COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Palermo sentenza n. 461 sez. 25 del 9 febbraio 2015
APPELLO – MOTIVI – SPECIFICITÀ – RIPROPOSIZIONE DELLE ARGOMENTAZIONI DISATTESE DAL PRIMO GIUDICE – AMMISSIBILITÀ – CONDIZIONI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso del 28/01/2002, (omissis) impugnava davanti alla CTP di Palermo il provvedimento di rigetto dell’istanza di rimborso dell’IRAP per gli anni dal 1998 al 2001, presentata in data 29/01/2002 all’Agenzia delle Entrate Ufficio di Palermo 2.
Precisava di esercitare l’attività professionale di ragioniere commercialista in assenza di specifici elementi di autonoma organizzazione, con esclusivo apporto di lavoro proprio, senza alcuna autonoma organizzazione, con beni strumentali di esigua entità; senza dipendenti o collaboratori coordinati e continuativi, come comprovato dalle allegate dichiarazioni dei redditi.
2. Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate Ufficio di Palermo 2, chiedendo il rigetto del ricorso.
3. Con sentenza 434/03/10 la CTP accoglieva l’impugnativa muovendo dai principi affermati in materia dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 156 del 21 maggio 2001. Nella specie riscontrava, in punto di fatto (ossia alla stregua della documentazione prodotta dalla parte) che si era “in presenza di una struttura elementare ove l’attività è svolta con l’ausilio di mezzi strumentali al minimo indispensabile, e in assenza di utilizzazione di personale dipendente”. Compensava le spese avuto riguardo alla relativa evoluzione giurisprudenziale.
4. Propone appello l’Ufficio che, richiamati molti principi astratti e generali, deduce, nella sostanza, che in tema di rimborso IRAP sarebbe onere del contribuente (lavoratore autonomo) dimostrare l’inesistenza dei presupposti impositivi (ossia dell’a peculiare organizzazione imprenditoriale del lavoro).
5. Resiste il contribuente chiedendo la conferma della sentenza appellata, vinte le spese di lite.
6. Alla pubblica udienza del 19 gennaio 2015, presenti i Difensori delle parti – che si sono riportati agli scritti difensivi insistendo nelle relative conclusioni – la causa è stata posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’appello è infondato.
Ed invero, a fronte dell’accertamento in fatto del primo giudice – secondo cui “in presenza di una struttura elementare ove l’attività è svolta con l’ausilio di mezzi strumentali al minimo indispensabile, e in assenza di utilizzazione di personale dipendente” – l’Ufficio si limita ad elencare una serie di massime giurisprudenziali, come tali contenenti principi generali ed astratti, che rimandano infine genericamente alle dichiarazioni dei redditi prodotte dal contribuente. Ma tale percorso difensivo non è condivisibile, sia nel modo, che nel merito:
a) quanto al modo, la linea difensiva dell’Ufficio finisce con lo “scaricare” sull’organo giudicante una sorta di verifica dell’intero contenuto delle predette dichiarazioni, ossia addossando a quest’ultimo un onere che gli non compete;
b) quanto al merito, risulta violato l’onere dell’appellante di dedurre e provare se, e sotto quale profilo, l’accertamento, in fatto, dei primi giudici, circa l’inesistenza di una specifica organizzazione imprenditoriale (tale da assimilare il lavoratore autonomo all’impresa), sia errato; nonché l’onere di specificare in concreto gli elementi da cui poter desumere quest’ultima conclusione.
2. È vero, peraltro, che, nel rapporto tra contribuente e fisco, in tema di “rimborso” dell’IRAP già versata, sussiste una inversione dell’onere della prova circa l’esistenza o meno dell’organizzazione imprenditoriale del lavoro autonomo; ma sul versante processuale, una volta che il giudice di primo grado abbia ritenuto l’inesistenza in punto di fatto dei presupposti impositivi IRAP (e quindi abbia accertato che il contribuente ha diritto al rimborso), è onere dell’Ufficio appellante dimostrare in concreto le ragioni dell’erroneità del giudizio espresso nella sentenza gravata.
È principio di diritto processuale consolidato (cfr. Cassaz. Sez. 3, sentenza n. 25218 del 29/11/2011) che, ai fini della specificità per motivi d’appello richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice.
3. In conclusione l’appello deve essere rigettato siccome generico e comunque privo di giuridico fondamento.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
la Commissione Tributaria regionale di Palermo rigetta l’appello e condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’appellato, delle spese di giudizio liquidate in euro 800,00 oltre accessori di legge.
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