COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 597 sez. III depositata il 8 febbraio 2019
Agevolazioni cooperative – Presupposti di applicabilità – Poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria
FATTO
Con sentenza n. 26018/50/17 depositata il 23.11.2017, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma respingeva il ricorso presentato da E.W. società cooperativa a r.l. avverso l’avviso di accertamento n. (omissis), con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva accertato, ai fini IRPEF, IRAP e IVA, per l’anno 2009, a seguito di PVC della Guardia di Finanza (rilevando la natura imprenditoriale e non cooperativa no-profit della società), un maggior reddito per costi fittizi in relazione all’utilizzo di alcune fatture relative ad operazioni inesistenti e l’applicazione indebita dell’aliquota agevolata del 4% (riguardante l’editoria) per cessioni di pubblicazioni accessorie ad attività didattiche, soggette all’aliquota ordinaria.
La sentenza viene impugnata dal contribuente con il presente ricorso in appello.
L’appellante asserisce e di avere la qualifica di società cooperativa e che tale qualifica non può essere disconosciuta dall’Ufficio, ma soltanto dal Ministero dello sviluppo economico, organo vigilante, competente per materia in via esclusiva sull’accertamento dei requisiti mutualistici, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. 220/2002. Sostiene inoltre che per quanto riguarda i requisiti di mutualità prevalente l’Agenzia delle entrate è competente, ex art. 14 del DPR 601/1973, ai soli fini della spettanza delle agevolazioni fiscali, ma deve sentire preventivamente il Ministero predetto, il quale nella fattispecie non sarebbe stato sentito. Sostiene, comunque, l’insufficienza delle argomentazioni prospettate dall’Ufficio per negare l’esistenza dei requisiti mutualistici.
Afferma che l’Ufficio non ha provato l’inesistenza delle operazioni relative alle fatture contestate, basandosi solo su dichiarazioni di terzi aventi un valore meramente indiziario.
In subordine chiede che i costi relativi alle fatture contestate vengano ammessi in deduzione, ai fini IRPEF e IRAP, trattandosi di operazioni che sarebbero effettive e inesistenti solo soggettivamente, e che comunque vengano ammessi a deduzione, anche ai fini IVA, perché sussisterebbe la buona fede.
Sostiene l’applicabilità dell’aliquota agevolata per l’editoria del 4%, poiché la cessione delle dispense di materiale didattico non avevano carattere di accessorietà alle lezioni, le quali costituivano attività di tutoraggio del tutto marginali ed accessorie alle schede didattiche.
L’Agenzia delle entrate, nelle controdeduzioni, sostiene che la Guardia di Finanza e l’Amministrazione finanziaria, in sede di verifica e di accertamento, hanno pieni poteri in ordine alla riqualificazione della natura sociale di un ente, così da evitare che la forma societaria apparente prevalga sulla reale sostanza delle cose e porti a un indebito e illegittimo risparmio dell’imposta dovuta.
Afferma di aver provato la mancanza di requisiti mutualistici, anche con l’acquisizione delle dichiarazioni del legale rappresentante della società sulla percezione dei compensi soltanto da parte di quattro soci.
Sostiene di aver descritto dettagliatamente tutti gli elementi che hanno portato a ritenere inesistenti una parte delle operazioni passive contabilizzate dal contribuente. Quindi le fatture in contestazione ricevute dal contribuente si riferirebbero ad operazioni inesistenti.
L’Ufficio afferma che, a fronte di un quadro indiziario di operazioni oggettivamente inesistenti, il contribuente aveva l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.
Ritiene che i costi relativi alle fatture contestate non possono essere dedotti, né può essere detratta la relativa IVA, poiché si riferirebbero ad operazioni oggettivamente inesistenti. Né, ai fini della detraibilità dell’IVA, può essere riconosciuta la buona fede, ammissibile solo per le operazioni soggettivamente inesistenti.
Infine sostiene la non applicabilità dell’IVA agevolata prevista per l’editoria, perché le dispense fornite ai clienti sono accessorie ad un’attività didattica, evidenziando le dichiarazioni di ben 45 clienti acquisite dalla Guardia di Finanza sulla centralità delle lezioni del tutor.
DIRITTO
Va innanzitutto evidenziato che in base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione (n. 10544/2006, n. 13280/2005, n. 1797/2005 e n. 3653/2015) si è chiarito che la conformità degli statuti delle società ai principi legislativi in materia di mutualità comporta una presunzione di spettanza delle agevolazioni o esenzioni tributarie, tuttavia il provvedimento di verifica dei presupposti di applicabilità (art. 14 comma 3 del DPR 601/1973), che prevede come obbligatorio il preventivo parere degli organi di vigilanza, attiene ai soli casi in cui detta presunzione legale non operi, mentre resta sempre salva la facoltà dell’amministrazione di disconoscere le agevolazioni, per ogni singolo periodo d’imposta in base di dati concreti, idonei cioè a dimostrare che la veste mutualistica funge da copertura a una normale attività imprenditoriale. Quindi l’attività degli organi di vigilanza riguarda i soli requisiti soggettivi della società cooperativa, mentre l’ordinario potere di accertamento degli uffici finanziari ha per oggetto la natura e i modi di svolgimento dell’attività produttiva della cooperativa stessa.
Pertanto la mera regolamentazione statuaria della società e la conseguente registrazione non esclude in alcun modo l’azione di accertamento in concreta svolta dall’amministrazione finanziaria.
Nell’avviso di accertamento viene evidenziato che la constatazione di un’attività commerciale con fini di lucro è basata sull’esistenza di verbali di assemblea sintetici e privi di riferimenti specifici alle attività sociali, sull’inesistenza di documentazione attestante convocazioni di assemblee e il numero dei soci presenti, nonché sulle dichiarazioni rese dal legale rappresentante riguardo ai compensi percepiti da soli quattro soci, i quali risultano essere, dalla disamina dei verbali, gli unici incontrastati padroni della società.
Nell’avviso di accertamento vengono evidenziati gli elementi che hanno portato a ritenere inesistenti una parte delle operazioni passive contabilizzate dal contribuente. Tali elementi non sono fondati solo su dichiarazioni di terzi ma anche su riscontri effettuati presso i soggetti emittenti le fatture, che spesso sono risultati soggetti privi di struttura organizzativa, soggetti evasori, soggetti cancellati e/o falliti al momento in cui sarebbero state effettuate le prestazioni, nonché sulla constatazione della mancanza di scritture private da cui risultassero i rapporti commerciali con i presunti fornitori e della prova dei pagamenti.
Quindi le fatture in contestazione ricevute dal contribuente si riferirebbero ad operazioni inesistenti.
L’Ufficio ha fornito un quadro omogeneo di diversi e rilevanti indizi, caratterizzati dalla gravità, precisione e concordanza sull’inesistenza oggettiva di alcune prestazioni fatturate. In presenza di numerosi e concordanti indizi di operazioni oggettivamente inesistenti, il contribuente aveva l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni.
Il contribuente non ha fornito elementi sufficienti a provare l’esistenza delle operazioni fatturate, limitandosi a sostenere erroneamente che l’Ufficio fonderebbe i suoi rilievi soltanto su dichiarazioni di terzi.
I costi relativi alle fatture in questione, pertanto, non possono essere dedotti, poiché relativi a operazioni oggettivamente inesistenti. D’altra parte non può essere detratta l’IVA essendo oggettivamente inesistenti le operazioni fatturate.
Ai fini della detraibilità dell’IVA non può essere riconosciuta la buona fede, ammissibile solo per le operazioni soggettivamente inesistenti.
Infine non può essere riconosciuta l’applicabilità dell’IVA agevolata prevista per l’editoria, perché la cessione di dispense di materiale didattico ha un carattere di accessorietà rispetto all’operazione principale dell’attività didattica con tutor. Tale accessorietà emerge dalle dichiarazioni di numerosi clienti, che hanno dichiarato alla Guardia di Finanza che non avrebbero acquistato il corso senza l’assistenza di un tutor. D’altra parte nel PVC viene evidenziato che la totalità delle fatture attive emesse hanno indicato genericamente “cessione di dispense” non indicando dettagliatamente ciò che è stato fornito, la loro natura, l’autore e la loro quantità.
L’appello, pertanto, non è meritevole di accoglimento.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio respinge l’appello del contribuente, che condanna al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 5.160,00.
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