COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 2420 sez. V depositata il 17 aprile 2019
Termini – Raddoppio – Reato – Ammissibilità – Ipotesi
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso in appello, l’Agenzia delle entrate, Direzione regionale del Lazio, ha chiesto l’integrale riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, Sez. 22, n. 13475/22/17, depositata il 31/5/2017.
A. S.p.A. in amministrazione straordinaria ha impugnato in primo grado l’avviso di accertamento n. (omissis), notificato in data 19/12/2014, ai fini Ires ed Irap per l’anno d’imposta 2005. Tale avviso era basato sugli esiti di indagini della Guardia di Finanza, con risvolti anche penalistici, ed in particolare sul recupero a tassazione, per incoerenza economica, con riguardo all’anno di imposta 2005, dei costi concernenti i c.d. “premi di efficacia”, relativi al rapporto fra l’allora neo costituita A. ed A., con accertamento di una minor perdita Ires ed un maggior valore della produzione netta ai fini Irap pari ad € 16.616.287,61, con conseguenti sanzioni ed interessi, in applicazione dell’art. 43, co. III, D.P.R. n. 600/73. La Società pregiudizialmente eccepiva la violazione del contraddittorio endoprocedimentale e contestava l’operatività del raddoppio dei termini per l’accertamento; nel merito lamentava la carenza di motivazione dell’atto e l’insufficienza del fondamento giuridico-fattuale dei recuperi a tassazione con particolare riferimento all’antieconomicità e al difetto di inerenza ravvisati dall’Agenzia nelle operazioni in questione.
L’Agenzia delle entrate, costituita, ha resistito al ricorso. La ricorrente ha depositato una memoria ad ulteriore supporto dello stesso.
La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso, ritenendo, in via pregiudiziale, non applicabile al caso di specie il regime del raddoppio dei termini per l’accertamento.
L’Agenzia appellante censura la sentenza, per aver erroneamente ritenuto che l’inesistenza di previsioni di reato in materia di Irap nel D.Lgs. n. 74/2000 impedisca l’applicazione con riferimento a tale imposta del termine di accertamento raddoppiato ex art. 43, co. III, D.P.R. n. 600/73, nonché per aver ritenuto inapplicabile, apoditticamente e ultrapetita, il predetto raddoppiamento del termine anche alla materia dell’Ires.
A. S.p.A., costituita, chiede il rigetto dell’appello, ritenendo fondata e correttamente motivata in parte qua la sentenza di primo grado, di cui invoca, tuttavia, la riforma, con appello incidentale nella parte in cui non ha ravvisato la violazione del principio del contraddittorio e non ha sancito l’inapplicabilità del raddoppiamento dei termini all’accertamento concernente l’Ires. Per il resto la Società ripropone i motivi del ricorso in primo grado rimasti assorbiti dalla sentenza gravata.
In udienza sono intervenute entrambe le parti. L’Agenzia ha rappresentato e documentato di aver annullato in autotutela l’accertamento nella parte riguardante l’Irap, per adeguarsi all’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello va respinto.
Premesso che a seguito dell’annullamento parziale in autotutela dell’avviso di accertamento per la parte relativa all’Irap, riferito e documentato in udienza dall’Agenzia delle entrate, la materia del contendere è limitata alla parte dell’atto concernente l’Ires, è dirimente osservare che il presupposto per l’operatività del raddoppiamento del termine per l’accertamento, ai sensi dell’art. 43, co. III, D.P.R. n. 600/1973 (nella formulazione applicabile ratione temporis), è che ricorra un caso di violazione che comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74. Secondo il giudice di legittimità, tale norma va interpretata nel senso che, per il raddoppiamento, occorre la presenza di seri indizi di reato, che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, senza, peraltro, che rilevino cause di non punibilità o di esclusione dell’antigiuridicità o del dolo il cui accertamento resta riservato all’autorità giudiziaria (cfr. Cass. n. 26037/2016, n. 22337/2018).
Nel caso di specie la società oggetto dell’accertamento nell’annualità di interesse ha chiuso l’esercizio in perdita e la perdita non è stata ribaltata neppure attraverso il recupero a tassazione dei costi di cui all’avviso di accertamento in questione: l’esito di questo recupero è stato, invero, una rettifica della perdita, in senso riduttivo della stessa, ma senza emersione di materia imponibile.
Posto che l’applicazione delle fattispecie di reato di cui al D.Lgs. n. 74/2000 astrattamente pertinenti al caso di specie (in cui non viene in discussione l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) è condizionata alla realizzazione di un’evasione di imposta (v. in particolare l’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000) e considerato, altresì, che, ai sensi dell’art. 1, lett. f), del medesimo D.Lgs. n. 74/2000, “non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili”, la fattispecie oggetto dell’attività accertativa in esame non presentava, su un piano oggettivo, estremi di rilevanza penale.
Il giudice tributario, come insegna la giurisprudenza di legittimità, richiamando quella costituzionale, deve tenere conto di questa situazione, nell’esercizio del suo potere di verifica sulla congrua applicazione, da parte dell’Amministrazione tributaria, del termine raddoppiato per l’accertamento: verifica tesa a riscontrare la sussistenza o meno dei presupposti dell’obbligo di denuncia, con una valutazione “ora per allora” della loro ricorrenza, per scongiurare un uso “pretestuoso e strumentale” da parte dell’Amministrazione del raddoppiamento del termine (v. Cassazione sopra richiamata, nonché Corte costituzionale, sent. n. 247/2011). In assenza, obiettiva, degli estremi dell’illiceità penale, l’accertamento in questione, riguardante l’annualità 2005, non poteva essere portato a compimento, come invece avvenuto, al di là dell’ordinario termine di decadenza e l’avviso impugnato, emesso dunque tardivamente, è viziato da nullità.
La peculiarità e complessità dei fatti oggetto dell’attività accertativa giustifica anche per questo giudizio di appello la compensazione fra le parti delle spese processuali, già disposta in primo grado.
P.Q.M.
a) respinge l’appello;
b) spese compensate.
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