COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 400 sez. II depositata il 30 gennaio 2019
Metodo induttivo – Contabilità non reperita – Controlli – Costi riconosciuti – Legittimità dell’avviso
Fatto
La società R.D. S.r.l., (Codice Fiscale e Partita Iva: omissis) – operante nel settore dei trasporti – impugnava l’avviso di accertamento n. (omissis), avente ad oggetto Ires – Irap ed Iva – anno d’imposta 2010.
Esponeva in fatto la ricorrente di essere stata amministrata negli ultimi esercizi da tre amministratori e precisamente dal sig. G.R. sino al 13 giugno 2012; dal sig. L.C., che aveva ricevuto, in pari data, l’intera documentazione contabile fiscale ed amministrativa dal primo e, infine, dal sig. A.Z. entrato in carica in data 10.7.2012. Lamentava l’illegittimità dell’impugnato accertamento induttivo, tenuto conto del difetto di presupposto che lo avrebbe potuto giustificare (i.e. omessa produzione della documentazione contabile richiesta). Secondo la contribuente, tale richiesta sarebbe stata rivolta ad un soggetto non legittimato, ossia al primo dei nominati amministratori, di tal che la circostanza che il sig. G.R. fosse sprovvisto della documentazione richiesta – perché già consegnata all’amministratore subentrante – non avrebbe potuto ritenersi idoneo presupposto giustificante l’accertamento induttivo.
Deduceva ulteriormente: duplicità dell’accertamento; violazione degli artt. 39 e 273 c.p.c. violazione artt. 67 dpr 600/73; difetto dei presupposti per l’accertamento induttivo; omessa deducibilità dei costi relativi ai maggiori ricavi; illegittimità delle sanzioni.
La CTP di Latina respingeva il ricorso con sentenza n. 1118/03/15.
Così motiva la decisione: «Preliminarmente, il Collegio deve farsi carico di esaminare l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità dei motivi aggiunti sollevata dall’Agenzia delle Entrate.
Ad avviso dell’Ufficio l’eccepita inammissibilità dei motivi aggiunti risiederebbe nella circostanza che con essi la società contribuente avrebbe fatto riferimento a rapporti oramai esauriti per decorso del prescritto termine decadenziale.
In particolare, con i motivi aggiunti, il contribuente aveva impugnato anche il secondo avviso emesso dall’agenzia delle Entrate a seguito dell’esercizio del potere di autotutela ed sostitutiva nella parte in cui si contestava la sottoscrizione dello stesso Direttore dell’Agenzia delle Entrate. L’eccezione fondata.
Osserva, al riguardo, il Collegio che, come efficacemente osservato dalla difesa dell’amministrazione, l’omessa notificazione del ricorso per motivi aggiunti entro il visto termine decadenziale rende inammissibile il ricorso, essendosi formato il cd. giudicato interno.
Né può essere invocata, come ius superveniens, la sentenza della Corte costituzionale (n. 37/15) posto che, con specifico riferimento alla questione del potere di sottoscrizione del Direttore privo del prescritto titolo concorsuale, lo stesso Giudice delle leggi nel far espresso richiamo alla giurisprudenza della Corte di cassazione (sezione tributaria civile, sentenze 9 gennaio 2014, n. 220; 10 luglio 2013, n. 17044; 10 agosto 2010, n. 18515; sezione sesta civile – T, 11 ottobre 25012, n. 17400) ha avuto modo, tra l’altro, di precisare che, considerando le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale – come affermato dalla giurisprudenza tributaria di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’ufficio e sulla sua idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (ex plurimis, – la funzionalità delle Agenzie non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata. Sicché l’obbiettivo reale della disposizione in esame è rivelato dal secondo periodo della norma in questione, ove, da un lato, si fanno salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie e i propri funzionari, dall’altro si consente ulteriormente che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, le Agenzie attribuiscano incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. La suesposta eccezione è dunque fondata.
Riguardo ai motivi di ricorso il contribuente censura, in primo luogo, il potere di “autotutela sostitutiva”, non avendo l’Agenzia delle entrate atteso l’esaurimento del procedimento di secondo grado prima di annullare il primo accertamento gravato.
Il motivo è infondato.
Osserva, in proposito, il Collegio che l’esercizio del potere di autotutela cd. sostitutiva volto alla eliminazione del vizio di nullità di cui è affetto l’atto (nel caso di specie: vizio relativo alla sottoscrizione) incontra tendenzialmente il suo principale limite che l’ente eserciti – come è avvenuto nel caso di specie – lo ius poenitendi entro il termine decadenziale il cui superamento nel consolidare l’atto lo renderebbe inesorabilmente “definitivo”.
L’emanazione di un avviso di accertamento non consuma, infatti, il potere dell’amministrazione di esercitare la funzione impositiva, anche in conformità dei principi di cui agli artt. 53 e 97 Cost. (Corte Cass. n. 4823/14).
Ne consegue che, il rispetto del visto presupposto entro cui l’ente poteva intervenire sull’atto viziato rende pienamente legittimo l’atto impugnato. Analogamente, deve essere respinta la ulteriore doglianza con cui la società deducente lamenta l’illegittimità dell’accertamento induttivo per mancanza di presupposti.
Ed invero come emerge dalla documentazione versata, gli accertatori si sono rivolti oltre al primo amministratore G.R. anche agli altri due ad, in particolare, al sig. A.Z. – quest’ultimo per altro sempre irreperibile – come emerge in particolare dal verbale di accertamento degli operanti della G.
Rafforza detta conclusione non solo la circostanza che il verbale, come è noto, fa piena prova sino a querela di falso, ma anche il dato incontestato che l’intero quadro documentale non è stato fornito sebbene richiesto e ciò giustifica del tutto ragionevolmente l’accertamento induttivo.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Sussistono peraltro giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite. P.Q.M. Respinge il ricorso; spese compensate».
Contro tale decisione propone appello la società R.D. S.R.L., in persona dell’amministratore sig. Z.A. (Codice Fiscale: omissis), con sede in (omissis) (CA) località (omissis) elettivamente domiciliata in Fondi, via (omissis) presso lo studio dell’avv. W.T. (Codice Fiscale: (omissis) – Fax: (omissis) – Pec: (omissis)) dal quale è rappresentata e difesa in forza di procura generale alle liti in data 28/06/2013 a rogito notaio E.B. di Latina Repertorio n. (omissis).
Premette che la società ricorrente – operante nel settore dei trasporti – è stata amministrata dal sig. R.G. sino al 13/06/2012; in tale data è stato nominato nuovo amministratore il sig. C.L. Nella stessa data del 13/06/2012 il sig. R.G., precedente amministratore, ha consegnato al sig. C.L. (nuovo amministratore) tutta la documentazione contabile, fiscale ed amministrativa della società ricorrente (verbale di assemblea ordinaria a rogito notaio E.B. Rep. n. (omissis)).
Con separato atto a rogito notaio E.B. del 29/06/2012 il sig. R.G. ha ceduto al sig. C.L. tutte le sue quote di partecipazione nella predetta società.
Dal 10/07/2012 la società ricorrente è amministrata dal sig. A.Z.
Deduce come motivi di appello: la tempestività dell’eccezione sollevata con i motivi aggiunti sulla nullità dell’accertamento impugnato per difetto di sottoscrizione da parte di dirigente privo dei poteri di sottoscrizione a seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale; la duplicità dell’avviso di accertamento per lo stesso anno di imposta, e con le identiche contestazioni, in relazione al precedente avviso di accertamento n. (omissis) notificato il 23/05/2014, impugnato con ricorso notificato in data 18/07/2014, laddove quindi il secondo avviso di accertamento n. (omissis) notificato il 15/12/2014 – e quindi dopo la notifica del ricorso avverso il precedente avviso di accertamento sarebbe sopravvenuto quando già il contribuente aveva impugnato il primo atto. Sicché, si sostiene, l’Amministrazione non sarebbe legittimata ad emettere nuovo avviso di accertamento, eliminando nel nuovo atto proprio i vizi eccepiti dal contribuente nel primo ricorso, così ledendo il diritto di difesa del contribuente che vedrebbe sistematicamente azzerate tutte le proprie eccezioni già spiegate nel primo ricorso; richiama la disciplina della litispendenza di cui agli artt. 39 e 273 c.p.c.
Lamenta il difetto dei presupposti per procedere all’accertamento induttivo, fondata su richieste della documentazione contabile non rivolte all’amministratore della società ma ad altri soggetti, sicché mancherebbe la prova che la contabilità non fosse stata tenuta.
Contesta ulteriormente il metodo seguito, che condurrebbe a ricavi irrealistici.
Lamenta che la G.d.F. abbia prestato fede alle dichiarazioni di C.L. che sono contraddette da atti pubblici.
Eccepisce che la verifica sia stata eseguita senza instaurare previamente alcun contraddittorio né con la società ricorrente né tanto meno con il suo amministratore.
Contesta in ogni caso la ricostruzione dei maggiori ricavi, determinata in via presuntiva, in quanto dagli stessi non risulterebbero detratti i relativi costi.
Deduce comunque la illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni e ne chiede la disapplicazione, non avendo l’Ufficio motivato sulla sussistenza del dolo o della colpa.
Conclude chiedendo la totale riforma della decisione impugnata, l’annullamento dell’avviso di accertamento; in subordine l’illegittimità delle sanzioni irrogate per difetto di colpevolezza. Vinte le spese del giudizio.
Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate che ha ampiamente dedotto in replica a tutti i motivi di appello, chiedendone il rigetto e la condanna dell’appellante alle spese del giudizio.
All’udienza odierna sono comparsi i rappresentanti delle parti che dopo aver discusso la causa hanno confermato le rispettive conclusioni.
Diritto
L’appello della società è infondato e deve essere respinto.
Esattamente la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile la proposizione di motivi aggiunti: questi sono ammessi ai sensi dell’art. 24, secondo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 solamente nel caso di produzione di documenti non conosciuti dalle altri parti ed evidentemente tale evenienza non può certamente essere costituita dalla sopravvenuta sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale, la quale non può considerarsi un nuovo documento e neppure un’ipotesi di jus superveniens (così: Cass., 9 maggio 2007, n. 10599).
In ogni caso, ad abundantiam, si osserva che detta eccezione sarebbe comunque totalmente infondata. Infatti, poiché per la sottoscrizione degli atti su delega del dirigente dell’Ufficio non occorre la qualifica dirigenziale, sarebbero comunque irrilevanti gli effetti asseritamente prodotti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015, e senza comunque considerare che parte ricorrente non ha punto dimostrato che tra i funzionari con incarico dirigenziale “decaduto” per effetto di tale decisione ci fosse effettivamente anche il dott. P.P.
Ulteriormente, si osserva che basterebbe comunque il richiamo a quanto affermato ripetutamente dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 24020/16, con cui si è di nuovo affermato che «la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza della Corte Cost. n. 37 del 2015, sottoscritti da soggetti rivestenti funzioni di capo dell’Ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, idonei a esprimere la volontà dell’Amministrazione nei rapporti esterni ex art. 42 DPR n. 600/73, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita dall’art. 8, c. 24, d.l. n. 16/12)» (per affermazioni analoghe possono richiamarsi le sentenze n. 22800, e n. 22810 entrambe del 09/11/2015).
Inoltre, la stessa sentenza della Corte Costituzionale (n. 37 del 2015), aveva affermato che: «considerando le regole organizzative interne dell’Agenzia delle Entrate e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale, richiamandosi espressamente la giurisprudenza tributaria di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’Ufficio e sulla sua idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (Corte di Cass. Sez. Trib. 911/2014 n. 220; 1017/2013 n. 17044; 10/8/2010 n. 18515), la funzionalità delle Agenzie non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata».
Prive di fondamento sono le altre doglianze in merito al mancato accoglimento da parte del giudice di primo grado delle doglianze rivolte a censurare la presunta duplicazione degli avvisi di accertamento.
L’appellante non spiega per quale motivo o sulla base di quale norma sarebbe impedito all’Amministrazione di annullare in autotutela un atto, sostituendolo con un altro emendato dei vizi, anche se fosse già pendente un giudizio già instaurato sul primo atto, sono poi di tutta evidenza inconferenti i richiami all’istituto della litispendenza nel processo civile (art. 39 e 273 c.p.c.), che concernono la pendenza di azioni identiche mentre nel caso di specie si tratta della facoltà dell’amministrazione di annullare in tutto od in parte un atto impugnato e di sostituirlo eventualmente con uno nuovo dal contenuto identico, emendato dei vizi che affliggevano l’originario, facoltà che permane anche se il primo atto è già stato impugnato – come espressamente previsto dall’art. 2 quater, del D.L. n. 564/1994, che disciplina appunto l’esercizio del potere di autotutela sostitutiva “anche in pendenza di giudizio” – e sin quando tale giudizio non sia stato definito con sentenza passata in giudicato.
Le argomentazioni sono poi anche contraddittorie dacché la stessa società appellante in sostanza riconosce tale potere in capo all’Amministrazione finanziaria, tanto che alla fine la censura si sostanzierebbe sul fatto che con la predetta emissione del nuovo atto non sarebbe stato annullato l’atto precedente, producendosi una duplicazione dell’attività impositiva. Anche queste sono doglianze manifestamente infondate, dacché, come chiaramente posto in evidenza dall’Agenzia delle Entrate, l’avviso di accertamento impugnato, contraddistinto dal n. (omissis), ha sostituito e quindi annullato l’avviso n. (omissis) ed è stato emesso nell’esercizio del potere di autotutela c.d. sostitutiva, come si evince anche dal rifermento nella premessa di tale atto al già citato art. 2 quater, del D.L. n. 564/1994.
Nessuna incertezza poi pare sussistere, sia appunto in ragione del predetto richiamo normativo, sia per il tenore letterale, che l’atto n. (omissis) abbia sostituito, annullandolo, il precedente avviso di accertamento n. (omissis): infatti la motivazione dell’atto precisa innanzi tutto che “Il presente atto ai sensi dell’art. 2-quater D.L. n. 564/94 – DM 11 febbraio 1997 n. 37, sostituisce l’avviso di accertamento (omissis), causa errori nella sottoscrizione dello stesso”.
Il tenore letterale del provvedimento rende chiaramente il senso dell’annullamento-sostituzione contenuto nel nuovo provvedimento, senza che abbisognasse alcuna ulteriore pronuncia formale, già resa esplicita dalla integrale sostituzione di un atto del tutto identico nel contenuto, ma emendato dai vizi di firma, e che quindi non lasciava residuare alcun dubbio sulla possibile sopravvivenza dell’atto sostituito.
Come già detto, è pacifico difatti che, a mente dell’art. 2 quater, del D.L. n. 564/1994, l’autotutela sostitutiva possa essere esercitata sino a quanto non sia sopravvenuta una pronuncia nel merito, passata in giudicato, sull’atto che si intende annullare e sostituire, semplicemente rispettando il termine decadenziale previsto per l’esercizio della funzione impositiva. In proposito si trova affermato che “l’Amministrazione, in mancanza di una norma ostativa, può emanare nei termini di decadenza, nell’esercizio del potere di autotutela, atti sostitutivi di quelli precedenti, ancorché identici nel contenuto e con lo stesso numero di protocollo dell’atto sostituito” (Cass. n. 4823 del 2014).
Parimenti prive di fondamento sono le doglianze che lamentano una violazione del contraddittorio.
In disparte la valutazione sulla credibilità o meno delle dichiarazioni rese da C.L. – che sarebbe stato per pochissimo tempo titolare delle quote della società, prima di cederle a sua volta a Z.A. – aspetto che, di per sé, come ha osservato l’Agenzia, è privo di valenza dirimente, vale piuttosto rilevare che la G.d.F., nell’approcciarsi all’ispezione fiscale, abbia invero posto in essere ogni tentativo al fine di individuare la sede effettiva della società, i titolari e gli amministratori effettivi e reperire la documentazione fiscale.
Al riguardo, il PVC lumeggia ampiamente il contesto delle ricerche ed i relativi riscontri.
Come posto in evidenza anche dall’Agenzia delle Entrate, l’attività ispettiva traeva origine da un controllo incrociato con la società L.F. soc. consortile a r.l. in reazione alle fatture registrate e dichiarate ai fini Ires, Irap ed Iva dei maggiori Fornitori/Consorziati.
Nella fase preparatoria per l’avvio della verifica i verbalizzanti accertavano nei confronti della società R.D. autotrasporti srl: l’inesistenza della sede dichiarata in (omissis) (CA), località B.N. snc; la variazione al Registro delle imprese risultava essere stata eseguita a decorrere dal 06/07/2012 (periodo coincidente con le operazioni di verifica eseguita nei confronti della L.F.); l’inesistenza della sede dichiarata in Roma, via (omissis), di cui alla variazione al Registro delle imprese a decorrere dal 20/04/2011 e all’Agenzia delle Entrate con decorrenza 13/06/2012 (nel corso delle attività di verifica eseguita nei confronti della L.F.); l’inattività della precedente sede legale ed amministrativa in Cisterna di Latina (LT), Via (omissis); l’omessa tenuta delle scritture contabili da parte della società E. srl con sede in Cisterna di Latina, risultante dall’A.T. quale depositario della stessa.
Pertanto, del tutto legittimamente i militari hanno ritenuto che dette sedi non fossero esistenti o comunque attive.
Inoltre, in un brevissimo periodo, proprio a ridosso delle verifiche, tutte le quote erano state acquistate da un pensionato dell’età di 85 anni (C.L.) e di lì a poco erano cedute al sig. Z.A. (sino al 13/06/2012: R.G.; C.L. dal 13/06/2012 al 10/07/2012; Z.A. dal 10/07/2012).
In merito alle ricerche effettuate dai militari al fine di reperire il predetto Z.A. basta il richiamo a quanto riferito a pag. 3 del PVC: “infine, ogni tentativo di rintracciare il nuovo Amministratore unico, nella persona del Sig. Z.A. in carica dal 10 luglio 2012, è risultato vano per irreperibilità sia presso l’indirizzo indicato dalle visure anagrafiche che presso l’ultimo datore di lavoro individuato nella società U.T. società cooperativa sociale (P. Iva omissis)”. Ulteriori ricerche presso l’indirizzo di Roma, Via (omissis), indicato nella visura anagrafica sulla società (fonte T.) davano esito negativo sia per il soggetto che per i suoi familiari.
Per tali motivi il PVC è stato alla fine notificato a mani di R.G. e C.L. unici soggetti reperiti, e ritenuti dai militari (in base agli elementi raccolti) il R. amministratore di fatto della società ed il secondo presumibilmente un mero prestanome: entrambi detti soggetti però negavano di essere in possesso di alcuna documentazione fiscale, avendola consegnata in occasione della cessione delle quote, ed essendo asseritamente pervenuta nelle mani dell’ultimo titolare ed amministratore (Z.A.), amministratore iscritto a far data dal 10.07.2012.
Lo stesso PVC è stato infine notificato mediante affissione all’albo della Casa Comunale per irreperibilità della sede della società e dell’amministratore di diritto, Z.A.
Dato il tenore e l’ampiezza dei tentativi effettuati per reperire, sin prima dell’inizio della verifica, la sede effettiva della società, l’amministratore e la documentazione contabile della medesima, si appalesa priva di fondamento la doglianza dell’appellante che pretenderebbe che l’irreperibilità di Z.A. fosse stata formalmente accertata anche prima di iniziare la verifica.
A fronte di tali emergenze la società ricorrente ed appellante si limita infatti a dolersi di una presunta violazione del contraddittorio, ma non indica o allega alcun elemento che possa minimamente contraddire o sconfessare le verifiche e le ricerche effettuate dai militari, dirette a reperire (senza esiti) la sede effettiva, l’amministratore di diritto e la contabilità della società, e tanto meno essa non indica alcun luogo, sede o circostanza dove il predetto amministratore e titolare delle quote sociali, nonché la relativa documentazione societaria sarebbero stati invece reperibili e disponibili per l’esame dei verificatori. Risulta quindi del tutto legittimamente effettuato l’accertamento utilizzando il metodo induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma II, del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 55 del d.P.R. n. 633/1972, e proprio perché, nonostante i suddetti sforzi, non era stata reperita la documentazione contabile della società verificata.
Appare pacifico poi che l’accertamento abbia riportato tutte le informazioni principali del processo verbale, riportando in specie la circostanza dell’omessa esibizione della documentazione non trovata neppure in sede di accesso. Di tali circostanze lo stesso avviso di accertamento dà ampio riscontro richiamando i passi salenti del PVC.
La pretestuosità delle censure dell’appellante che lamentano la violazione del contraddittorio si apprezza poi in particolare nel rilievo che, nonostante il tempo trascorso e la stessa impugnazione tempestiva di detto avviso da parte del predetto Z.A., nuovo titolare delle quote ed amministratore della società, da ritenersi in possesso di tutta la contabilità societaria, questa però non sia stata mai prodotta in sede giudiziale, nemmeno in minima parte.
Quanto infine al merito di tale accertamento, parimenti prive di fondamento sono le doglianze che ne contestano le modalità e le conclusioni.
Come infatti si evince chiaramente dal PVC, la ricostruzione del reddito e del volume d’affari è stata eseguita attraverso l’acquisizione di dati e documenti presso la L.F., principale cliente e soggetto di cui la stessa società verificata aveva detenuto il 54,77% del capitale sociale fino al 25/11/2011. A conclusione della verifica fiscale condotta nei confronti del cliente L.F., è stata acquisita la scheda contabile del fornitore “(omissis) R.D.” dalla quale si rilevavano per l’anno d’imposta 2010 fatture emesse per un imponibile di euro 1.309.497,21 ed Iva relativa e dovuta di euro 261.899,44.
In assenza di documentazione e scritture contabili i verificatori hanno osservato che non è stato quindi possibile accertare se le suddette operazioni fossero state incluse analiticamente nelle dichiarazioni presentate, né se a fronte delle medesime operazioni fossero stati effettivamente sostenuti i costi dotati dei requisiti di certezza, inerenza ed obiettiva determinabilità, che la società ha indicato nelle denunce fiscali.
Pertanto, mancando la documentazione fiscale, ai fini della determinazione delle imposte dirette, in mancanza di idonea documentazione che attesti la contabilizzazione di quanto riscontrato dai verificatori, i ricavi riscontrati dal controllo sul cliente L.F. di € 1.309.497,21, sono stati considerati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati nel Modello Unico SC 2011. Poiché la società dichiarava, per l’anno d’imposta 2010, ricavi d’esercizio per € 1.447.205,00 con un reddito imponibile di € 54.178,00, a seguito di accertamento i ricavi accertati ammontavano nel complessivo ad € 2.579.728,08 (1.4147.205,00 + 1.309.497,21), mentre si imputavano costi ai fini della determinazione del reddito pari ai costi riscontrati in dichiarazione. Ai fini IRAP si accertava un maggior valore della produzione, pari al reddito imponibile accertato di € 1.309.497,21; ai fini IVA i verbalizzanti accertavano che la società aveva dichiarato nel quadro VE del Modello Unico SC 2011, un volume di affari per l’anno d’imposta 2010 pari ad € 1.059.507,00, così omettendo di dimostrare la documentazione e registrazione del valore imponibile delle fatture emesse alla L.F. per € 1.309.497,21 in violazione dell’art. 8 del D.P.R. 322/1998. Parimenti era contestata l’illegittima detrazione di imposta sugli acquisti come esposta in dichiarazione, poiché in sede di rettifica induttiva, l’art. 55 comma 1, del d.P.R. 633/72 prevede che, “sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33”. Nel caso in esame non risultavano effettuati versamenti né era stato possibile effettuare il controllo sulle liquidazioni periodiche eventualmente effettuate.
Con riferimento al motivo di appello che lamenta la mancata considerazione di ulteriori costi, esattamente l’Agenzia delle Entrate replica osservando che un accertamento di tipo analitico non era possibile mancando appunto la contabilità; nondimeno, evidenzia che l’Amministrazione ha comunque riconosciuto tutti i costi dichiarati, sebbene gli stessi non fossero stati in alcun modo provati e documentati. I costi esistenti sono stati già dichiarati e, logicamente, l’Agenzia osserva che non si comprenderebbero ragioni per occultare dei costi effettivamente sostenuti, mentre i ricavi possono essere stati verosimilmente non dichiarati.
Tali considerazioni sono del tutto condivisibili, derivando appunto dalla stessa natura dell’accertamento induttivo che, pare opportuno ribadirlo, è fondato sul mancato reperimento dell’intera documentazione contabile della società oggetto di verifica, e senza che la medesima ed il suo amministratore (Z.A.) abbiano mai ritenuto di produrla nemmeno in seguito.
La riconosciuta legittimità dell’azione di verifica e di accertamento conduce quindi di conseguenza a ritenere altresì legittimamente applicate le sanzioni, non ravvisandovi invero alcun motivo per ammetterne la disapplicazione, tenuto conto che l’omessa conservazione ed esibizione (cui ha conseguito anche, nonostante le ricerche, l’omesso reperimento della contabilità) costituiscono circostanze perfettamente idonee ad ostacolare l’attività accertativa, senza che minimamente la società appellante abbia allegato che tanto è avvenuto senza dolo o colpa ma per cause alla medesima non imputabili.
L’irrogazione delle sanzioni contestualmente all’accertamento delle violazioni fiscali, derivando esse come conseguenza ex lege di tali violazioni, non richiede una particolare motivazione, se non appunto la stessa descrizione del fatto e l’indicazione delle norme che si considerano violate ai fini dell’accertamento dei tributi, dovendosi presumere una condotta quanto meno colposa dell’agente e spettando invece al contribuente dedurre e provare la sussistenza di cause esimenti. Non sussiste pertanto nemmeno alcun vizio di motivazione dell’avviso su questo punto.
Da tutto quanto sopra esposto ne consegue la totale infondatezza dell’appello, la conferma della sentenza impugnata ed il rigetto del ricorso proposto contro l’avviso di accertamento n. (omissis). Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta l’appello della contribuente che condanna al pagamento di euro 10.325,00 in favore dell’Ufficio.
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