COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Friuli Venezia-Giulia sez. 1 sentenza n. 233 depositata il 18 dicembre 2017
Con ricorso alla Commissione Tributaria provinciale di Trieste xxxxx impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno 2009 con cui si accertava l’omessa presentazione della dichiarazione annuale Iva ed un volume d’affari di euro 145.154,00 relativi ad attività professionale ed incarichi di consulenza configurabili in prestazioni da lavoro autonomo.
Nel ricorso il contribuente sosteneva di essere un lavoratore dipendente presso il comune di Trieste e di aver svolto incarichi occasionali per conto di altri enti pubblici con previa autorizzazione dello stesso comune. Prestazioni rese in tema di appalti e concorsi pubblici: settori nei quali il xxxxx possedeva una indiscussa e riconosciuta competenza. Tale attività non avrebbe potuto oltrepassare i limiti della occasionalità e della saltuarietà, poiché altrimenti non avrebbe potuto ottenere l’autorizzazione ad essere svolta da parte del Comune da cui dipendeva: autorizzazioni concesse di volta in volta. Oltretutto andava considerata la sua buona fede trattandosi di attività resa già da più anni.
Chiedeva così l’annullamento dell’atto impositivo con rifusione delle spese.
Si costituiva l’Ufficio che ribadiva invece come si fosse in presenza di reddito con indubbia abitualità e di somme ragguardevoli. Ed a tale effetto a nulla rilevava l’autorizzazione dell’Ufficio di appartenenza e nemmeno la natura pubblica degli enti in cui favore l’attività veniva svolte. Chiedeva perciò il rigetto del ricorso con condanna alle spese.
Con sentenza emessa il 24 novembre 2015 la Commissione tributaria provinciale di Trieste respingeva il ricorso condannando il ricorrente al pagamento di euro 2.000,00 di spese processuali.
In motivazione i giudici sottolineavano la prevalenza che avrebbe dovuto svolgere nel caso in questione l’entità degli emolumenti e la loro continuità e regolarità nel tempo, a nulla rilevando il fatto che erano attività autorizzate e rese a favore di enti pubblici, circostanze estranee alla pretesa tributaria.
Avverso detta sentenza veniva proposto tempestivo appello da parte del contribuente che ribadiva l’occasionalità e saltuarietà delle prestazioni, tutte svolte a favore di enti pubblici in materia di appalti e con autorizzazione del comune di Trieste, datore di lavoro del xxxxx.
Insisteva pertanto per la riforma della sentenza di primo grado con l’annullamento dell’avviso di accertamento. In subordine chiedeva la non debenza delle sanzioni, trattandosi di questione di non facile soluzione, sulla quale più volte l’A.F. si sarebbe anche pronunciata favorevolmente e su cui il contribuente aveva indubbiamente agito in assoluta buona fede. Spese rifuse per entrambi i gradi di
giudizio.
Si costituiva l’Ufficio che insisteva nelle proprie conclusioni già favorevolmente accolte dai primi giudici e sottolineava in particolare come avrebbe dovuto essere esclusivamente l’Agenzia delle entrate a qualificare i redditi prodotti dal xxxxx, a nulla valendo – come già dai primi giudici ricordato – la circostanza dello svolgimento degli incarichi a favore di enti pubblici e con l’autorizzazione del comune di appartenenza, essendo quest’ultimo organo titolare del rapporto di lavoro, non certo deputato a decidere in tema di assoggettabilità all’Iva. In tema di sanzioni ricordava come esse potevano essere escluse soltanto in casi di estrema ed obiettiva incertezza: non nel caso in discussione.
Chiedeva così il rigetto dell’appello con la conferma della sentenza impugnata e la condanna alla rifusione delle spese di lite.
Con ulteriore memoria la difesa del contribuente approfondiva ancora di più l’argomento: sia con riguardo alla natura delle prestazioni e la loro assoggettabilità all’Iva come per la questione del sanzioni. Evidenziava l’assoluta incertezza riscontrabile anche in documenti ufficiali sia dell’ A.F come in pareri espressi dal garante del contribuente. Evidenziava l’assoluta mancanza di specifica giurisprudenza sulla questione per concludere insistendo per l’accoglimento dell’appello.
L’appello del contribuente è fondato merita accoglimento con la riforma della sentenza di primo grado.
I primi giudici hanno fondato la decisione essenzialmente sull’entità dei compensi percepiti, senza però prestare attenzione agli altri argomenti indicati dal ricorrente a fondamento delle proprie ragioni.
Analogamente l’Ufficio ha fondato dapprima l’emissione dell’atto impositivo e successivamente le argomentazioni svolte processualmente a sua difesa anch’esso mettendo in luce quella che è sembrata essere la ragione principale dell’accertamento stesso e cioè gli emolumenti percepiti per l’attività di consulenza.
Ma- a ben vedere- non è così. Da un lato l’art. 5 del DPR 633/72 in tema di Iva indica chiaramente che ”per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche … “. Dall’ altro, l’art. 67 del DPR 917/86 prevede che “sono redditi diversi i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente”. È evidente che il legislatore pone due paletti: la professionalità e l’abitualità. Non fa cenno alle somme percepite. Quindi nella causa in discussione c’è soltanto da decidere se i redditi percepiti dal xxxxx siano da qualificarsi come “redditi diversi”, come sostenuto, ovvero redditi da lavoro autonomo.
Questa Commissione ritiene di poterli qualificare come “redditi diversi” poiché mancano – in capo al ricorrente – i requisiti delle professionalità e dell’abitualità come richiesto dalla norma; mancano perché egli svolge un’attività di consulenza fondata su competenze e capacità acquistate e valorizzate all’interno del rapporto di lavoro dipendente che svolge per il comune di Trieste e sono, sostanzialmente, in numero limitato. Non può infatti ignorarsi che per i due lustri precedenti l’accertamento l’Agenzia non aveva rilevato irregolarità nelle dichiarazioni presentate, che pur riportavano la presenza di “redditi diversi”. E nemmeno il datore di lavoro ha mai mancato di concedere le autorizzazioni a svolgere dette attività non considerandole, evidentemente, come attività professionale abituale svolta in violazione dei regolamenti e delle norme disciplinanti il rapporto di impiego pubblico. Ciò avviene per l’annualità qui in discussione poiché l’Azienda sanitaria di Udine si trova a dover da corso ad un appalto di ingentissimo valore per il quale ritiene di chiedere la consulenza di un soggetto notoriamente di indiscussa competenza. Trattasi di rapporto unico, tra tutti quelli che hanno interessato il xxxxx, sia per l’entità delle somme messe in campo che per l’impegno richiesto. Ma comunque pur sempre unico. Né può incidere per la sua qualificazione l’entità del compenso percepito, non essendo quest’ultimo un parametro previsto dalla legge.
Ancora sul concetto di abitualità, ritiene questo Collegio che esso non vada confuso con la semplice frequenza dell’attività stessa. Trattasi oltretutto di attività esercitata anche come lavoratore dipendente da un Ente pubblico, ente pubblico che – non a caso – rappresenta la quasi totalità dei soggetti, esclusivamente enti pubblici in numero molto limitato – meno di dieci – che hanno affidato le consulenze su cui si verte.
Gli altri redditi diversi presenti nella dichiarazione dei redditi oggetto dell’accertamento sono infatti quelli derivanti da diritti d’autore per pubblicazioni effettuate e per attività didattica, anch’essa a favore di un ente pubblico.
Non risulta esserci giurisprudenza di legittimità sull’argomento anche perché l’unica sentenza richiamata dall’Ufficio a sostegno della propria tesi (Cass. N. l052/1988), a ben vedere , non è che abbia alcunché da vedere con la causa qui in trattazione, trattandosi di procedimento penale che riguardava un artigiano (imbianchino) trovato non in possesso delle scritture contabili obbligatorie.
Di ben diversa rilevanza è però la sentenza delle SS.UU. della Commissione tributaria centrale emessa in data 12 aprile 1996, sentenza indicata dalla difesa del contribuente.
In essa si discute di un caso che certi aspetti ben può essere di aiuto per la soluzione della presente vertenza, proprio per l’esatta configurazione sia delle prestazioni che per l’irrilevanza dell’entità dei compensi. Trattasi dei redditi diversi dichiarati da pubblici dipendenti, in particolare anche magistrati del Consigli di Stato, per arbitrati prestati. Trattasi – di tutta evidenza – di attività che per la professionalità richiesta nello svolgimento ha le fondamenta nell’attività giurisdizionale già svolta, mentre per i compensi ha riguardo al valore della causa. È una situazione che può pacificamente compararsi con quella svolta dall’attuale appellante che trae la propria professionalità dalla stessa attività di lavoro dipendente che svolge e che lo mette in condizione di essere un esperto della materia. Quanto invece ai compensi, pure essi sono collegati al valore dell’incarico.
Va pertanto riformata la sentenza di primo grado con accoglimento dell’appello ed il conseguente annullamento dell’avviso di accertamento impugnato.
Alla soccombenza consegue la condanna alla rifusione delle spese lite a favore dell’appellante che si liquidano in ? 4.000,00 (quattromila/00), oltre ad Iva e spese accessorie.
Ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando la I Sezione della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in riforma della sentenza appellata, annulla l’avviso di accertamento di cui è causa. Condanna l’Agenzia alla rifusione delle spese di questo grado di giudizio che liquida in ? 4.000,00 (quattromila/00) oltre Iva e spese.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - Ordinanza 04 gennaio 2022, n. 826 - Ordinanza di protezione civile per favorire e regolare il subentro della Regione Friuli -Venezia Giulia nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di…
- CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 28 luglio 2022, n. 199 - Illegittimità costituzionale dell'art. 77, comma 3-quater.1, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2005, n. 18 (Norme regionali per l'occupazione, la tutela e la…
- COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Friuli-Venezia Giulia sentenza n. 82 sez. II depositata il 22 maggio 2019 - Vanno annullate le sanzioni applicate al contribuente la cui condotta è caratterizzata dalla buona fede, rilevabile dalla sua condotta,…
- COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Friuli Venezia-Giulia sentenza n. 69 sez. 1 depositata il 13 luglio 2020 - Gli importi pagati periodicamente da una società che gestisce una discarica ad altra società che svolge attività agricola su terreno…
- Commissione Tributaria Regionale per il Friuli Venezia-Giulia, sezione 1, sentenza n. 32 depositata il 24 febbraio 2020 - Nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale, l’amministrazione finanziaria può avvalersi di qualsiasi elemento…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 20065 del 21 giugno 2022 - Ai fini dell’accertamento della sussistenza di una attività di impresa è che – come per l’impresa civilistica – sussista il requisito della abitualità, che va intesa come attività stabile nel…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…