COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 466 sez. VII depositata il 4 febbraio 2019
Reddito d’impresa – Metodo induttivo – Attribuzione utili extrabilancio – Socio – Presunzione secondo grado – Illegittimità dell’avviso
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. P.R. ha impugnato l’avviso di accertamento n. (omissis)/2015 emesso dall’Agenzia delle Entrate di Roma 2 per IRPEF, sanzioni e interessi per l’anno d’imposta 2010.
Il predetto atto è conseguente ad altro avviso di accertamento n. (omissis)/2013 notificato per lo stesso periodo d’imposta 2010 alla Società T.U. srl della quale il ricorrente possedeva una partecipazione pari al 41,50% del capitale sociale.
L’ufficio dopo aver accertato in capo alla società, sulla base di una ricostruzione induttiva che ha evidenziato l’omessa fatturazione e contabilizzazione di ricavi pari ad € 3.589.040,53, un maggior reddito di impresa pari ad € 1.086.833,25, ha ritenuto che tale maggiore reddito sia attribuibile pro-quota ai singoli soci in ragione della loro partecipazione al captiate della società.
A sostegno del ricorso, ha eccepito la nullità dell’avviso di accertamento non essendo applicabile il criterio della ristretta base societaria, nonché l’infondatezza nel merito dell’accertamento non essendo stata corretta la determinazione del reddito.
Si è costituita nel giudizio di primo grado l’Agenzia delle Entrate di Roma II che ha ribadito la correttezza del proprio operato, chiedendo il rigetto del ricorso.
La CIP di Roma ha accolto il ricorso.
Nel merito ha rilevato che l’Ufficio ha ritenuto che pur essendo normativamente previsto che gli utili possano essere imputati al reddito dei soci della società di capitali soltanto dopo la loro deliberazione e distribuzione, ha applicato il diverso principio di elaborazione giurisprudenziale per cui, nel caso di società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, perché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di reciproco controllo dei soci, che in tal caso normalmente caratterizza la gestione sociale (v. Cass. n. 13640/09; n. 13336/09, n. 9519/09; n. 20870/2010).
La Suprema Corte ha però precisato che affinché la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili possa operare e cioè che la ristretta base sociale o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione, che costituisce regola empirica e non legale, da accertare in concreto – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio ed inoltre che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto dell’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi della società. Rimane sempre poi la facoltà per il socio di offrire la prova che la distribuzione non abbia avuto luogo per essere stati i maggiori ricavi, anche extrabilancio, accantonati o reinvestiti.
Continua il giudice di primo grado, per quanto attiene il profilo probatorio della ristretta base azionaria nel caso de quo, differentemente da quanto sostiene il ricorrente, la prova è stata sicuramente fornita atteso che si tratta di una società con tre soci, con partecipazione qualificata M.F., possessore del 42,50% delle quote, P.R., possessore del 41,50%, D.V., titolare del 10% delle quote e di altre sei società di capitale titolari ciascuna dell’1% del capitale sociale.
Ciò considerato, ritiene la Commissione che la presunzione di origine giurisprudenziale di cui si è appena detto non possa trovare applicazione nel caso di specie nel quale l’accertamento dei redditi extracontabili della società di capitali a ristretta base azionaria è avvenuto con metodo induttivo.
Nel caso, come quello che ci occupa, il cui il reddito della società T.U. srl è stato determinato sulla base di una ricostruzione induttiva, è estremamente arduo ritenere che vi siano – oggettivamente – degli utili ulteriori extrabilancio ma soprattutto stabilire quale sia stato l’importo certo degli stessi. L’accertamento Tributario consente la utilizzazione delle presunzioni (nella specie a carico della società e stata applicata quella di cui all’art. 39, comma 2, lett. A) del DPR 600 del 1973), ma non consente di passare a quelle di secondo grado, soprattutto nel caso in cui non sia consentito al socio neppure di contestare il reddito accertato a carico della società.
Nel caso in esame si sarebbe in presenta di una presunzione di secondo grado, mentre quella di primo grado non sarebbe neppure contestabile da parte del soggetto cui si pretende di applicare tale presunzione come base di quella di secondo grado.
Appella l’Agenzia delle Entrate chiedendo la riforma della sentenza di primo grado, con vittoria delle spese di giudizio.
Nel merito ripropone gran parte delle doglianze già avanzate nel giudizio di primo grado.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello va rigettato.
Il Collegio condivide le statuizioni del giudice di primo grado. La Commissione rileva, così come ha puntualizzato il giudice di primo grado, che nel caso di società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, perché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei centranti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di reciproco controllo dei soci, che in tal caso normalmente caratterizza la gestione sociale (v. Cass. n. 18640/09; n. 13336/09; n. 9519/09; n. 20870/2010).
La Suprema Corte ha però precisato che affinché la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili possa operare quando i maggiori redditi sono accertati in concreto, concretatosi in uno specifico accertamento probatorio, oltre alla sussistenza di un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto dell’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi della società. Rimane sempre poi la facoltà per il socio di offrire la prova che la distribuzione degli utili non è avvenuta.
Nel caso, come quello che ci occupa, così come evidenziato nella sentenza impugnata, il reddito della società T.U. srl è stato determinato sulla base di una ricostruzione induttiva, per cui è estremamente arduo ritenere che vi siano – oggettivamente – degli utili ulteriori extrabilancio ma soprattutto stabilire quale sia stato l’importo certo degli stessi. L’accertamento Tributario permette la utilizzazione delle presunzioni, ma non consente di passare a quelle di secondo grado, soprattutto nel caso in cui non sia consentito al socio neppure di contestare il reddito accertato a carico della società.
Siamo in presenta di una presunzione di secondo grado, mentre quella di primo grado non sarebbe neppure contestabile da parte del soggetto cui si attribuiscono gli utili extracontabili come base di secondo grado.
Si deve aggiungere che manca la legittimazione del socio della società a contestare il reddito della società stessa.
Vengono meno i più elementari diritti difensivi, in quanto il socio si vede attribuito un reddito sulla base di presunzioni che non può neppure contestare.
L’Ufficio avrebbe potuto dare la prova della attribuzione di utili extracontabili al socio, come redditometro, accertamenti bancari ed altro, onere probatorio al quale non ha assolto in alcun modo.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sezione VIII, rigetta l’appello e condanna l’Agenzia delle Entrate alle spese di giudizio in favore del contribuente, che liquida in €. 500,00.
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