COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 2793 sez. I depositata il 9 maggio 2019

Cessione attività – Richiesta il rimborso – Termine di prescrizione decennale

IN FATTO E IN DIRITTO

1. A.P. formulava istanza di rimborso alla competente Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 38 bis del dpr 633/1972, relativamente al credito di imposta IVA per l’anno 2009; in assenza di riscontro alla richiesta, il contribuente impugnava con ricorso davanti alla CTP di Roma il silenzio-rifiuto dell’amministrazione finanziaria.

Si costituiva con controdeduzioni l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale Roma 2 – chiedendo il rigetto del ricorso.

Con sentenza numero 20489 del 21.9.2017 la CTP di Roma (sezione 28) rigettava il ricorso, sul motivo che il contribuente non aveva compilato a suo tempo il quadro VR della relativa dichiarazione fiscale, donde l’intervenuta decadenza dal diritto al rimborso ai sensi dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. 546/1992 che limita al biennio la domanda di restituzione.

2. Con atto depositato telematicamente in data 18 aprile 2018, l’A. propone appello avverso la sentenza sopra indicata.

Nell’atto di appello sostiene che il rimborso dell’IVA nel caso – corrispondente alla fattispecie – di cessazione dell’attività, ai sensi dell’art. 30, comma 2, del dpr 653/1972, è soggetto al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale (ritenuto nella sentenza di primo grado), applicabile in via sussidiaria e residuale ovvero solo in mancanza di una disposizione specifica.

Evidenziato che relativamente ai crediti vantati per le annualità successive al 2011 il rimborso in parola non transita più attraverso la presentazione del modello VR, in quanto soppresso, per i crediti – come quello in oggetto – anteriori a tale annualità l’appellante richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui l’eccedenza di imposta, risultata dalla cessazione dell’attività, essendo regolata dal sopracitato art. 30 comma, è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale.

L’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale Roma 2 si è costituita in appello con controdeduzioni, nelle quali, premettendo la facoltà dell’Amministrazione Finanziaria (per come riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità) di formulare eccezioni alla richiesta di rimborso anche oltre il termine di decadenza dell’azione di controllo, si oppone alla pretesa avversa sostenendo che il contribuente non ha assolto all’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa.

La causa è stata discussa in pubblica udienza, essendovi stata formale e tempestiva richiesta da parte appellante; le parti presenti hanno concluso come da verbale.

3. L’appello è fondato

Ed invero, la Corte di Cassazione ha affermato che «In tema di IVA, la domanda di rimborso relativa all’eccedenza di imposta risultata alla cessazione dell’attività di impresa è regolata dall’art. 30, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con la conseguenza che è esaustiva la manifestazione di una volontà diretta all’ottenimento del rimborso, ancorché non accompagnata dalla presentazione del modello ministeriale “VR”, che costituiste, ai sensi dell’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, solo un presupposto per l’esigibilità del credito, ed è soggetta al termine ordinario di prescrittone decennale, e non a quello di decadenza biennale, ex art. 21, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, applicabile solo in via sussidiaria e residuale» (Sez. 5, Sentenza n. 9941 del 15/05/2015, Rv. 635471); e che «In tema d’IVA, ai fini del rimborso dell’eccedenza d’imposta, è sufficiente che il contribuente manifesti la propria volontà di esercitare il relativo diritto mediante l’esposizione del credito di imposta nella dichiarazione annuale che, da tale momento, è anche esigibile, in quanto l’eventuale presentazione del modello “VR” ha la sola funzione di sollecitare l’attività di verifica dell’Amministrazione in ordine alla correttezza dei dati riportati nella dichiarazione e di rendere possibile l’avvio del relativo procedimento di esecuzione» (Sez. 5, Sentenza n. 17151 del 28/06/2018, Rv. 649400).

Peraltro, se è vero che «in tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad exepiendum» (Sez. U., Sentenza n. 5069 del 15/03/2016, Rv. 639014), nel caso specifico trattasi in primo luogo di questione nuova, devoluta per la prima volta in appello e dunque inammissibile; secondariamente, in ogni caso il fatto costitutivo del diritto al rimborso e nella fattispecie costituito da una circostanza storica – la cessazione dell’attività – la cui dimostrazione è autonomamente verificabile dall’Amministrazione, tanto sulla base della mancata presentazione successiva delle dichiarazioni quanto in forza di semplice accesso alla documentazione pubblica; trattasi in altri termini di circostanza di fatto che non necessita di uno specifico onere probatorio da parte del contribuente, potendo essere anche solo dedotta e allegata.

5. All’accoglimento dell’appello consegue la dichiarazione di illegittimità del silenzio-rifiuto frapposto, nella fattispecie, dall’amministrazione finanziaria; l’alternanza delle vicende processuali giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Accoglie l’appello e compensa le spese.