COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 302 sez. X depositata il 28 gennaio 2019
Fatture per operazioni inesistenti – Mancato pagamento somma portata in fattura – Complesso meccanismo di frode fiscale – Cooperative operative – Detrazione – Non sussiste
FATTO E DIRITTO
Con ricorso in data 7.6.2017, la società cooperativa P. a r.l. ha proposto appello avverso la sentenza n. 27056/2016 emessa dalla commissione tributaria provinciale di Roma che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dalla società avverso l’avviso di accertamento n. (omissis) notificato il 9 dicembre 2013, avente origine nel processo verbale di constatazione del 21 novembre 2012, contenente l’accertamento induttivo di maggiori imposte dovute, in particolare Iva per euro 48.990,00, Irap per euro 11.236,00, IRES per euro 67.361,00 relativamente all’anno d’imposta 2009.
A fondamento del gravame l’appellante ha dedotto l’erroneità della decisione dei giudici di primo grado in ordine all’eccezione di mancata notifica ed allegazione del p.v.c. richiamato nell’avviso di accertamento; ha poi dedotto la violazione del principio del contraddittorio e del giusto procedimento, nonché la contraddittorietà della decisione per avere ritenuto fondato il recupero concernente l’indetraibilità dell’IVA riguardante la fattura il 6668/2009, nonostante l’inerenza del costo ai fini delle II.DD.; ha infine osservato che i giudici di prime cure non avevano fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalla Suprema Corte in materia di inerenza di costi normalmente necessari e strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa, nonché la violazione dell’art. 54 e 19 D.P.R. n. 633/72.
Ha concluso, pertanto, per la riforma della sentenza impugnata.
Instaurato il contraddittorio tra le parti, si è costituita in giudizio l’agenzia delle entrate, direzione provinciale Roma I, replicando ai motivi d’impugnazione proposti dalla società, concludendo quindi per il rigetto dell’appello.
L’appello è infondato e deve quindi essere respinto.
Il primo motivo di doglianza è relativo all’omessa notifica del processo verbale di constatazione che ha dato origine all’avviso di accertamento oggi impugnato: l’appellante infatti si duole del fatto che il predetto avviso non sia stato notificato al legale rappresentante della società bensì ad un incaricato dell’amministratore di fatto; deduce altresì la circostanza che il processo verbale di constatazione non sia stato allegato all’avviso di accertamento, evidenziando che tale ultimo atto richiamava integralmente i fatti così come esposti nel processo verbale di constatazione. Sul punto, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile con ordinanza 3 ottobre 2018, n. 24038 ha da ultimo ribadito che: “l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa” (Cass. n. 21564 del 2013; nello stesso senso Cass. n. 15348 del 2016; Cass. n. 20211 del 2013; Cass. n. 04516 del 2012);
– secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il requisito motivazionale dell’avviso di accertamento esige, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42 l’indicazione delle norme in tesi violate e dei fatti che integrerebbero la relativa inosservanza, mentre non è necessaria la formulazione delle argomentazioni giuridiche a sostegno dell’atto, né la valutazione critica degli elementi acquisiti restando la relativa problematica influente nel giudizio d’impugnazione dell’atto, al diverso fine dell’indagine sul fondamento della pretesa impositiva (Cass. 17/12/2001, n. 15914; v. anche, ex multis, Cass. 11/11/2011, n. 23615; Cass. 21/11/2001, n. 14700);
– secondo indirizzo altrettanto consolidato, l’onere dell’Ufficio, in tali limiti inteso, di mettere in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza che sia stato notificato o consegnato al contribuente; né un tale rinvio può considerarsi illegittimo, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. e plurimis Cass. n. 28061 del 2017; Cass. 13/10/2011, n. 21119; Cass. 10/02/2010, n. 2907);
– inoltre, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, la L. n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione. Parimenti il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, comma 2, ultima parte, stabilisce che solo se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (Cass. n. 28713 del 2017; n. 18073 del 2008; n. 407 del 2015)”.
Applicando detti principi al caso di specie, osserva il Collegio che l’avviso di accertamento oggetto di giudizio ha riportato il contenuto essenziale del processo verbale di constatazione notificato all’amministratore di fatto della società appellante, sintetizzando l’oggetto e l’esito degli accertamenti compiuti dall’agenzia delle entrate nell’anno 2012 per il tramite di un’attività di indagine coordinata dall’ufficio centrale antifrode.
In particolare, le emergenze probatorie hanno consentito di ricostruire una frode, rilevante ai fini Irap e Iva. Le attività di controllo hanno interessato molteplici società costituite perlopiù nella forma di consorzi, società consortili e cooperative di produzione e lavoro che, sulla base delle indagini svolte, sono risultate coinvolte in una rilevante frode fiscale organizzata beneficio della famiglia P. In particolare, l’attività di controllo espletata dai verificatori ha fatto emergere che negli anni 2007-2011 sono state coinvolte nel meccanismo di frode numerose cooperative di produzione e lavoro prive di mezzi propri, formalmente amministrate da soggetti “ricorrenti”, con cariche di breve durata, che fatturavano i servizi prestati dai propri soci lavoratori ad alcune “società filtro”, le quali a loro volta fatturavano i medesimi servizi alle società consortili Gruppo Servizi Generali SCARL e Gruppo Servizi Globali SCARL, società operanti nei settori della movimentazione merci, manutenzione, pulizie, traslochi e trasporti. In tale sistema le cooperative “operative” emettevano fattura per le prestazioni svolte dai loro soci lavoratori.
Le stesse cooperative sostenevano sostanzialmente il solo costo relativo alla manodopera, il quale rappresentava per le stesse un costo escluso dal campo di applicazione dell’Iva, che quindi non poteva generare Iva a credito. Le indagini condotte hanno fatto emergere da parte delle cooperative consorziate l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, emesse da società cartiere; l’indicazione nel libro Iva di acquisti di imponibili fittizi in quanto non supportati da alcuna documentazione contabile o extracontabile. Tali acquisti, confluiti nelle dichiarazioni Iva, hanno poi consentito l’artificiosa esposizione di crediti Iva utilizzati per utilizzare la posizione a debito scaturente dalle operazioni attive e/o per compensare, con F 24 a zero, altri debiti erariali, contributivi e assicurativi. Inoltre il sistema creato ha dato la possibilità di creare fondi neri attraverso prelevamenti in contanti (o emissione di assegni intestati a me medesimo) dai conti correnti delle cooperative; tali somme di denaro coincidevano con l’iva pagata dai clienti finali alle società consortili riversata poi, attraverso le società filtro, alle società cooperative; queste ultime, grazie agli artifici contabili posti in essere per azzerare i debiti d’imposta, non effettuavano i dovuti versamenti e si trovavano pertanto a godere di un bacino di liquidità. E’ stato poi evidenziato che gli unici clienti delle cooperative erano le società di livello superiore presenti nella catena di fatturazione delle società collegate alla famiglia P.; tali circostanze hanno trovato conferma anche dalle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria penale dal Sig. M.P. (l’amministratore di fatto della società odierna appellante, destinatario della notifica del processo verbale di constatazione) che ha confermato l’entità e la destinazione dei flussi finanziari, ricostruiti mediante le medesime indagini e documenti di natura extracontabile rinvenuti nel corso delle attività svolte.
Da tali elementi di fatto, desunti dall’avviso di accertamento in contestazione risulta chiaro che tale atto contiene gli elementi essenziali del processo verbale di constatazione e che, pertanto, il contribuente è stato posto in grado di poter approntare compiutamente le proprie difese.
Peraltro, quanto alla eccepita violazione del principio del contraddittorio e del giusto procedimento conseguente alla mancata notifica del processo verbale di constatazione al legale rappresentante della società (notificato, invece, all’amministratore di fatto P.M.) va ricordato che la Corte di Cassazione, con la sentenza resa a sezioni unite, n. 24823/2015 ha stabilito il seguente principio di diritto: “il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, la nullità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.
Applicando il suddetto principio nel caso di specie, va posto in luce che la società appellante, pur avendo la disponibilità del processo verbale di constatazione depositato in atti, non ha in alcun modo evidenziato le ulteriori e diverse ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato instaurato tempestivamente. Di conseguenza, anche tale motivo di impugnazione deve essere respinto.
L’appellante poi deduce la erroneità delle ragioni poste a base della sentenza per avere ritenuto fondato il recupero concernente l’indetraibilità dell’IVA in relazione alla fattura n. 6668/2009, nonostante l’inerenza del costo ai fini delle II.DD. Anche tale motivo è infondato. Invero l’ufficio ha abbandonato il rilievo relativo al recupero a tassazione della fattura di € 244.949,72 non perché esistente ed inerente, come sostiene la società, alla produzione del reddito d’impresa; ma perché, come indicato nella motivazione del provvedimento di autotutela parziale (omissis)/2014, l’importo di € 244.949.72 aveva già contribuito alla determinazione del reddito d’impresa nell’anno 2008 mediante l’utilizzazione in contropartita del conto “fatture da ricevere”. Quindi l’ufficio, pur ritenendo inesistente il costo, ha riconosciuto ai fini IRES l’illegittimità del recupero in quanto effettuato in violazione del principio della competenza economica, avendo la società dedotto l’elemento negativo nell’anno precedente quello oggetto di accertamento. E’ del tutto evidente come il motivo dell’annullamento di tale rilievo, se, come ritenuto dal giudice, poteva correttamente essere esteso all’IRAP, non poteva avere alcuna valenza ai fini IVA, dal momento che la detrazione dell’IVA esposta nella futura n. 6668 del 2009 era avvenuta appunto nella dichiarazione IVA presentata per il 2009.
Peraltro, va sottolineato che i principi stabiliti dalla Suprema Corte in materia di riconoscimento di costi “normalmente necessari e strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa” in realtà trovano applicazione in caso di accertamento induttivo del reddito d’impresa, e non possono certo essere invocati per ottenere la deducibilità di costi dei quali l’ufficio contesti l’inesistenza oggettiva, disvelata indiziariamente dalla assenza di documentazione a supporto circa la natura degli acquisti ovvero dalla mancanza di prova circa l’avvenuto pagamento dei servizi.
Pertanto il Collegio risulta immune da vizi la sentenza appellata nella parte in cui afferma che: “la Sezione condivide i puntuali elementi di prova addotti dall’Agenzia delle Entrate per avvalorare l’inesistenza oggettiva dei compensi per prestazioni di servizi, qualificati come oneri consortili, fatturati dal Consorzio stabile Miles con il documento nr. 6668 del 2009, contestato nell’avviso impugnato; la suddetta fattura, infatti, risulta priva della descrizione analitica e di riferimenti ad eventuali accordi o prospetti di dettaglio extra contabili, e non risulta in alcun modo riconducibile all’oggetto sociale di parte attrice, la quale non è stata in grado di produrre documentazione di supporto idonea a comprovare la reale natura degli acquisti di servizi in parola, la connessione degli stessi con l’attività esercitata e l’effettivo svolgimento delle prestazioni medesime, mancando, tra l’altro, il pagamento a favore del menzionato Consorzio”. Va al riguardo segnalato che l’ufficio ha immediatamente contestato alla società appellante il mancato pagamento della somma portata dalla fattura oggetto di giudizio e, sul punto, la parte onerata a farlo (e cioè la società contribuente) nulla ha contestato al riguardo.
Invero, non può non rilevarsi che anche nel giudizio di appello vige l’onere, per la parte interessata, nel caso di specie la società contribuente, di puntuale e specifica contestazione dei fatti allegati dalla controparte.
A tale proposito, è persino superfluo ricordare in questa sede il ben noto principio di circolarità tra oneri di allegazione, di contestazione e di prova che caratterizza il processo (Cass. S.U. n. 11353/2004, Cass. n. 5816 del 13.3.2007, Cass. n. 13878 del 14 giugno 2007; Cass. n. 25269 del 4 dicembre 2007 e altre), “perché tale onere (…) deriva da tutto il sistema processuale come risulta dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena, dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost. (giusto processo). Conseguentemente, ogni volta che sia a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto, potendo trattarsi di un fatto la cui esistenza incide sull’andamento del processo e non sulla pretesa in esso azionata” (Cass. 25269/2007).
Inoltre, con specifico riferimento alla sussistenza di tale onere anche nel giudizio di appello: “Premesso che nella giurisprudenza di questa Corte si è da tempo affermato il principio che non è necessaria l’ulteriore prova dei fatti allegati da una parte a sostegno di una domanda, di una eccezione o di una difesa, che non siano stati adeguatamente e tempestivamente contestati dalla controparte, secondo le regole della scansione delle attività difensive dettate per i vari modelli processuali disciplinati dal codice di rito (cfr. Cass. S.U. n. 761/2002; Cass. 11107/2007, 12231/2007, 27596/2008) -, deve in particolare precisarsi che il principio di non contestazione è applicabile anche nella specie, sia perché ne è stata rilevata dalla giurisprudenza una valenza generale nel processo (cfr. Cass. n. 12636/2005), sia, più specificamente, perché ragioni analoghe a quelle alla base dell’onere di contestazione operante nella fase introduttiva del giudizio di primo grado sono rilevanti anche nella fase introduttiva del giudizio di appello. In quest’ultimo, ferma la non modificabilità della domanda, vi può essere l’esigenza delle parti di fare nuovamente il punto sui fatti rilevanti ai fini della divisione della causa, continuano ad operare i principi sulla valorizzazione della leale cooperazione delle parti e il giudice può essere chiamato a valutazioni anche discrezionali circa l’ammissione di nuove prove (…), sicché la previa trasparente presa di posizione delle parti sui fatti dedotti è funzionale all’operatività del principio di economia processuale e può rilevare anche ai fini delle valutazioni che il giudice deve adottare”. (Corte di Cassazione, Sentenza 2 novembre 2009, n. 23142).
Se questi sono i principi che devono essere applicati nel caso di specie, non può non evidenziarsi la totale omessa contestazione, nel presente giudizio di appello, dell’assenza della prova relativa all’effettivo pagamento delle somme indicate nella fattura oggetto di giudizio. Risulta di conseguenza evidente l’impossibilità di portare in detrazione l’Iva rispetto ad una fattura relativa a prestazioni inesistenti. Per tutte le ragioni sin qui esposte l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione, rigetta l’appello e condanna la società appellante al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
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