COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Palermo sentenza n. 1838 del 5 maggio 2015
IVA – OPERAZIONI ESENTI – INTERESSI SU FINANZIAMENTI EROGATI A SOCIETA’ CONTROLLATE – ATTIVITA’ ACCESSORIA O PRINCIPALE – EFFETTI SUL CALCOLO DEL PRO-RATA MATEMATICO – IVA SUGLI ACQUISTI USATI IN MODO PROMISCUO – EFFETTIVO UTILIZZO – MANCATA RILEVAZIONE – POSSIBILE CONTRASTO DELLA NORMATIVA ITALIANA CON I PRINCIPI DELLA DIR. 2007/112/CE – TRASMISSIONE DEGLI ATTI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma 4 (ora, Direzione Provinciale III di Roma, in prosieguo: “l’Ufficio” o “l’Agenzia”) indirizzava alla società M.-B. I. S.p.A. (di seguito: “la società” o “la contribuente”) l’atto di accertamento n. RCE030201967, emesso ai fini IVA, per l’anno di imposta 2004, recuperando una maggiore Iva di euro 1.755.882,00, oltre agli importi corrispondenti alle sanzioni ed interessi.
Le ragioni che sorreggono la pretesa erariale, espresse nella motivazione dell’accertamento, muovono essenzialmente dalla convinzione che la società, avendo indicato nella dichiarazione Iva, per l’anno 2004, operazioni esenti (ex art. 10 del D.P.R. 633/1972) per Euro 41.878.647,00, relative ad interessi maturati sui finanziamenti erogati alle società controllate, abbia erroneamente qualificato tali attività come accessorie ad operazioni imponibili, escludendole, pertanto, dal calcolo del pro-rata matematico, regolato dagli artt. 19, 5° comma e 19-bis del D.P.R. 633/1972.
Per sostenere la propria tesi, l’Ufficio osserva che la gestione finanziaria rappresenta, insieme a tutte le altre, una delle attività principali e strategiche della società e non, invece, una attività meramente accessoria.
La società proponeva ricorso contro l’atto di accertamento,- innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma..
La contribuente eccepiva – per quanto qui interessa – l’illegittimità delle riprese fiscali, quale conseguenza dell’inapplicabilità del metodo del pro rata adottato dall’Ufficio: considerando la natura accessoria delle operazioni (esenti) di finanziamento, rispetto all’attività principale svolta dalla società, che rende le medesime operazioni, per espressa previsione legislativa, irrilevanti ai fini della determinazione del calcolo della percentuale di indetraibilità.
Inoltre, la società metteva in risalto l’effetto distorsivo nell’imposizione Iva, a favore dell’Agenzia, dipendente dalla scelta di quest’ultima di applicare il pro rata sulla base di un criterio esclusivamente formale (composizione del volume d’affari e quantificazione delle operazioni esenti rispetto a quest’ultimo), anziché sostanziale (composizione degli acquisti, vale a dire, facendo riferimento alla circostanza che l’imposta sia riferita all’acquisto di beni e di servizi concorrenti alla produzione a valle di operazioni imponibili).
A sostegno, la contribuente depositava in giudizio due perizie giurate, con le quali sono stati analizzati i beni ed i servizi acquistati dalla società ed utilizzati per la produzione di operazioni esenti. Da tale indagine il perito è giunto alla conclusione dell’incidenza marginale dei suddetti costi (in specie, prima perizia svolta a campione: incidenza minima pari allo 0,22%; seconda perizia, svolta con metodo analitico dei costi, incidenza minima pari a zero).
L’Ufficio si costituiva in giudizio e, nel replicare al ricorso della contribuente, ribadiva la legittimità del proprio operato richiamando le motivazioni dell’atto di accertamento.
In particolare l’Agenzia sottolineava che, dall’analisi “fattuale dell’attività di erogazione di finanziamenti” esercitata dalla società, emergono una serie di “elementi”, tra i quali un “elevatissimo volume d’affari ad essa riconducibile”, “pari al 71,64%”, che giustificherebbe la qualifica di “attività propria” (così, a pag. 15 dell’atto di controdeduzioni del 30.11.2010).
In accoglimento della tesi dell’Ufficio, il giudice di primo grado respingeva il ricorso della contribuente in forza del richiamo alla sentenza della Corte di Cassazione n. 22243 del 21 ottobre 2009, e nel merito, affermando che: “la verifica dell’effettiva attività d’impresa si individua osservandone il volume d’affari”. Pertanto, “laddove il peso delle operazioni esenti – in rapporto al volume d’affari – risulti essere marginale, esse potranno considerarsi operazioni strumentali o accessorie all’attività propria dell’Impresa; per converso, ove il valore delle operazioni esenti sia consistente, esse potranno considerarsi un’attività a sé stante e, dunque, il contribuente sarà tenuto ad applicare il “pro rata” di detraibilità al valore complessivo dell’imposta delle operazioni passive”. E’, quindi, “inconferente quanto eccepito dalla ricorrente per sostenere la marginalità dell’attività di finanziamento e cioè la limitata incidenza delt’lva relativa all’acquisto di beni e servizi destinati alla produzione delle operazioni esenti”. Considerando che, concludono i primi giudici, “il volume d’affari di euro 41.878.647,00 generato da tale attività (…) di finanziamento (…) rappresenta un’incidenza percentuale sul volume d’affari totale pari al 71,64%” (si cfr. Seni. CTP di Roma, n. 396/60/13, depositata il 3 ottobre 2013).
La società presentava appello contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma.
In questo secondo giudizio la contribuente, oltre a riproporre le difese del precedente grado, poneva l’accento sugli effetti distorsivi cui avrebbe condotto l’interpretazione delle norme nazionali fornita dall’Agenzia. Allegava, quindi, una rappresentazione numerica della consistenza dell’effetto distorsivo causato dalla decisione dell’Ufficio di rideterminare l’ammontare detraibile con il metodo del pro rata matematico.
La società faceva, infine, presente che applicando alla specie il diverso metodo del prò rata fisico, regolato dall’art. 19, 4° comma del D.P.R. 633/1972 (secondo cui: “per i beni ed i servizi in parte utilizzati per operazioni non soggette all’imposta la detrazione non è ammessa per la quota imputabile a tali utilizzazioni e l’ammontare indetraibile è determinato secondo criteri oggettivi, coerenti con la natura dei beni e servizi acquistati”), la limitazione del diritto di detrazione risulterebbe fortemente attenuata, in quanto quest’ultimo metodo, a differenza del pro rata matematico, è basato su una valutazione fisica, cioè, effettiva della quota di acquisto di un bene o di un servizio destinato ad un’attività imponibile.
L’Ufficio, nel resistere al gravame, ribadiva quanto già dedotto in primo grado, evidenziando, in particolare, “che l’attività di finanziamento” svolta dalla società “non possa essere qualificata come attività accessoria”: tenuto conto, tra l’altro, che “il suo effettivo svolgimento (…) genera un volume d’affari (…) che presenta una incidenza percentuale sul volume d’affari totale pari al 71,64%” (così, alle pagine 10 e 11 dell’atto di controdeduzioni del 30.12.2014).
L’oggetto della controversia ed il diritto nazionale
La questione pregiudiziale che si intende sottoporre alla Corte di Giustizia riguarda la compatibilità, con il diritto comunitario, del metodo del pro rata matematico regolato, nell’ordinamento nazionale, dal D.P.R. 633/1972, precisamente, negli artt. 19, 5° comma (secondo cui: “ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alia detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti (…), il diritto alla detrazione dell’imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria dì operazioni e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all’articolo 19-bis”) e 19-bis (secondo cui: “la percentuale dì detrazione di cui all’articolo 19, comma 5, è determinata in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno medesimo. La percentuale di detrazione è arrotondata all’unità superiore o inferiore a seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi”. (…) “Per il calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1 non si tiene conto (…) delie (…) operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9)” dell’articolo “10” dèi D.P.R. 633/1972, “quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo o siano, accessorie alle operazioni imponibili, ferma restando la indetraibilità dell’imposta relativa ai beni e servìzi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioni”).
Attraverso tali norme – che recepiscono gli artt. 173, 174 e 175 della Dir. 2006/112/CE – il legislatore italiano ha previsto che, ove il soggetto passivo eserciti contemporaneamente attività imponibili ed esenti, l’imposta detraibile è determinata forfettariamente, a prescindere dalla misura dell’effettiva utilizzazione dei beni e dei servizi in operazioni a valle imponibili, ovvero esenti. In questa ipotesi, la detrazione dell’lva spetta in base ad una percentuale forfettaria (cd. prò rata matematico) da applicare non solo all’lva relativa ai beni ed ai servizi utilizzati promiscuamente, ma a tutta l’imposta assolta sugli acquisti.
Questa regola subisce, però, alcune eccezioni, essendo previsto che, ai fini del calcolo del pro rata, non assumono rilevanza alcune specifiche operazioni esenti (tra cui, i finanziamenti infragruppo), quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo, oppure risultano accessorie ad operazioni imponibili.
Nel caso qui in esame, l’Ufficio limita il diritto di detrazione dell’lva pagata dalla società sugli acquisti effettuati nel 2004. Più specificamente, l’Agenzia ha ridotto l’ammontare detraibile, nella misura risultante dall’applicazione del metodo del pro rata matematico fondato sul criterio del volume d’affari, senza valutare l’incidenza degli acquisti rispetto alle attività (imponibili ed esenti) esercitata dalla contribuente.
In sintesi:
– la società ritiene inapplicabile il metodo del prò rata matematico perché, da un lato, l’attività di finanziamento è esclusa dal calcolo della percentuale d’indetraibilità, avuto riguardo alla sua natura accessoria rispetto all’attività principale (propria) esercitata dalla contribuente. E, dall’altro, per i rilevanti effetti distorsivi, a vantaggio dell’Autorità fiscale, prodotti dall’applicazione del criterio del prò rata matematico.
– l’Ufficio ritiene che le operazioni di finanziamento non abbiano natura accessoria e, dunque, concorrano alla determinazione della percentuale di indetraibilità dell’lva calcolata con il metodo matematico, a prescindere dalla destinazione dei beni o del servizi acquistati in operazioni a valle imponibili, in base all’incidenza delle medesime operazioni sul volume d’affari complessivo della società.
Sulla tesi prospettata dall’Ufficio, accolta dal primo giudice, la società – nel suo atto di appello (pagine 36 e ss.) – ha sollecitato il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE, evidenziando, in particolare, che la soluzione della presente controversia dipende dall’interpretazione offerta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia sulle norme comunitarie (artt. 168,173, 174 e 175 della Dir. 2006/112/CE), recepite negli artt. 19, commi 4 e 5 e 19-bis del D.P.R. 633/1972, applicabili alla specie.
Rilevanza e motivazioni delle questioni pregiudiziali sollevate
La Nota Informativa C-388/2012 del 6.12.2012 sulla Procedura innanzi alla Corte di Giustizia indica la facoltà del giudice nazionale di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale, relativa all’interpretazione di una norma del diritto dell’ Unione, qualora essa sia necessaria ai fini della soluzione della controversia ad esso sottoposta. In particolare, il rinvio pregiudiziale può risultare particolarmente utile quando si tratti di una questione di interpretazione nuova, che presenti un interesse generale per l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, o quando la giurisprudenza esistente non sembra applicabile ad un fatto inedito.
In ossequio all’articolo 94 del Regolamento di Procedura della Corte di Giustizia, integrato dalle Raccomandazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (2012/C 338/01), il giudice nazionale è tenuto a chiarire non solo i motivi pretisi che lo hanno indotto ad interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione ed a ritenere necessaria la sottoposizione di questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia, ma anche le ragioni della scelta delle disposizioni unionali di cui chiede l’interpretazione, nonché il nesso individuato tra quelle disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia (in questi termini: Corte di Giustizia, Sent. 6.12.2005, C-453/03, ABNA; Ord. 13.1.2010, C-292/09, Calestani e Lunardi; Sent. 1.6.2010, C-570/07, Bianco Pérez).
La mancanza di una pronuncia da parte della giurisprudenza euro – unionale sullo specifico tema della compatibilità delle norme nazionali in contestazione, rende opportuno ottenere un chiarimento dalla Corte di Giustizia, particolarmente utile nel caso dedotto e, in ogni caso, di interesse generale per l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, trattandosi di una questione di interpretazione nuova, applicabile ad un fatto inedito.
Valutazione giuridica del tema
Dai fatti rilevanti della controversia, come sopra riassunti, si evince che l’oggetto del contendere riguarda la valutazione, da parte della Corte di Giustizia, della compatibilità del metodo del pro rata matematico, regolato dalle norme italiane (artt. 19, 5° comma e 19-bis del D.P.R. 633/1972), con le 7 disposizioni della Dir. 2006/112/CE (artt. 168,173,174 e 175) ed i principi comunitari di proporzionalità, effettività e neutralità.
In effetti, l’Ufficio limita il diritto alla detrazione dell’lva pagata sugli acquisti tramite il meccanismo del pro rata matematico, assumendo che questo metodo è legittimo in riferimento alla norma nazionale e, dunque, applicabile, in quanto l’attività di finanziamento esercitata dalla società (i) non è accessoria all’attività principale svolta da quest’ultima; (ii) ha un’elevata incidenza sul volume d’affari della contribuente.
Nel resistere contro tale pretesa, la società invoca l’applicazione diretta delle richiamate disposizioni comunitarie, sostenendo che la tesi dell’Ufficio, accolta dal giudice di primo grado, conduce ad una grave distorsione, a vantaggio dell’Autorità fiscale, del sistema della detrazione Iva previsto dalla Direttiva 2006/112/CE.
Più specificamente il contribuente osserva, in punto di diritto, che il Legislatore nazionale nell’ammettere la limitazione del diritto di detrazione – nella misura forfettaria calcolata secondo il metodo del pro rata matematico, senza che sia operata alcuna distinzione tra i beni ed i servizi acquistati, a seconda del loro effettivo utilizzo (esclusivo o promiscuo) in operazioni a valle imponibili o esenti – ha mal recepito gii artt. 173, 174 e 175 della Dir. 2006/112/CE, considerando che tali norme comunitarie chiariscono che l’ambito applicativo del pro rata è circoscritto ai soli casi in cui l’uso dei beni e dei servizi è misto, cioè, sono utilizzati da un soggetto passivo per effettuare, nel contempo, operazioni in parte imponibili ed in parte esenti.
Sulla base di queste premesse, la società dubita della legittimità della scelta del Legislatore nazionale, siccome interpretata dall’Amministrazione finanziaria italiana, di estendere il meccanismo del pro rata anche all’lva che non è relativa ai beni utilizzati promiscuamente: considerando che, secondo la contribuente, nel sistema comunitario della detrazione l’applicazione del pro rata è limitata al tributo relativo agli acquisti usati in modo promiscuo.
A parere della società, l’interpretazione offerta dall’Ufficio delle norme nazionali risulterebbe non compatibile con le disposizioni ed i principi comunitari, sopra indicati. La contribuente richiama, in proposito, alcune decisioni della Corte di Giustizia che trattano di questioni simili, ma non identiche, alla presente controversia, nelle quali i giudici europei hanno precisato che, per dare concreta attuazione ai principi di neutralità, proporzionalità ed effettività, gli Stati membri devono privilegiare l’adozione di metodi di calcolo del pro rata, anche diversi dal criterio fondato sul fatturato, che riflettano oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute per l’acquisto di beni e di servizi che può essere imputata ad operazioni che danno diritto alla detrazione. Specificando, inoltre, che attraverso questi metodi, finalizzati ad evitare gravi distorsioni nell’applicazione dell’lva, gli Stati membri devono garantire che possa essere esercitato il diritto di detrazione sulla parte di Iva relativa alle operazioni che conferiscono tale diritto (Sent. 10.7.2014, C-183/13, Banco Mais SA; Sent. 6.9.2012, C- 496/11, Portugal Telecom SA; Sent. 16.2.2012, C-25/11, Varzim Sol; Sent. 29.10.2009, C-174/08, NCC; Sent. 13.3.2008, C-47/06, Securenta. Sul tema si v. anche la domanda pregiudiziale 9.7.2014, C-332/14, Wolfgang und Wilfrìed Rey Grundstucksgemeinschaft, non ancora decisa).
Il quesito pregiudiziale ai sensi dell’alt. 267 TFUE
Al fine di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto comunitario appare necessario disporre il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia, al fine di verificare se la corretta interpretazione dei principi sopra indicati osti all’interpretazione del diritto nazionale fornita dall’Ufficio, sulla base delle norme nazionali vigenti.
Sussiste, inoltre, la rilevanza e la pertinenza della questione interpretativa prospettata nel giudizio in corso e la conseguente necessità della pronuncia della Corte di Giustizia sulla compatibilità della legge nazionale con il diritto comunitario, allo scopo di accertare se i 9 principi generali del diritto comunitario si oppongano all’applicazione delia normativa nazionale.
E’, inoltre, manifesta la rilevanza della questione sul procedimento pendente (cd. “effetto utile”), potendo, nel caso concreto, essere dichiarata l’illegittimità della pretesa erariale, a favore della società contribuente, ove venisse accolta dalla Corte di Giustizia la questione interpretativa prospettata.
In conclusione, la Commissione Tributaria Regionale per il Lazio – Roma – Sez. 22, alla luce delle considerazioni che precedono, considera necessaria la pronunzia della Corte di Giustizia, al sensi dell’art. 267 TFUE, in riferimento alla questione pregiudiziale testualmente enunciata nel dispositivo, al fine di decidere la presente controversia.
Consegue la sospensione del presente giudizio.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale per il Lazio – Roma – Sez. 22, visti l’art. 267, par. 3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, l’art. 295 cod. proc. civ., la nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali (2011/C 160/01), e le Raccomandazioni della Corte dì Giustizia dell’Unione Europea (2012/C 338/01) Rimette alla Corte di Giustizia il seguente quesito pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267, par. 3 TFUE:
*Dica la Corte se, ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione, ostino all’interpretazione degli artt. 168, 173, 174 e 175 della Direttiva n. 2006/112/CE, orientato secondo i principi di proporzionalità, effettività e neutralità, siccome individuati nel diritto comunitario, la legislazione nazionale (segnatamente, gli artt. 19, 5° comma e 19-bis, del D.P.R. 633/1972) e la prassi dell’Amministrazione fiscale nazionale che impongano il riferimento alla composizione del volume d’affari dell’operatore, anche per l’individuazione delle operazioni cosiddette accessorie, senza prevedere un metodo dì calcolo fondato sulla composizione e destinazione effettiva degli acquisti, e che rifletta 10 oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attività – tassate e non tassate – esercitate dal contribuente”.
Ordina la sospensione del presente processo e dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di giustizia all’indirizzo di Rue du Fort Niedergrunewald, L-2925 Lussemburgo, mediante plico raccomandato.
Dispone la trasmissione dei documenti ritenuti necessari alla decisione delle questioni oggetto di rinvio pregiudiziale, come da separato indice.
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