» (Cass., sez. V, 20 dicembre 2012, n. 23589).
Si tratta, tuttavia, di un’opinione che non può essere condivisa.
Tale opinione, infatti, muove dal presupposto implicito che il diritto restitutorio, sorto a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289/2002, sia rimasto immutato e non sia stato inciso dalle successive modifiche apportate alla disciplina normativa: prima dal D.L. n. 300 del 2006 (convertito nella legge n. 17 del 2007), poi dal D.L. 248 del 2007, come convertito e modificato dalla legge n. 31 del 2008. Ma tale assunto è smentito da un esame, appena approfondito, delle varie disposizioni succedutesi nel tempo.
Invero, prima il D.L. 28 dicembre 2006 n. 300, poi la legge 28 febbraio 2008 n. 31 hanno profondamente manipolato l’originaria previsione dell’art. 9, comma 17, legge n. 289/2002, non solo mutando la percentuale del pagamento dovuto per fruire dell’agevolazione tributaria, ma anche modificando i termini per avvalersene. In proposito, è sufficiente osservare che l’originario termine previsto per il 16 aprile 2003, già scaduto, è stato riaperto dalle norme successive, mentre la legge n. 31/2008, fissando un nuovo termine per fruire dell’agevolazione tributaria, ha aumentato la percentuale dell’imposta condonata, portandola dal 70% al 90%.
Si deve, pertanto, concludere che le leggi successive a quella del 2002 hanno, non tanto modificato, quanto addirittura novato l’agevolazione tributaria inizialmente prevista, configurandola in modo diverso rispetto alla disciplina precedente, dando luogo così al sorgere – di un nuovo diritto ad avvalersi dell’agevolazione tributaria, da fruire entro nuovi termini (e anche da parte di coloro che non avevano inteso prima avvalersi dell’agevolazione come configurata dalla normativa precedente) e in una nuova percentuale (in questo senso, peraltro, trovasi argomentato nella motiv. di Cass., sez. VI, ord. 11 dicembre 2012, n. 22507; Cass., sez. VI, ord. 2 maggio 2013, n. 10242).
Ne deriva che il diritto restitutorio di cui alla più recente disposizione dell’art. 36-bis del D.L. 31 dicembre 2007 n. 248, introdotto in sede di conversione dalla legge 28 febbraio 2008 n. 31, non può ritenersi insorto alla data (1 gennaio 2003) di entrata in vigore della legge n. 289 del 2002; dovendosi, al contrario, ritenere che tale diritto sia insorto solo con l’entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008 n. 31, ossia il 1° marzo 2008.
È questa del 1° marzo 2008 la data a partire dalla quale è indubbiamente sorto il diritto del contribuente – come attualmente configurato sulla base dell’ultimo intervento normativo – alla restituzione delle somme indebitamente versate; e tale data costituisce il dies a quo da cui è decorso il termine biennale di decadenza per chiedere il rimborso dell’indebito, ai sensi dell’art. 21, comma 2, D.lgs 31 dicembre 1992 n. 546: tale termine, pertanto, è andato a scadere il 28 febbraio 2010.
Nel caso di specie, risulta dagli atti che il D. – quale contribuente residente in uno dei comuni colpiti dal detto sisma del 1990 – ha presentato in – data 7 marzo 2008, all’Amministrazione finanziaria, istanza di rimborso del 90% delle imposte pagate per gli anni 1990, 1991 e 1992. L’istanza è stata, dunque, presentata tempestivamente dal contribuente, prima che maturasse la decadenza dal diritto di chiedere il rimborso.
L’appello principale risulta, pertanto, infondato e va rigettato.
Passando all’esame dell’appello incidentale proposto da D. G., col primo motivo il contribuente lamenta l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nel calcolare la somma spettantegli a titolo di rimborso per l’IRPEF e l’ILOR relativa agli anni 1990-1991-1992. In particolare, l’appellante incidentale contesta che la Commissione provinciale abbia condannato l’Agenzia delle Entrate a restituirgli la somma di € 259.164,79, piuttosto che la somma di 347.709,45 da lui richiesta, corrispondente al 90% delle somme versate a titolo di IRPÉF e di ILOR, motivando genericamente nel senso che l’importo liquidato scaturiva dalla esclusione degli importi sprovvisti di prova in ordine ai relativi versamenti.
La censura è fondata.
Il D., infatti, ha fornito la prova documentale dei pagamenti effettuati, producendo i modelli 740 relativi agli anni de quibus e i modelli di pagamento F 23. L’agenzia delle Entrate, poi, tanto in primo grado quanto in appello, non ha mai contestato che il contribuente abbia effettivamente versato la complessiva somma di euro 386.343,84 a titolo di imposte per gli anni di riferimento.
L’esistenza di tali versamenti, pertanto, non solo deve ritenersi provata sulla base delle produzioni documentali del ricorrente; ma deve addirittura ritenersi esonerata dalla prova, sulla base del principio di non contestazione previsto dall’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., come modificato dalla-legge n. 69/2009.
Non rimane, pertanto, che accogliere sul punto l’appello” incidentale e rideterminare in euro 347.709.45 (pari al 90 % di euro 386.343,84) l’importo complessivo della somma che l’Agenzia delle Entrate di Ragusa è condannata a corrispondere a D. G. a titolo di rimborso di IRPEF e ILOR per gli anni 1990-1991-1992. Su tale somma vanno corrisposti al contribuente gli interessi legali (già riconosciuti dal giudice di primo grado), decorrenti dalla data di presentazione della istanza di rimborso fino al soddisfo.
Col secondo motivo di appello, il contribuente su duole del fatto che la Commissione provinciale non gli abbia riconosciuto il diritto al rimborso dell’imposta da lui corrisposta, a titolo di I.V.A., per gli anni 1990-1991-1992.
Questa censura è infondata.
Invero, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con sentenza del 17 luglio 2008, ha dichiarato l’incompatibilità con il diritto comunitario degli artt. 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui prevedono la condonabilità dei rapporti relativi all’I.V.A. E la Corte di cassazione ha preso atto di tale decisione, sancendo espressamente che l’I.V.A. è esclusa dal condono fiscale di cui all’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Cass., sez. VI, ord. 13 luglio 2012, n. 12083).
Col terzo motivo dell’appello incidentale, il contribuente lamenta la compensazione delle spese della lite pronunciata dal giudice di primo grado.
Anche tale doglianza è infondata.
Invero, il primo giudice ha correttamente applicato il disposto dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. che prevede la possibilità per il giudice di compensare le spese del giudizio in presenza di soccombenza reciproca.
Per la medesima soccombenza reciproca, permanente anche nel giudizio di appello, il Collegio ritiene di compensare tra le parti anche le spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta l’appello principale proposto dall’Ufficio; in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto dal contribuente, ridetermina in euro 347.709,45 l’importo complessivo della somma che l’Agenzia delle Entrate di Ragusa è condannata a corrispondere a D. G. a titolo di rimborso di IRPEF e ILOR per gli anni 1990-1991-1992, con gli interessi legali dalla data di presentazione della istanza di rimborso fino al soddisfo; rigetta nel resto l’appello incidentale del contribuente; compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
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