COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 2467 sez. III depositata il 18 aprile 2019
Redditi di impresa – Scritture regolari – Contabilità inattendibile – Accertamento analitico-induttivo – Ammissibilità
1. M.L. propone appello notificato in data 12 settembre 2018 alla Direzione Provinciale di Viterbo e depositato in data 9 ottobre per la riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Viterbo n. 147.03.18 pubblicata il 12 marzo 2018.
2. La decisione impugnata ha rigettato il ricorso del contribuente, esercente attività di bar altri esercizi simili senza cucina (cod. art. 56.30.00) nonché attività accessorie e/o complementari all’attività principale quali la vendita di generi soggetti ad aggio o ricavo fisso e la gestione di apparecchi di intrattenimento, avverso l’avviso di accertamento n. (omissis), con il quale l’Ufficio aveva rettificato il reddito d’impresa dichiarato per l’anno 2011 accertando un maggior reddito per euro 11.782,53 ex art. 39, comma 1, lett. d) del dpr n. 600/73.
2.1. I primi giudici hanno ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio per omessa contabilizzazione di ricavi, atteso il comportamento antieconomico rilevato dall’Amministrazione e non validamente confutato da parte contribuente.
3. Parte contribuente sostiene, con l’appello, il difetto di motivazione della sentenza e la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lettera d) del dpr 600/73.
Ritiene arbitraria la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio senza utilizzare né il calcolo matematico semplice né la media ponderata.
Chiede l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese e la discussione in pubblica udienza.
4. Si costituisce la Direzione Provinciale di Viterbo appellata che contesta, con le proprie controdeduzioni, le argomentazioni dell’appellante.
Ritiene debitamente motivata la sentenza impugnata.
Sostiene la legittimità dell’operato dell’Ufficio atteso che l’avviso di accertamento contestato, ha come presupposto il dato contabile oggettivo (in quanto dichiarato dal contribuente) rappresentato dalla notevole bassa percentuale di ricarico rispetto a quella che si riscontra nel settore commerciale di appartenenza, elemento che, rappresentando un comportamento economico anomalo, di per sé, in assenza di comprovate ed adeguate giustificazioni del contribuente, costituisce una presunzione grave, tale da consentire a buon diritto il ricorso all’accertamento analitico-induttivo.
Chiede il rigetto dell’appello con vittoria delle spese.
5. Con successiva memoria parte contribuente ribadisce quanto già dedotto.
All’udienza odierna sono presenti le parti.
6. L’appello è privo di pregio.
6.1. Il Collegio osserva in ordine all’eccezione di difetto di motivazione della sentenza impugnata che in forza del generale rinvio materiale alle norme del c.p.c. compatibili contenuto nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, è applicabile al rito tributario, così come disciplinato dal citato decreto, il principio desumibile dalle norme di cui agli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (come novellati entrambi dalla l. n. 69 del 2009), secondo il quale la mancata esposizione dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione delle ragioni giuridiche della decisione, determinano la nullità della sentenza soltanto ove rendano impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo. La motivazione della sentenza impugnata ha un thema/una ratio decidendi chiaramente intellegibili, sicché non se ne può affermare la nullità, come statuito dal richiamato principio di diritto.
La decisione impugnata contiene la chiara esposizione dei motivi di rigetto dei motivi di ricorso è adeguatamente motivata e del tutto aderente alle risultanze processuali.
Sul punto pertanto va rigettato l’appello di parte contribuente.
6.2. In tema di accertamento dei redditi di impresa, l’Ufficio può procedere a quello analitico-induttivo, ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, anche in presenza di scritture formalmente regolari, ove la contabilità risulti complessivamente inattendibile sulla base di elementi indiziari gravi e precisi, come il sensibile scostamento delle percentuali di ricarico anche in relazione allo stesso periodo di imposta oggetto dell’accertamento.
L’inadeguatezza dei ricavi dichiarati, già evidente e chiara dalla inattendibile percentuale di ricarico emergente dai dati contabili, è poi stata confermata dalla ricostruzione eseguita in sede istruttoria dall’Ufficio con riferimento ai ricavi della vendita di caffè/cappuccini e decaffeinati.
Nella specie, sussiste tale difformità nella percentuale di ricarico applicata dal contribuente e quella mediamente riscontrata nel settore e l’abnormità della difformità è tale da privare la contabilità del requisito dell’attendibilità.
Il Collegio rileva che i dati contabili dichiarati dal contribuente relativi alla attività principale di bar fanno emergere una percentuale di ricarico pari al 72,86%. Tale percentuale di ricarico è risultata poco attendibile e tale da far presumere, per l’esercizio specifico del bar, l’esistenza di attività non dichiarate, in quanto nettamente al di sotto del ricarico minimo del settore commerciale di appartenenza (individuato dallo studio di settore relativo alla attività di bar (omissis) in misura pari al 113%); nettamente inferiore al ricarico medio praticato dagli altri due bar presenti a (omissis) (percentuale media 112%).
L’accertamento de quo è legittimo trattandosi di gravi incongruenze tra i redditi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta dal contribuente.
La Commissione ritiene di ravvisare tali requisiti nei fatti e nelle circostanze posti a base dell’avversato accertamento; invero, tutti gli elementi richiamati dall’Ufficio ad avvalorare la legittimità, del proprio operato presentano requisiti minimi di sicurezza che conferiscano al contesto dei fatti una loro univoca lettura, dimostrano così la loro idoneità ad integrare quelle presunzioni la cui valida sussistenza è tassativamente richiesta dalla norma per poter disattendere le risultanze di una regolare contabilità e legittimano l’Ufficio alla rideterminazione dei ricavi e del reddito fondatamente attribuibili sulla base delle caratteristiche dell’attività esercitata.
Rileva che la stessa Cassazione è intervenuta ad affermare la legittimità dell’accertamento in presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico, evidenziando come, in presenza di circostanze non altrimenti comprensibili e razionalmente spiegabili, quali appunto un comportamento antieconomico o l’incongruità del risultato d’esercizio, non spetti all’Amministrazione finanziaria ma al contribuente dimostrare le ragioni di tale incongruenza, rilevatrice della presenza di un maggior imponibile.
Nella fattispecie il Collegio prende atto della mancata allegazione di sufficienti elementi di prova da parte del contribuente.
Va pertanto per le considerazioni espresse rigettato l’appello del contribuente.
Ogni altra questione di merito resta assorbita dalle conclusioni suddette.
7. Alla reiezione dell’appello segue la condanna alle spese, secondo la regola della soccombenza.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di Roma, Sezione n. 3, respinge l’appello del contribuente e condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in € 2.000,00, oltre accessori di legge.
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