COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 432 sez. XVIII depositata il 1° febbraio 2019
Reddito d’impresa – Prelievi e versamenti – Conti srl – Conti intestati a terzi soggetti – Indagini finanziarie – Movimentazioni bancarie – Presunzioni semplici – Rapporto diretto tra reddito d’impresa – Legittimità dell’avviso
FATTO
A seguito di un’indagine finanziaria che aveva interessato sia i conti correnti intestati alla società I. srl, sia i conti correnti intestati ai soci (nonché coniugi) sig.ra B.M. e sig. M.G., nonché in ordine ai rapporti sui quali la medesima sig.ra B. operava su delega rilasciata dall’intestatario, erano stati accertati maggiori ricavi pari ad € 219.660,00.
Pertanto, l’Agenzia delle Entrate di Frosinone aveva emesso, nei confronti della società I. srl, l’avviso di accertamento indicato in epigrafe.
La società aveva impugnato tale atto, chiedendo, in via preliminare, la sospensione del giudizio, in attesa dell’esito della querela di falso presentata alla competente autorità giudiziaria, in ordine a presunte false affermazioni riscontrate nell’avviso di accertamento.
Inoltre, aveva eccepito l’illegittimità dell’accertamento per difetto di motivazione, difetto di prova e mancata autorizzazione per indagini bancarie sui c/c personali e insussistenza delle violazioni rilevate.
Nel merito, aveva contestato che l’accertamento era basato su presunzioni semplici che non trovano riscontro nella realtà e che, stante la regolarità dei conti correnti della società, l’accertamento era basato esclusivamente sulle indagini finanziarie eseguite sui conti correnti dei soci e familiari.
Anche ai soci B.M. e M.G. erano stati notificati analoghi avvisi di accertamento, per reddito da partecipazione per la stessa annualità e in ragione delle quote di partecipazione di ciascuno (art. 5 TUIR).
Tali accertamenti erano stati autonomamente impugnati.
All’esito del giudizio di prime cure, la Commissione tributaria provinciale, dopo aver provveduto alla riunione dei procedimenti, per connessione oggettiva e soggettiva, aveva respinto la richiesta di sospensione del giudizio e rigettato i ricorsi nel merito.
La società I. srl ed i soci B.M. e M.G. hanno impugnato la sentenza di prime cure, per i seguenti motivi.
In primo luogo, hanno formulato nuovamente la richiesta di sospensione del procedimento, ai sensi dell’art. 39 d.lgs. n. 546/92.
In secondo luogo, hanno eccepito che l’acquisizione dei dati relativi al conto corrente bancario intestato a di M.C. sarebbe avvenuta senza l’autorizzazione della Direzione regionale.
Nel merito, hanno ribadito l’insussistenza di elementi a sostegno della pretesa tributaria.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio ed ha replicato alle eccezioni della controparte.
DIRITTO
1. La prima questione all’esame del Collegio concerne il tema della richiesta di sospensione del procedimento, ai sensi dell’art. 39 d.lgs. n. 546/92.
La medesima questione era stata prospettata in primo grado.
La Commissione provinciale aveva respinto la richiesta di sospensione.
Rilevato che l’art. 39 del D.Lgs. 546/1992 stabilisce che “Il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio”, aveva osservato che “tale articolo presuppone che sia demandato al giudice tributario il potere-dovere di verificare se sussistano gli estremi propri della relazione impeditiva, intesi quali precondizioni all’operatività della sospensione, laddove l’atto oggetto querela non assuma alcuna rilevanza nel giudizio”.
Con riferimento al caso in oggetto, la Commissione aveva rilevato che “non sussistono tali requisiti in quanto: i) oggetto d’impugnativa sono gli avvisi di accertamento operati dall’Agenzia delle Entrate; ii) la querela di falso risulta proposta con riferimento esclusivo all’affermazione che i conti correnti intestati a M.G. e C. fossero intestati alla B.M.; iii) la querela riguardante la falsa attestazione di maggiori ricavi di curo 91.800,00 era falsa perché le stesse somme giacevano (a dire della ricorrente) sul conto corrente precedentemente alle operazioni”.
Inoltre, aveva precisato che “La rilevanza reddituale dell’intestazione dei citati conti correnti non rileva ai fini dell’accertamento per i motivi di seguito indicati mentre la rilevanza reddituale delle operazioni extraconto è una questione che non riguarda la falsità materiale o ideologica dell’avviso di accertamento e, pertanto, essa deve essere valutata dal giudice tributario.”
Infine, aveva ricordato che, secondo la Suprema Corte, “in caso di presentazione di querela di falso, il giudice tributario non è chiamato a svolgere una funzione meramente passiva prendendo semplicemente atto dell’istanza e arrestando il corso del procedimento a scapito della speditezza del giudizio garantita dalle regole del giusto processo, ma deve quanto meno verificare la pertinenza di tale iniziativa processuale in relazione al documento impugnato e la sua rilevanza ai fini della decisione (così Cass. civ., sent. 01.04.2013, n. 8046)”.
Gli appellanti hanno contestato la pronuncia di prime cure, prospettando – con il primo motivo – la “nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 39 d.lgs. 546/92, omessa, erronea ed insufficiente motivazione circa l’avvenuta presentazione di querela di falso, con conseguente sospensione del processo ex art. 39 d.lgs. 546/92”.
1.1. L’eccezione è infondata.
Con riferimento alla parte della obiezione che l’Ufficio agirebbe falsamente intestato alla sig.ra B.M. la titolarità dei rapporti di conto corrente n. (omissis) e n. (omissis), accessi presso la Banca Monte Paschi di Siena, occorre rilevare quanto segue.
Come dimostrato dall’Agenzia, il Direttore Regionale, con provvedimento prot. 98/2014, aveva autorizzato l’Ufficio a richiedere dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrapreso od operazioni effettuate dalla sig. B.M.
Pertanto, l’indagine era stata estesa anche ai rapporti di conto corrente sui quali la sig.ra B. operava su delega rilasciata dall’intestatario; in particolare: il c/c n. (omissis) Monte Paschi intestato al marito M.G.; il c/c n. (omissis) Monte Paschi intestato al figlio M.C.
L’Ufficio, anche in sede di controdeduzioni, ha confermato che i suddetti rapporti di conto corrente non erano intestati alla sig.ra B.M., ma che sugli stessi quest’ultima agiva quale delegato.
Pertanto, resta confermato quanto osservato dal giudice di prime cure, secondo cui la querela di falso – nei termini proposti dal contribuente – non ha e non potrebbe avere alcuna rilevanza o utilità nel presente procedimento tributario.
Infatti, l’avviso di accertamento non si basa sulla affermazione che i conti correnti intestati al marito ed al figlio siano intestati alla sig.ra B., ma sulla diversa circostanza che la medesima sig.ra B., in qualità di legale rappresentante della I., effettuava operazioni anche sui conti correnti intestati a M.G. e M.C. pur senza esserne formalmente titolare.
L’esito del giudizio sul preteso falso non aggiungerebbe alcun elemento conoscitivo rilevante ai fini del giudizio tributario, nel quale assume rilevanza la mera presunzione della distribuzione di utili societari ai soci, di cui le movimentazioni bancarie – su tutti i conti correnti riferibili alla società – costituiscono indizio grave, preciso e concordante.
Tale presunzione è relativa; pertanto, gli interessati possono confutare le prospettazioni dell’Ufficio dimostrando l’estraneità delle operazioni rilevate alle attività sociali.
Tale dimostrazione non si sostanzia in una affermazione di falsità della tesi opposta, ma semplicemente nella asserzione della sua infondatezza.
Con riguardo, invece, alla obiezione della falsità dell’avviso di accertamento in ordine alla attestazione dei maggiori ricavi pari ad € 91.800,00, occorre osservare quanto segue.
L’art. 221 cpc, nel disciplinare il modo di proposizione e contenuto della querela, prevede che “La querela di falso può proporsi, tanto in via principale quanto in corso di causa in qualunque stato e grado di giudizio, finché la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata ingiudicato”.
Nel caso di specie, tuttavia, non è in discussione la veridicità dell’avviso di accertamento, in quanto documento che proviene dalla competente autorità tributaria e che costituisce esercizio della potestà impositiva, ma il merito dell’accertamento stesso effettuato dall’Ufficio, sulla base della documentazione reperita in sede procedimentale.
Nondimeno, occorre osservare che le questioni concernenti l’attendibilità e la fondatezza delle riprese fiscali eseguite dagli Uffici tributari non rientrano nell’ambito della cognizione del giudice civile, in sede di procedimento di accertamento del falso, ma del giudice tributario.
Pertanto, anche per questo secondo aspetto resta confermato quanto osservato dal giudice di prime cure, secondo cui la querela di falso – nei termini proposti dal contribuente – non ha e non potrebbe avere alcuna rilevanza o utilità nel presente procedimento tributario.
2. La seconda questione all’esame del Collegio concerne la circostanza che l’acquisizione dei dati relativi al conto corrente bancario intestato a M.C. sarebbe avvenuta senza l’autorizzazione della Direzione regionale.
La medesima questione era stata prospettata in primo grado.
La Commissione provinciale aveva respinto l’eccezione.
In proposito, aveva osservato che “dalla documentazione in atti, emerge che l’acquisizione dei dati bancari sia avvenuta nel pieno rispetto della normativa in materia di autorizzazioni alle indagini sia in ordine ai conti correnti esaminati, tenuto conto della ristretta base familiare della compagine sociale della società ricorrente”.
Inoltre, aveva rilevato che “L’Ufficio ha depositato documentazione attestante la regolarità delle richieste di autorizzazioni alle indagini bancarie e in particolare si segnala il provvedimento n. 998/2014 con il quale il Direttore Regionale ha autorizzato l’Ufficio a richiedere dati notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrapreso e/o operazione effettuata dalla signora B.M.”.
Pertanto, aveva concluso che “se la B. agiva con delega su conti correnti intestati a terzi, tali operazioni dovevano essere prese in considerazione anche se il conto corrente fosse intestato a terzo estraneo”.
Gli appellanti hanno contestato la pronuncia di prime cure, ribadendo – con il secondo motivo – l’arbitraria acquisizione dei dati bancari di M.C.
In proposito, hanno riportato l’orientamento interpretativo della Corte di Cassazione secondo la quale l’accertamento sui conti correnti trova applicazione unicamente ai conti intestati o cointestati al contribuente, mentre non trova applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorché legate al contribuente da vincoli familiari, a meno che in sede giudiziale l’Ufficio dimostri che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque che sia imputabile al contribuente medesimo (cfr. Cass. Sez. VI 20.5.2011 n. 11145).
Inoltre, hanno evidenziato che M.C. non è socio della società I. Srl; pertanto, non sussistono elementi che giustifichino la riféribilità della movimentazione bancaria del conto corrente intestato a tale soggetto immediatamente alla società.
Peraltro, hanno osservato che “B.M. ha avuto la delega ad operare sul conto corrente di M.G. solo a partire dal 10 giugno 2010, mentre vengono recuperate a tassazione operazioni con data antecedente”.
2.1. L’eccezione è infondata.
La disamina della documentazione agli atti conferma la legittimità del recupero effettuato dall’Ufficio.
In primo luogo, non assume rilievo ostativo la circostanza che il rapporto di conto corrente (omissis) Monte Paschi di Siena fosse intestato a M.C.
Infatti, con il citato provvedimento n. 998/2014 il Direttore Regionale aveva autorizzato l’Ufficio a richiedere dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrapreso od operazione effettuata dalla sig.ra B.M.
Considerato che sul predetto conto corrente la sig.ra B. operava su delega, l’autorizzazione regionale era pienamente efficace anche in ordine al conto corrente intestato a M.C.
In tale contesto, pertanto, l’onere della prova della non riféribilità dei movimenti bancari alla società non spetta all’Ufficio, ma al contribuente.
Nel caso di specie, peraltro, l’Ufficio ha evidenziato che i movimenti finanziari rinvenuti sul suddetto conto corrente e non giustificati erano pari ad € 7.050,00; pertanto, rappresentavano solo una minima parte rispetto al totale dei movimenti accertati pari ad € 219.660,00.
Con riferimento al secondo profilo contestato, relativo al limite temporale della delega della sig.ra B. sul rapporto di conto corrente (omissis) intestato a M.C., l’Ufficio ha rappresentato che l’appellante ha contestato per la prima volta in sede di appello che la delega ad operare è stata rilasciata a partire dal 10.06.2010 e contesta, pertanto, il recupero a tassazione dei movimenti finanziari aventi data antecedente.
Ferma restando l’inammissibilità del motivo nuovo di ricorso, l’Ufficio ha evidenziato che “come si evince dalla tabella riportata alla pagina 11 dell’avviso di accertamento (di cui al rapporto di conto corrente n. omissis), sono state recuperate a tassazione soltanto le movimentazioni finanziarie eseguite a partire dal 10.06.2010”.
Pertanto, appare evidente come il motivo sia, al tempo stesso, inammissibile ed infondato.
3. Con riferimento al merito dell’accertamento occorre rilevare quanto segue.
La Commissione provinciale, in proposito, aveva premesso che “Qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi, come nella fattispecie, su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti stessi; si determina invece un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in tal senso Corte di Cassazione ordinanza n. 2781/2015)”.
Con riguardo al caso di specie, il giudice di prime cure aveva rilevato che “parte ricorrente, oltre che contestare principi giuridici che non hanno trovato conferma (…) non ha offerto alcuna prova per dimostrare che almeno una parte delle poste riprese a tassazione fosse riferita ad operazioni estranee all’attività d’impresa della società e/o che dette operazioni si riferissero a circostanze personali estranee (tanto per i versamenti che per i prelevamenti)”.
Anche per quanto concerne la contestazione relativa alle operazioni extraconto, il giudice di prime cure aveva riscontrato l’insufficienza della affermazione che le somme giacevano, prima dell’anno in verifica, sul conto corrente.
In tal senso, aveva osservato che l’allegazione della copia di due libretti bancari attestanti operazioni di versamenti e prelevamenti di qualche anno antecedente al 2010 non era sufficiente a dimostrare che la somma di euro 91.800,00 fosse a disposizione prima dell’anno in esame.
Infatti, secondo il giudice di prime cure, “parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la corrispondenza (almeno in termini temporali) dei prelevamenti delle somme giacenti sui libretti di conto corrente con i versamenti effettuati con le operazioni di extraconto”.
In ogni caso, aveva ritenuto opportuno ricordare “quanto rilevato dall’Agenzia delle Dogane di Como (cfr. pag. 5 avviso accertamento e pag. 4 memoria) sulla disponibilità di somme presso il Credit Suisse di Lugano della signora B. e del figlio della stessa C.M. La richiesta di autorizzazione alle indagini finanziarie è partita proprio dalle informative dell’Agenzia delle Dogane”.
Infine, aveva ritenuto “infondata l’eccezione relativa all’inapplicabilità retroattiva dell’art. 11 del d.l. 201/2011 perché nella fattispecie è stata correttamente applicata ed eseguita la formalità delle indagini finanziarie secondo il disposto normativo vigente prima dell’emanazione del d.l. citato”.
Gli appellanti hanno contestato la pronuncia di prime cure, osservando – con il terzo, il quarto ed il quinto motivo – che la sentenza di prime cure non è adeguatamente motivata, per omesso esame di tutta la documentazione prodotta dalla società, e che, a fronte di una contabilità regolarmente tenuta, è mancata una attenta valutazione circa l’attendibilità e la sostenibilità della pretesa.
3.1. Le eccezioni sono infondate e devono essere integralmente respinte.
In primo luogo, occorre ricordare che l’art. 32, primo comma, del dPR n. 600 del 1973 dispone che i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 ss. il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine: alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni.
Pertanto, la presunzione che i versamenti ed i prelevamenti bancari costituiscano, a certe condizioni, espressione di maggiori ricavi o di maggiori imponibili IVA non dichiarati trova fondamento direttamente nella legge.
Ne consegue che è legittima la dimostrazione dell’esistenza di un rapporto diretto fra il reddito d’impresa accertato e l’intestazione dei conti a soggetti terzi (amministratori, dipendenti, coniuge e familiari conviventi) fornita tramite presunzioni semplici, ex art. 2729 cod. civ..
In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “Qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatta, secondo l’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancaria, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili“. (Cass. civ. Sez. V Ord., 19 ottobre 2018, n. 26432).
In secondo luogo, occorre rilevare come tali principi trovino esatta applicazione nel caso di specie.
La sig.ra B. aveva eccepito che i rapporti di conto corrente n. (omissis) e n. (omissis) (Monte Paschi di Siena) erano intestati al marito M.G. ed al figlio M.C.
Tale prospettazione è irrilevante; infatti, assume rilievo decisivo la circostanza che sui rapporti di conto corrente sopra indicati la sig.ra B.M. operava su delega degli intestatari.
Pertanto, deve ritenersi che la presunzione legale di cui all’art. 32 del DPR n. 600/73 trovi piena applicazione.
In terzo luogo, con riferimento alle giustificazioni concernenti le movimentazioni bancarie, occorre rilevare l’insufficienza e la genericità delle giustificazioni offerte.
Così, non è sufficiente indicare il nominativo del beneficiario dei prelevamenti contestati, ma occorre che gli stessi risultino, a norma dell’art. 32 del DPR n. 600/1973, che essi risultino dalle scritture contabili.
Peraltro, la circostanza che fossero state intercettate, in sede di indagine finanziaria, operazioni extraconto induce a ritenere che le attività economiche dell’impresa non trovassero riscontro nella relativa contabilità.
La compiuta descrizione delle risultanze dell’indagine è estesamente riportata nella parte motiva dell’avviso di accertamento; pertanto, si deve concludere che esso è pienamente fondato e legittimo e che non sono state fornite giustificazioni idonee ad inficiarne il contenuto.
4. All’esito della precedente ricostruzione della controversia, la sentenza di prime cure deve essere riformata.
Stante la diversa soluzione della controversia nei due gradi di giudizio, si reputano sussistenti validi motivi per disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Commissione rigetta l’appello e condanna gli appellanti alle spese di giudizio liquidate in € 2.000,00 pro-capite.
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