COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 502 sez. V depositata il 6 febbraio 2019
Capacità contributiva – Suv – Collaboratore domestico – Prova – Sussiste
FATTO
La presente controversia ha come oggetto l’avviso di accertamento n. (omissis), relativo all’anno 2008, con cui veniva accertato un reddito sintetico di € 36.598,54 (a fronte di un reddito netto dichiarato di € – 2.788,00), in relazione alle spese gestionali inerenti:
– la disponibilità di un’auto (omissis), targata (omissis), immatricolata il 17/01/2008 e acquistata in pari data per l’importo di Euro 28.000,00
– il collaboratore familiare non convivente
– e alle spese per incrementi patrimoniali sostenute nel periodo 2008/2012.
In particolare il reddito sintetico era così determinato:
– € 30.998,54, quale reddito attribuibile in relazione al possesso dell’auto e alle spese sostenute per il collaboratore familiare, calcolato sulla base dei coefficienti ministeriali;
– € 5.600,00, quale quota imputabile all’anno 2008 per l’acquisto dell’autovettura.
Con il ricorso introduttivo la contribuente, dopo aver inutilmente esperito la procedura di reclamo/mediazione, chiedeva l’annullamento dell’avviso di accertamento.
Si costituiva l’ufficio deducendo la legittimità del proprio operato e la fondatezza della pretesa erariale.
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 12137/06, accoglieva il ricorso, così motivando.
“La ricorrente nel corso del contraddittorio ed in risposta al questionario inviato dall’Ufficio, ha dimostrato la totale infondatezza della segnalazione che ha costituito il presupposto per l’inizio della verifica, provando come per l’acquisto dell’autovettura è stato utilizzato il risarcimento assicurativo incassato per il furto della precedente autovettura. Pertanto appare evidente l’erroneità dei calcoli elaborati dall’Ufficio che ha considerato il risarcimento assicurativo, incassato successivamente all’acquisto dell’autovettura (omissis) targata (omissis), ai fini dell’acquisto di una seconda autovettura avvenuta nell’anno 2009. È notorio che quando si acquista un’autovettura si versa un acconto ed il saldo al termine fissato nella trattativa”.
Avverso detta sentenza propone appello l’Agenzia delle entrate DP II di Roma, per chiederne, con varie argomentazioni, la riforma.
Non risultano presentate controdeduzioni da parte della contribuente appellata.
DIRITTO
Questa Commissione ritiene che l’appello dell’Agenzia delle entrate DP II di Roma sia fondato e vada, pertanto, accolto.
E, invero, non può condividersi la decisione del primo giudice che, in ordine alle argomentazioni del contribuente, non sembra abbia effettuato una esaustiva e necessaria valutazione delle stesse, ossia se queste potessero degnamente integrare (anche e soprattutto nella forma di produzione documentale) quella prova contraria che, oramai, consolidata giurisprudenza ritiene indispensabile al fine di dimostrare la provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma.
Ma, soprattutto, il Collegio di primo grado non ha considerato il fatto che il maggior reddito sinteticamente accertato dall’Ufficio, emergeva dalla maggiore capacità contributiva dimostrata attraverso il possesso di elementi indici di ricchezza rilevanti sia da un punto di vista gestionale che per incrementi patrimoniali.
Il Collegio ritiene utile precisare che l’accertamento sintetico del reddito, ex art. 38, comma 4, 5 e 6, del d.P.R. n. 600/1973, è previsto per i casi in cui vengano rilevati situazioni o circostanze che, al di là di mere supposizioni, contrastino, in maniera rilevante, con i dati dichiarati dal contribuente, ponendone in dubbio la credibilità e costituiscano, inoltre, elementi concordanti per ritenere che siano stati omessi o indicati dati non attendibili nella prescritta dichiarazione dei redditi.
È appena il caso di ricordare che il contribuente ha sempre la possibilità di fornire, anche in sede contenziosa, la dimostrazione che il reddito effettivo è diverso e inferiore a quello scaturente dalle presunzioni adottate dalla Amministrazione finanziaria.
In altre parole, l’accertamento sintetico consente di ricostruire il reddito delle persone fisiche. Tale sistema di accertamento nasce dalla considerazione che necessariamente esiste una relazione fra determinati consumi e determinate fasce di reddito.
Il Legislatore ha, dunque, cercato di realizzare uno strumento che, basandosi sul sostenimento di determinate spese, ovvero sulla disponibilità di determinati beni quali “manifestazione di capacità reddituale”, consentisse di determinare la reale capacità contributiva di un soggetto.
La logica sottesa all’ideazione dello strumento in argomento può essere così sintetizzata: “ad ogni spesa corrisponde, di norma, un reddito”.
Ora, se è difficile identificare un reddito direttamente, si può, tuttavia, risalire ad esso dall’ammontare (stimato) di alcune spese connesse alla disponibilità di determinati beni e servizi. Si tratta pur sempre di un metodo di accertamento basato su presunzioni che, in quanto tali, ammettono la prova contraria.
L’Ufficio, nel caso in esame, ha legittimamente fondato il proprio accertamento, evidenziando la sussistenza di precisi elementi indicatori di maggiore capacità contributiva; al contrario, la contribuente, cui incombeva l’onere della prova contraria alle deduzioni dell’Ufficio, non ha prodotto atti o documenti, specifici, relativi alla propria situazione economica idonei a dare valenza alle proprie affermazioni o contrastare quanto dallo stesso Ufficio affermato, limitandosi principalmente a contestare l’atto impositivo con argomentazioni meramente assertive.
E, dunque, nessuna critica e/o censura può essere mossa all’operato dell’Ufficio, che ha rispettato pienamente le prescrizioni contenute nell’art. 38 DPR 600/1973, in quanto, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento è stato correttamente attivato il contraddittorio nei confronti della contribuente dandole la possibilità di giustificare il sostenimento di spese superiori alle entrate dichiarate per il medesimo anno di imposta; inoltre, l’Ufficio, già nel proprio atto di costituzione in giudizio, sottolineava che nella determinazione del reddito complessivo netto erano state considerate sia le spese per incrementi patrimoniali (per l’appunto l’acquisto dell’autovettura), sia le spese gestionali derivanti dalla disponibilità della stessa e le spese sostenute per il collaboratore domestico.
Il sistema di calcolo operato dall’Ufficio perviene, quindi, a valori che non sono attinenti ad un preciso collegamento economico con la sola spesa sostenuta per l’acquisto dei beni, ma valori che ricomprendono, il complessivo tenore di vita della contribuente.
Nella sostanza, l’Ufficio non si è limitato a contestare solo l’incremento patrimoniale, ma ha correttamente considerato anche le spese di gestione, avendo proceduto alla determinazione del reddito imputabile alla sig.ra G.S. prendendo in considerazione non solo l’incremento patrimoniale di € 28.000,00 costituito dall’acquisto dell’autovettura (di cui la quota imputabile all’anno in esame è pari ad € 5.600,00), ma anche e soprattutto le spese sostenute per il possesso della stessa e quelle sostenute per il collaboratore familiare non convivente (determinate in € 30.998,54). Tutte circostanze certe e non smentite dalla stessa contribuente.
D’altra parte, la mancata presentazione della società appellata all’udienza odierna (pur essendogliene garantita la facoltà, in quanto oggetto di un suo diritto processuale) non giova, nella fattispecie, all’interessata, la quale, intervenendo all’udienza odierna, avrebbe potuto chiarire il suo assunto e, eventualmente, produrre documenti a completamento di quanto indicato nel ricorso introduttivo, mettendo il Giudice in condizioni di meglio comprendere i motivi di doglianza. E, anzi, la sua assenza rappresenta un comportamento di assoluta inerzia che rafforza la valenza delle argomentazioni proposte dall’Ufficio, oltre che a dimostrare disinteresse per la causa.
Sulla base delle dedotte considerazioni, l’appello dell’Agenzia delle entrate deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della prima sentenza, deve essere dichiarato legittimo e valido l’avviso di accertamento impugnato.
Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della peculiarità della presente controversia e delle alterne vicende che ne hanno caratterizzato l’iter processuale.
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale del Lazio – Sezione quarta, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, così dispone: “Accoglie l’appello dell’Ufficio. Spese compensate”.
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