COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 2472 sez. II depositata il 18 aprile 2019
Imposte – Dipendenti INPS – Rimborso maggiore imposta IRPEF e addizionali pensione integrativa – Normativa applicabile – D.lgs. 252 del 2005 – Sussistenza
Fatto
A.G., A.P. e M.P. impugnavano il silenzio rifiuto relativo alla loro richiesta di rimborso della maggiore imposta per IRPEF e relative addizionali sulla pensione integrativa erogata dal Fondo integrativo per il personale con rapporto di impiego INPS.
A tal fine esponevano:
– di essere ex dipendenti INPS (ex gestione INPDAP), titolari di pensione integrativa erogata dall’apposito fondo;
– che la predetta pensione viene cumulata con il trattamento pensionistico ordinario e sottoposta a tassazione in ragione dell’87,50%;
– che per contro tale trattamento integrativo dovrebbe essere tassato separatamente sulla base dei criteri di cui all’art. 11, n. 6 d.lgs. 252/2005.
Costituitasi in giudizio l’Agenzia delle Entrate eccepiva la decadenza delle richieste relativamente alle ritenute subite antecedentemente ai quattro anni precedenti la presentazione dell’istanza di rimborso, ai sensi dell’art. 38, co. 2, DPR 602/73. Nel merito sosteneva l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 11 d.lgs. 252/2005, in considerazione della previsione di cui all’art. 23, co. 6, d.lgs. n. 252 del 2005.
La CTP ha accolto il ricorso con sentenza n. 11724 del 2017.
Così motiva la decisione: «Deve preliminarmente essere accolta l’eccezione di decadenza relativamente alle richieste afferenti le ritenute operate in epoca antecedente al quadriennio dalla domanda, in ciò dovendosi considerare il disposto di cui all’art. 38, co. 2, del D.P.R. 602/1973 a mente del quale: “Il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all’intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede il concessionario presso la quale è stato eseguito il versamento, istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”, nonché la portata generale di detta disposizione, riferibile a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16617, del 07/08/2015) ed essendo pacifico che la ricorrente presentò istanza di rimborso solo in data 18112/2013. Nel merito l’art. 11, comma 6 del d.lgs. n. 252/2005 prevede che: “Le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta. Le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli di cui alla lettera g-quinquies) del comma 1 dell’articolo 44 del TUIR, e successive modificazioni, se determinabili. Sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche comunque erogate è operata una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. Nel caso di prestazioni erogate in forma di capitale la ritenuta di cui al periodo precedente è applicata dalla forma pensionistica a cui risulta iscritto il lavoratore; nel caso di prestazioni erogate in forma di rendita tale ritenuta è applicata dai soggetti eroganti. La forma pensionistica complementare comunica ai soggetti che erogano le rendite i dati in suo possesso necessari per il calcolo della parte delle prestazioni corrispondente ai redditi già assoggettali ad imposta se determinabili”. La più recente giurisprudenza riconosce il diritto all’applicazione sul totale della prestazione pensionistica integrativa corrisposta dall’Istituto previdenziale, dell’aliquota agevolata Irpef pari al 15% ridotta di una quota corrispondente a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari in quanto l’assegno di quiescenza integrativo rientra senza dubbio nell’ambito di applicazione dell’art. 11, co. 6, del D.lgs. 252/2005. Al riguardo, il trattamento fiscale agevolato è previsto dalla normativa in parola per ogni pensione complementare erogata, non avendo alcun rilievo né la modalità con cui la stessa è corrisposta, né la fisionomia del soggetto erogante, pubblico o privato (ex multis CTR Lazio sentenze nn. 6686/VI/16 dell’8/11/2016 e 9725/VI/16 del 29/12/16 e CTP Roma nn. 14733/2016, 22565/16, 26452/16, 28726/16, 29561/16). La normativa agevolativa, pertanto, in relazione ad una esegesi costituzionalmente orientata, si applica indistintamente a tutti i lavoratori iscritti alle gestioni inerenti alle pensioni complementari integrative, a tenore dell’art. 23, co. 5, della prefata fonte primaria, il quale pone solo due limiti: a) l’iscrizione del soggetto alla previdenza complementare alla data di entrata in vigore del suddetto Decreto Legislativo; b) l’operare della disciplina transitoria a partire dal 1/1/2007. Condizioni entrambe sussistenti nella presente fattispecie.
Il diniego dell’ufficio appare quindi illegittimo e, di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate resistente dovrà provvedere tempestivamente al ricalcolo analitico di quanto dovuto ai ricorrenti, in applicazione dell’aliquota agevolata di cui sopra sulle pensioni integrative in godimento. Sulle somme liquidate dovranno, infine, essere computati gli interessi nella misura di cui all’art. 44 del D.P.R. 602/1973 cit. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Accoglie il ricorso come in motivazione. Condanna la resistente alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dai ricorrenti, liquidate nella misura di € 1.000,00, da distrarsi in favore degli avv.ti E.P. e P.P., dichiaratisi antistatari».
Contro tale decisione propone appello parziale l’Agenzia delle Entrate, in relazione a tutti i capi della pronuncia di primo grado ad eccezione del primo, dedicato all’esame e al successivo accoglimento dell’eccezione di decadenza sollevata dall’Amministrazione, con le argomentazioni di seguito illustrate.
In via preliminare eccepisce il difetto di procura alle liti del P. nel ricorso introduttivo. In via principale sostiene nel merito la inapplicabilità della disciplina recata dal d.lgs. n. 252 del 2005 alle prestazioni pensionistiche erogate ai ricorrenti.
Conclude chiedendo l’integrale riforma della sentenza impugnata, con vittoria di spese ed onorari di giudizio.
I ricorrenti non si sono costituiti in giudizio.
Questa Commissione ha preliminarmente verificato la regolarità della notifica, avvenuta per tutti tramite posta elettronica certificata ai rispettivi indirizzi dei due difensori avv. P.P. ed E.P. in data 5 dicembre 2017, con successiva iscrizione a ruolo dell’appello avvenuta in data 14 dicembre 2017.
Diritto
Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto da P.A., in quanto risulta anche la sottoscrizione di questi in calce alla procura conferita ed allegata al ricorso.
Passando al merito, viene in rilievo in questa sede di appello la questione concernente la tassazione delle prestazioni a titolo di pensione complementare erogate ai ricorrenti dal cessato Fondo integrativo per i dipendenti INPS, nella parte accolta dalla decisione impugnata, e cioè per la parte non preclusa dalla decadenza prevista dall’art. 38, co. 2, del D.P.R. 602/1973.
Secondo l’assunto dei ricorrenti, condiviso dai giudici di prime cure, troverebbe applicazione l’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 252/2005 e di conseguenza la tassazione delle prestazioni loro erogate con ritenuta a titolo d’imposta, compresa tra il 9% e il 15%, anziché l’applicazione del regime di tassazione ordinaria nella misura dell’87,50% dell’ammontare percepito, ai sensi del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124.
A tale assunto si oppone l’Agenzia delle Entrate sulla scorta di due argomenti.
Innanzi tutto, osserva che la disciplina fiscale introdotta dal d.lgs. n. 252 del 2005 troverebbe applicazione alle prestazioni corrispondenti ai montanti maturati a decorrere dal 10 gennaio 2007, mentre, per le prestazioni corrispondenti ai montanti maturati prima della predetta data (come sarebbe il caso dei ricorrenti, essendo le contribuzioni cessate nel 1999), continuerebbero a trovare applicazione le disposizioni previgenti.
Inoltre, sostiene che la disciplina di cui all’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005 non potrebbe, in ogni caso, trovare applicazione per gli ex dipendenti dell’INPS in quanto, per espressa previsione dell’art. 23, comma 6, del medesimo decreto legislativo, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2016, fino all’attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 2, lettera p), della legge n. 243 del 2004 (ad oggi non intervenuta) continuerebbe ad applicarsi «esclusivamente ed integralmente la previgente normativa».
L’appello dell’Agenzia delle Entrate deve essere accolto per le ragioni che di seguito si vengono ad esporre.
La questione, da tempo controversa, deve registrare la sopravvenienza dell’art. 1, comma 156, della l. n. 205 del 2017 (legge di bilancio per il 2018) secondo il quale «A decorrere dal 1° gennaio 2018, ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applicano le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252. Per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, alla data di entrata in vigore della presente legge, risultano iscritti a forme pensionistiche complementari, le disposizioni concernenti la deducibilità dei contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, sono applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2018. Per i medesimi soggetti, relativamente ai montanti delle prestazioni accumulate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti».
Tale disposizione ha chiaramente ricondotto al 1° gennaio del corrente anno l’applicazione del «regime di tassazione delle prestazioni di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252», escludendo quindi ogni possibilità di continuare a far applicazione, per il passato, di tale diverso regime, come invece invocato dai ricorrenti.
Poiché anche l’INPS rientra tra le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, richiamate anche dal citato comma 156, in quanto ente pubblico non economico, anche alle pensioni dei ricorrenti si applica la disciplina concernente i suddetti pubblici dipendenti.
Da tanto consegue la riforma della decisione impugnata n. 11724 del 2017 ed il rigetto dei ricorsi proposti da A.G., A.P. e M.P..
La controvertibilità della questione riscontrabile in decisioni di segno diverso, unitamente alla decisiva sopravvenienza normativa giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Accoglie l’appello dell’Ufficio. Spese compensate.
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