COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 2429 sez. V depositata il 17 aprile 2019
Studi di settore – Natura – Presunzione semplice – Effetti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
S.C., titolare di una ditta individuale, codice (omissis), esercente “attività di installazione impianti elettrici in edifici o in altre opere di costruzione inclusa manutenzione e riparazione”, impugna, con atto notificato all’Agenzia delle Entrate, il 1° dicembre 2017, la sentenza della C.T.P. di Roma n. 10695/16/17, depositata il 2 maggio 2017, non notificata, che ha respinto, con condanna a 800 € di spese processuali, il suo ricorso avverso l’avviso di accertamento n. (omissis), notificato il (omissis)/2014.
Con tale atto impositivo l’Ufficio, ravvisata una divergenza tra i ricavi dichiarati per il 2009 e quelli – maggiori – risultanti dagli studi di settore di cui all’art. 62-bis del D.L. 1993, n. 331, convertito dalla L. 1993, n. 427, ha recuperato a tassazione maggiori ricavi per € 34.613,00 ed ha, conseguentemente, rideterminato le differenze dell’Irpef, Irap ed Iva per il 2009 in un totale di € 43.464,94, comprensivo di sanzioni ed interessi.
L’appellante censura la gravata sentenza di primo grado per grave vizio di motivazione e, in particolare, per non aver considerato che l’Ufficio non ha esaustivamente provato la concreta rispondenza dell’accertamento induttivo alla situazione concreta della società contribuente e, ancor prima, la sussistenza degli elementi di gravità precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c.
Osserva che non si può a tal fine reputare sufficiente, di per sé, il mero scostamento dagli studi di settore, tanto più che nella specie non ricorrevano le “gravi incongruenze” (tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore) richieste dall’art. 62-sexies del D.L. n. 331/93 per potersi procedere ad un accertamento induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/73, in presenza di una contabilità formalmente regolare.
E, ancora, denuncia che la sentenza di prime cure ha omesso di rilevare che nell’avviso di accertamento non sono stati sufficientemente esposti i motivi per cui l’amministrazione fiscale non ha reputato convincenti ed esaustivi tutti gli elementi corposamente dedotti dal contribuente in sede di contraddittorio preventivo.
Precisa che l’attività svolta riguarda al 60% interventi di manutenzione e soltanto al 40% realizzazione di nuovi impianti per conto di singoli privati e di aziende industriali e che la sua clientela è prevalentemente ubicata nel territorio della Provincia di Roma ed in quello regionale.
Asserisce che lo scostamento è stato pienamente giustificato dalla copiosa documentazione prodotta con riferimento: 1) al versamento dei contributi INPS, obbligatorio per legge; 2) all’assunzione di un prestito a testimonianza della negatività della congiuntura economica attraversata dall’azienda, in linea col generale contesto italiano; 3) alla stipula di una polizza assicurativa per € 2.395. Ribadisce che la intestazione di più autoveicoli è resa necessaria dalle esigenze di trasporto di materiali ed attrezzature per ragioni lavorative connesse alla attività aziendale.
Ciò posto, conclude chiedendo la riforma dell’appellata sentenza, con annullamento dell’avviso di accertamento e con vittoria di spese.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita, ribadendo che nell’avviso si è tenuto conto di tutti i rilievi addotti dalla società in sede di contraddittorio, svolto in modo regolare preventivamente alla emanazione dell’atto impositivo, ma essi non sono risultati sufficienti ad una revisione dell’accertato.
L’Ufficio ha concluso chiedendo la reiezione dell’appello, con condanna alla refusione delle spese di lite, come da separata nota.
All’odierna pubblica udienza, presenti le parti, la causa è stata discussa e decisa, all’esito della camera di consiglio, come da sottostante dispositivo.
MOTIVI DI DIRITTO
Nella specie si controverte in merito alla legittimità di un avviso di accertamento relativo a maggior reddito determinato a fini Irpef, Irap ed Iva per l’anno 2009, in seguito al rilevato scostamento di quanto dichiarato nel Modello UNICO 2010 rispetto al minimo per il C. di riferimento indicato nello studio di settore (omissis) (C. n. (omissis) relativo ad “Imprese specializzate in installazione di impianti”).
Per potersi procedere ad un accertamento induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/73, in presenza di una contabilità aziendale formalmente regolare, ma sostanzialmente inattendibile, l’art. 62-sexies, comma 3, del D.L. n. 331/93, convertito dalla L. 1993 n. 427, richiedeva “gravi incongruenze” (tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta individuabili secondo gli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del D.L. n. 331/93) che attestassero tale inattendibilità.
Con l’art. 1, comma 23, della L. n. 296/2006 (“finanziaria 2007”) si è modificato l’art. 10, comma 1, della L. n. 146 del 1998, reputandosi sufficiente, a decorrere dal 1° gennaio 2007, il mero scostamento, ancorché non di rilevante entità, da quanto dichiarato dagli Studi di settore.
In punto di diritto, la collocazione degli Studi di settore nell’ambito dell’accertamento analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), del DPR n. 600/1973, che richiede presunzioni gravi, precise e concordanti, ha portato la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria ad affermare che la rilevazione del mero scostamento dagli studi di settore ha natura di presunzione semplice, non sufficiente ai fini della rideterminazione del maggior reddito imponibile, a meno che l’Ufficio non dimostri, a monte, la sussistenza degli elementi di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c.
La stessa Agenzia delle Entrate, che inizialmente aveva sostenuto la valenza di presunzione legale degli Studi di settore, con la circolare n. (omissis) del 2008, ha poi ammesso la loro valenza di “presunzione semplice” ed ha affermato che, pertanto, occorre verificare, di volta in volta, “l’idoneità dello studio a cogliere l’effettiva situazione produttiva del contribuente”.
La natura di presunzione semplice degli studi di settore è stata, indi, definitivamente confermata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. SS.UU., sent. nn. 26635/2009, 26636/2009, 26637/2009, 26638/2009), che ha individuato in essi un autonomo metodo di accertamento, chiarendo che “tale sistema affianca la (e non si colloca all’interno della) procedura di accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in quanto quest’ultima è indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, né validamente prova contro, e la cui irregolarità, per i contribuenti in contabilità ordinaria, costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata.
Si tratta, inoltre, di un sistema, che diversamente da quello di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, trova il suo punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa)”.
L’art. 32, comma 1, n. 2 pone, poi, a carico del contribuente – che voglia confutare gli accertamenti operati in rettifica dall’amministrazione fiscale – l’onere di fornire prova contraria, producendo tutti i dati e gli elementi atti a sovvertire la presunzione relativa o iuris tantum applicata dall’Ufficio.
In caso di condotta aziendale antieconomica per rilevante discrepanza dai parametri determinati in base agli studi di settore, l’Ufficio può dunque effettuare un accertamento analitico-induttivo, purché non basato su meri atti, ma emanato previa instaurazione di un adeguato contraddittorio col contribuente, che consenta a quest’ultimo di potersi difendere ex art. 12 Statuto, salvaguardando il principio del giusto procedimento.
L’istruttoria, da instaurarsi preventivamente mediante l’invio dell’invito a comparire, è, dunque, indispensabile perché l’Amministrazione valuti, in contraddittorio col contribuente, la sussistenza e la consistenza di eventuali cause giustificative dello scostamento dagli studi di settore, dando anche la concreta possibilità di addivenire ad un procedimento di accertamento per adesione. L’Ufficio è, perciò, tenuto ad invitare l’interessato, nel rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, a fornire, in contraddittorio, i propri chiarimenti (trattandosi di requisito di legittimità del provvedimento) ed è poi anche obbligato a motivare congruamente l’avviso con riferimento agli esiti dell’invito a dedurre ed alle ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a considerare le argomentazioni fornite dalla parte totalmente o parzialmente non idonee a dimostrare l’economicità delle operazioni contestate.
L’applicazione dell’art. 62 sexies del D.L. n. 331 del 1993 presuppone, infatti, la previa rituale emanazione dell’invito a dedurre, in conformità all’art. 10, comma 3-bis della L. n. 146 del 1998, con salvaguardia del diritto di difesa della parte contribuente ex art. 12 Statuto (L. n. 212/00), anche al fine dell’eventuale definizione dell’accertamento con adesione ai sensi dell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997.
Questa C.T.R. ritiene pertanto, in conformità al prevalente orientamento di legittimità, che la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore atta a supportare la pretesa impositiva, costituisca un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non possa ricollegarsi al mero superamento degli standards astratti, ma debba preliminarmente discendere all’esito dell’espletamento della fase endoprocedimentale del contraddittorio con il contribuente, da attivarsi obbligatoriamente a pena di nullità dell’accertamento emanato senza previo invito a dedurre.
Nel caso in esame, l’avviso di accertamento gravato, che ha rideterminato le differenze dovute per Ires, Irap ed Iva per l’anno di imposta 2009 sulla scorta del rilevato scostamento per € 34.613,00 tra i ricavi dichiarati dalla parte contribuente ed i maggiori ricavi derivanti dall’applicazione degli studi di settore, è stato ritualmente emanato previo invio dell’invito a comparire n. (omissis), notificato il (omissis)/2014, per cui il contraddittorio è stato correttamente istaurato. Com’è noto, l’amministrazione fiscale, in ossequio al principio del giusto procedimento, è poi tenuta a motivare l’avviso con riferimento agli esiti dell’invito a dedurre, evidenziando le ragioni che l’hanno indotta a non considerare esaustive le argomentazioni fornite dalla parte a giustificazione del rilevato scostamento (Cass. sent. n. 27822/2013).
Nella specie, pur essendo stato correttamente instaurato il tale contraddittorio risulta ciò non basta, tuttavia, a far ritenere legittimo l’avviso in questione. Esso è, infatti, gravemente lacunoso sotto il profilo della motivazione, poiché non ha specificamente contestato – come avrebbe dovuto – tutti i rilevanti elementi addotti dal contribuente (con puntuale riferimento a tutte le sue difficoltà personali e lavorative) sia nelle memorie difensive depositate in sede amministrativa, sia nel ricorso.
Inoltre, pur rilevando che il contribuente ha errato nel rigo RG X ed RG X della dichiarazione, ha precisato che “Tale errore non ha inficiato il calcolo del reddito di impresa ma ha impedito la corretta elaborazione dello studio di settore che riportava un risultato di congruità” ed ha proceduto a ritenere lo scostamento dagli Studi rilevante per una serie di elementi che, in realtà, assumono, a parere di questa CTR, una valenza probatoria contraria.
Il fatto che l’impresa individuale abbia dovuto ricorrere, nel periodo di riferimento ad un finanziamento di € 41.316,00, come da documentazione in atti, lungi dall’attestarne una maggior capacità reddituale, ne evidenzia la crisi di liquidità. E del tutto irrilevante risulta, ai fini della precisione gravità e concordanza dell’accertamento, il fatto che l’Ufficio faccia riferimento all’avvenuto pagamento dei contributi INPS ai dipendenti (obbligatorio per legge) o al possesso di più di un autoveicolo, trattandosi di autocarri necessari per l’espletamento dell’attività, la quale peraltro risulta effettuato a livello provinciale, essendo il domicilio fiscale del contribuente ubicato non in Roma ma in Albano Laziale ed anche considerata l’esiguità della superficie dei locali aziendali (Mq 54). Né in senso contrario giova all’Agenzia invocare la sentenza a sé favorevole della CTR di Roma n. 223/3/2017, non passata in giudicato, pendendo giudizio di Cassazione, trattandosi di decisione sostanzialmente carente di motivazione.
Ne discende l’integrale accoglimento dell’appello e la riforma della sentenza di primo grado. Le spese processuali del presente grado seguono la soccombenza, nella misura indicata in dispositivo, in applicazione dell’art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992.
P.Q.M.
a) in riforma della sentenza impugnata, annulla l’atto oggetto del ricorso in primo grado;
b) condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso, in favore dell’appellante, delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, che si liquidano con riferimento a ciascuno dei due gradi, in € 2.500,00.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.
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