COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il LAZIO – Sentenza 03 dicembre 2019 n. 6766
Tributi – Accertamento – Società a ristretta base sociale – Presunzione di distribuzione ai soci di redditi accertati – Legittimità
Fatto
L’Agenzia delle Entrate di Latina, in esito alle risultanze di una verifica fiscale, aveva emesso, nei confronti della Sig.ra (…), l’avviso di accertamento indicato in epigrafe, con il quale, per l’anno d’imposta 2010, erano stati rilevati elementi positivi di reddito non dichiarati, pari a complessivi euro 330.789,28.
Tale importo era derivato dalla somma del dividendo dell’utile accertato in capo alla società Y.Y., di cui la contribuente era socia con una quota del 33%, e del dividendo dell’utile accertato in capo alla società Z.Z., di cui la contribuente era socia al 50%.
Le indagini eseguite nei confronti della contribuente costituivano parte dalla più vasta operazione di lotta alla frode Iva nel settore del commercio all’ingrosso di apparecchi cellulari ed HI TECH, condotta dalla Guardia di Finanza su delega della Procura di Velletri nell’ambito del procedimento penale n. 6769/2012; in tale contesto erano emerse le responsabilità penali e fiscali, tra le altre, delle predette società.
L’esito delle indagini era stato comunicato alla contribuente, mediante la consegna, in data 28 ottobre 2016, della copia del relativo processo verbale.
Inoltre, considerato che la contribuente ed il suo compagno convivente, (….), erano soci ed amministratori di fatto delle anzidette società, era stata inoltrata alla competente Autorità giudiziaria, la comunicazione di reato, n. 563474/15 del 28 dicembre 2015, per il superamento dei parametri di valenza penale, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000, con conseguente apertura del procedimento penale n. 12000/15 ed iscrizione degli stessi nel registro degli indagati.
La Sig.ra (…) aveva impugnato l’avviso di accertamento, sulla base dei seguenti motivi:
– per decadenza dei termini di notifica in relazione all’inapplicabilità al caso di specie dell’istituto del raddoppio dei termini;
– per violazione dell’art. 7 della legge n. 212/2000: mancata allegazione del P.V.C.;
– per difetto di motivazione.
L’Agenzia delle Entrate si era costituita in giudizio, ribadendo la legittimità dell’avviso di accertamento e producendo la copia del PVC, nonché prova dell’avvenuta comunicazione della notizia di reato.
All’esito del giudizio di primo grado, la Commissione tributaria provinciale di Latina aveva accolto il ricorso.
In particolare, aveva rilevato che non era stata prodotta la comunicazione di reato, né il processo verbale indicato nell’avviso di accertamento, che la Guardia di Finanza non aveva effettuato alcun ipotesi accertamento in relazione all’imposta evasa nell’anno 2010, che il predetto avviso era incongruo ed immotivato e che gli accertamenti eseguiti nei confronti delle società costituite all’estero non erano attendibili.
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato tale sentenza, per i seguenti motivi:
– violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43 del DPR 600/73 nonché omesso esame della documentazione probatoria prodotta dall’Ufficio;
– nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 112 del c.p.c.;
– violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 c.c. e 39, DPR n. 600/1973 nonché insufficiente motivazione;
– violazione dell’art. 42 del DPR 600/73 – Motivazione contraddittoria, erronea ricostruzione dei fatti di causa nonché erronea valutazione degli elementi probatori;
– erroneità della sentenza per aver ritenuto non applicabili le sanzioni.
La Sig.ra (…) si è costituita in giudizio, eccependo preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello per avere l’ufficio effettuato la notifica del ricorso a mezzo PEC e aver effettuato la propria costituzione in giudizio tramite procedura telematica.
Inoltre, ha contro dedotto alle eccezioni formulate dall’Ufficio.
Diritto
1. Il Collegio deve esaminare la questione preliminare della prospettata inammissibilità dell’appello per errata modalità di notifica.
Infatti, la Sig.ra (…) ha eccepito l’inammissibilità dell’appello, per avere l’Ufficio effettuato la notifica del ricorso a mezzo PEC e aver effettuato la propria costituzione in giudizio tramite procedura telematica.
Infatti, secondo la resistente, la scelta della modalità cartacea fatta dalla contribuente all’inizio del processo di primo grado avrebbe vincolato per entrambe le parti il successivo iter procedimentale del giudizio.
1. L’eccezione è infondata e deve essere respinta.
L’art. 16 bis, comma 1, del D.Lgs n. 546 del 1992 dispone che “Le comunicazioni sono effettuate anche mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni” e che “L’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto difensivo. La comunicazione si intende perfezionata con la ricezione avvenuta nei confronti di almeno uno dei difensori della parte”.
In proposito, la giurisprudenza di merito ha chiarito che “In base all’art. 16 bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, l’appellante ha la facoltà di avvalersi delle modalità telematiche di deposito delle controdeduzioni e relativi documenti allegati. Tra l’altro, seppure in riferimento alle notificazioni eseguite a mezzo pec, si è affermato che esse soggiacciono all’applicazione dell’art. 156 c.p.c. in virtù del quale la nullità non può essere mai pronunciata se non si prospetta la lesione del diritto di difesa subito dalla parte“. (Comm. trib. regionale Lazio Latina Sez. XIX Sent., 18 giugno 2019).
Infine, in maniera più esplicita, è stato affermato che “Nel processo tributario, la scelta del ricorrente di costituirsi in giudizio mediante deposito del ricorso “cartaceo” ai sensi degli artt. 16, 20 e 22 del D.Lgs. n. 546/1992 ovvero mediante modalità “telematica” ai sensi dell’art. 16 bis del medesimo Decreto e delle disposizioni di cui al Decreto Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 163/2013, non è vincolante per il resistente, il quale potrà liberamente costituirsi in giudizio nell’uno o nell’altra modalità a prescindere dalla scelta operata dal ricorrente“. (Comm. Trib. regionale Emilia-Romagna Bologna Sez. XII, 16 luglio 2018).
1. La prima questione concerne la disamina della eccepita violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43 del DPR 600/73, nonché dell’omesso esame della documentazione probatoria prodotta dall’Ufficio.
In proposito, l’Agenzia ha osservato che “contrariamente a quanto statuito dalla CTP di Latina, l’Ufficio, costituendosi telematicamente, aveva prodotto in giudizio copia della comunicazione di reato” e che “contrariamente a quanto affermato dai giudici di primo grado la notizia di reato effettuata nei confronti della Sig.ra (…) era relativa a reati tributari”.
Con la conseguenza che “la notizia di reato è stata trasmessa prima del decorso del termine ordinario per l’esercizio del potere di accertamento previsto dall’art. 43 del D.p.r. 600/1973, legittimando il raddoppio dei termini secondo quanto stabilito dal comma 132 dell’art. 1 della legge n. 208/2015“.
Nel caso di specie, “per l’anno d’imposta 2010 il termine ordinario sarebbe scaduto il 31/12/2015 la comunicazione di reato n. 563474/15 è del 28/12/2015, dunque, anteriore alla suddetta scadenza”.
2.1 L’eccezione è fondata e deve essere accolta.
Dalla disamina degli atti di causa risulta che la Sig.ra (…) era stata denunciata, in data 28 dicembre 2015, all’Autorità giudiziaria, mediante la comunicazione di reato, n. 563474/15.
Tale circostanza determina l’applicazione dell’art. 1, comma 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, secondo cui “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione”.
Tali termini erano stati indicati, dalla medesima norma, secondo la seguente regola: “gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata“.
Completa il quadro normativo di riferimento l’ulteriore disposizione secondo cui “il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo”.
Pertanto, l’emissione dell’avviso di accertamento, intervenuta in data 17 febbraio 2017 è tempestiva.
1. La seconda questione all’esame del Collegio concerne la prospettata violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 c.c. e 39, DPR n. 600/1973, nonché insufficiente motivazione.
L’Agenzia ha contestato la violazione del “criterio dell’onere probatorio, in quanto, non ritenendo sufficiente la prova presuntiva richiesta dall’art. 39 del DPR 600/73 hanno addossato all’ufficio una prova piena in termini di certezza dell’esistenza di attività non dichiarate”.
Al riguardo, ha richiamato il contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità che riconosce la piena legittimità dell’utilizzo della presunzione di distribuzione ai soci di utili ovvero di altri proventi extra bilancio delle società, della cui compagine sociale l’accertato sia parte.
In particolare, ha ricordato che “la Suprema Corte ha riconosciuto i requisiti di gravità, precisione e concordanza, necessari affinché tale presunzione possa legittimamente essere utilizzata nell’accertamento tributario”.
Inoltre, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità “nel caso di società a ristretta base sociale, – afferma – è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale“.
In proposito, la Sig.ra (…) ha replicato che nel ricorso introduttivo era stata più volte rimarcata la carenza probatoria della presunzione di distribuzione degli utili e la mancata giustificazione delle percentuali di ricarico.
1. L’eccezione è fondata.
Come esposto in fatto, l’avviso di accertamento era stato emesso nei confronti della Sig.ra (…), in relazione alla somma del dividendo dell’utile accertato in capo alla società Y.Y., di cui la contribuente era socia con una quota del 33%, e del dividendo dell’utile accertato in capo alla società Z.Z., di cui la contribuente era socia al 50%.
La Sig.ra (…) ed il suo compagno convivente, (…), erano soci ed amministratori di fatto delle anzidette società.
In tale contesto deve ritenersi sussistente il presupposto della ristretta base societaria, per cui si può legittimamente presumere che il reddito prodotto dalla società sia stato redistribuito ai soci.
In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha osservato che “In presenza di società di capitali a ristretta base sociale e legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili né ricorre il divieto di presunzione di secondo grado in quanto il fatto noto non è costituito dalla sussistenza di maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale“. (Cass. civ. Sez. V, 11 ottobre 2007, n. 21415).
1. La terza questione attiene alla verifica della eccezione della violazione dell’art. 42 del DPR 600/73, per erronea ricostruzione dei fatti di causa, nonché erronea valutazione degli elementi probatori.
In particolare, l’Agenzia ha ribadito la legittimità della motivazione dell’accertamento per relationem.
La Sig.ra (…) , al contrario, ha rimarcato che l’ufficio si è limitato ad un generico richiamo al PVC della Guardia di finanza, “senza operare alcuna specifica contestazione” e che ha emesso un avviso di accertamento basato su due distinte presunzioni:
– l’esistenza di un reddito da dichiarare in Italia delle società accertate induttivamente;
– l’avvenuta distribuzione ai soci di tale maggior reddito accertato induttivamente in capo alle società.
Secondo la resistente, invece, “l’obbligazione tributaria a carico dei soci non può prescindere dalla prova certa anche del concreto ed effettivo trasferimento diretto o indiretto di determinati utili extracontabili o occulti dalla società ai soci”.
Infine, ha rappresentato che “la società verificata potrebbe aver presentato nel paese di residenza, ora contestata, le proprie dichiarazioni dei redditi e per le quali ha versato le imposte dovute”, con la conseguenza che tali imposte “in ogni caso andrebbero decurtate dal presunto dividendo contestato alla ricorrente”.
1. L’eccezione dell’ufficio è fondata.
Nel caso in esame il pvc inerente la verifica fiscale è stato consegnato alla Sig.ra (…), in data 28 ottobre 2016.
In tale assetto, deve ritenersi pienamente assolto l’obbligo di motivazione degli atti impositivi.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, “L’obbligo di allegazione all’avviso di accertamento degli atti in esso richiamati si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, consentendo la norma di assolvere all’obbligo di motivazione degli atti tributari anche per relationem, cioè mediante il riferimento a elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, ossia l’insieme di quelle parti dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato“. (Cass. civ. Sez. V Ord., 23 febbraio 2018, n. 4396).
1. La quarta questione concerne la prospettata erroneità della sentenza per aver ritenuto non applicabili le sanzioni.
L’Agenzia ha contestato la decisione di inapplicabilità delle sanzioni, atteso l’indirizzo costante della giurisprudenza della Suprema Corte, secondo il quale “l’art. 5, quinto comma, del d.lgs. n. 471 del 1997 configura l’illecito tributario senza richiedere il dolo specifico, e l’art. 5, primo comma del d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio di cui all’art. 3 della legge n. 689 del 1981, ritiene sufficiente, ai fini della punibilità, l’elemento psicologico della colpa, peraltro presunta a carico di colui che abbia consapevolmente e volontariamente posto in essere l’atto vietato“. (Cass. civ. Sez. V, 20-02-2009, n. 417).
1. L’eccezione dell’ufficio è fondata.
Nel caso di specie, è difficile sostenere che il comportamento assunto dalla contribuente non sia improntato quanto meno all’elemento soggettivo della colpa grave.
L’esito delle indagini della Guardia di Finanza, infatti, ha riconosciuto la sussistenza di comportamenti volti a realizzare frodi nel settore del commercio all’ingrosso di cellulari ed apparecchi Hi Tech.
Per tali vicende è stato aperto un procedimento penale e la Sig.ra (…) figura nel registro degli indagati.
1. All’esito della precedente ricostruzione della controversia, l’appello dell’ufficio deve essere accolto, restando assorbite le ulteriori eccezioni.
Stante l’opposta risoluzione della controversia nei due gradi di giudizio, il Collegio reputa opportuno disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
accoglie l’appello dell’Ufficio. Spese compensate.
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