Commissione Tributaria Regionale per il Lazio sez. 10 sentenza n. 282 depositata il 18 gennaio 2018
ATTIVITA’ SNC – DISCORDANZA TRA DENOMINAZIONE SNC E SOCIETA’ DESTINATARIA DI AVVISO – CODICE FISCALE E PARTITA IVA IDENTICI – DISCORDANZA – CONFUSIONE NELLA CORRETTA TENUTA DEI LIBRI SOCIALI – LEGITTIMITÀ DELL’AVVISO
FATTO E DIRITTO
Con separati ricorsi proposti in primo grado avverso il medesimo avviso di accertamento n. (omissis) la società L.V. di D.N. e C. s.n.c. e D.D. nonché D.R. (nella loro qualità di soci della società sopra indicata) chiedevano alla commissione tributaria provinciale di Roma di dichiararsi la nullità del predetto avviso di accertamento emesso sulla base della ritenuta omessa fatturazione di servizi resi dalla società in relazione all’unno 2009 e che, come tale, aveva determinato, secondo la tesi dell’ufficio, l’accertamento di un maggior reddito ai fini Irpef da imputare ai soci per complessivi euro 47.366,00 e, alla società, ai fini Irap, per il medesimo importo. A fondamento delle domande proposte in primo grado i contribuenti deducevano l’erroneità dei fatti come ricostruiti nel processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza relativamente ai servizi funebri non fatturati dalla società tenuto conto che, rispetto ai 22 servizi per i quali era stata ritenuta l’omessa fatturazione, alcuni risultavano regolarmente fatturati dalla società, mentre altri non erano alla stessa riferibili; eccepivano inoltre l’illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto motivato per relationem con il contenuto del processo verbale di constatazione. Si costituiva in primo grado l’ufficio contestando analiticamente le deduzioni della controparte.
Con separate sentenze i giudici di primo grado rigettavano il ricorso proposto dalla società mentre, quanto alla domanda proposta dai soci, la commissione tributaria provinciale di Roma riteneva di dover motivare la propria decisione con il rigetto del ricorso sulla base della considerazione che, nelle more, era intervenuta la sentenza di reiezione del ricorso proposto dalla società e che, pertanto, rispetto ai soci non poteva essere assunta una decisione di tipo diverso.
Avverso le due sentenze hanno proposto appello tanto la società che i singoli soci, reiterando le censure proposte in primo grado ed ulteriormente argomentando in ordine all’erroneità della decisione dei giudici di prime cure. In particolare, evidenziavano che non poteva essere ritenuta raggiunta la prova dei fatti costitutivi della pretesa erariale in considerazione della mancata produzione del processo verbale di constatazione posto a base dell’avviso impugnato nonché il travisamento dei fatti costituito dall’erronea attribuzione di servizi alla società ricorrente, concludendo, pertanto, per la riforma delle decisioni oggetto di gravame.
Si è costituito in giudizio anche l’ufficio, ribadendo la correttezza del proprio operato, concludendo quindi per la reiezione delle impugnazioni.
Gli appelli riuniti sono infondati e non possono essere quindi accolti.
Va in primo luogo esaminata la censura relativa alla nullità della sentenza di primo grado n. 7448/2016 emessa dalla commissione tributaria provinciale di Roma nei confronti dei soci sulla base della eccepita omessa motivazione.
Va al riguardo osservato che, di recente, con ordinanza del 3 marzo 2016, n. 4247, la Corte di Cassazione, con riferimento alla tecnica della motivazione delle sentenze “per relationem” ha affermato di avere già chiarito (Cass. 7347/12), che “la motivazione della sentenza “per relationem” è ammissibile, purché il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio”.
Nel caso di specie, i giudici di primo grado, nel rigettare il ricorso proposto dai soci odierni appellanti hanno motivato siffatta decisione evidenziando che la controversia avente ad oggetto il medesimo avviso di accertamento era stata già decisa da altro collegio della commissione tributaria provinciale di Roma che aveva respinto l’opposizione al predetto atto proposta dalla società. Tale decisione, appare corretta in quanto ha motivato legittimamente la reiezione del ricorso dei soci affermando di non poter determinarsi diversamente rispetto all’intervenuta pronuncia per la società riguardante il medesimo avviso di accertamento.
Per ciò che concerne, nel merito, gli appelli proposti dai soci e dalla società, osserva la Commissione che tali atti contengono censure non proposte in primo grado e, per tali aspetti, devono essere ritenuti inammissibili.
Del tutto nuovo è infatti il motivo di doglianza riguardante la mancata produzione del processo verbale di constatazione redatto dalla guardia di finanza che, a dire delle parti contribuenti, avrebbe inficiato il loro diritto di difesa,
Tale censura non può costituire oggetto di esame in quanto, come detto, si appalesa del tutto nuova ed è pertanto inammissibile. Peraltro, anche diversamente ritenendo, non può non rilevarsi che il processo verbale di contestazione risulta prodotto in atti ed è sottoscritto dai soci odierni appellanti. Lo stesso dicasi per la deduzione contenuta pagina 6 dell’atto di impugnazione dei soci e a pagina 8 del gravame della società, relativa al fatto che nell’ambito del territorio di Albano all’epoca dei fatti contestati, ovvero nel 2009, operavano due società nel settore dei servizi funebri.
Medesima censura riguarda quanto affermato rispettivamente, a pagina 6 e 7 del primo atto di impugnazione e 8-9 e 10 del secondo atto, come sopra individuati, attesa la novità delle eccezioni mosse dagli appellanti.
Quanto, poi, ai nominativi dei defunti per i quali, a dire degli appellanti, risulterebbe regolarmente emessa la fattura (si veda pagina 8 e 10 dei due atti di impugnazione) della società odierna parte appellante, osserva il Collegio che la denominazione delle società che ha emerso le fatture è diversa da quella nei cui confronti è stato notificato l’avviso di accertamento, pur essendo medesimo il codice fiscale e la partita Iva, non potendosi non rilevare che tale discordanza non può che ingenerare confusione nella corretta tenuta dei libri sociali e sottoposizione a tassazione delle attività rese dalla società, come correttamente evidenziato dai giudici di primo grado. Del pari si presentano nuove le censure indicate rispettivamente a pagina 10-11-12 e 12-13 dei due atti di appello da ritenere, come tali, inammissibili.
Quanto al servizio reso in favore del signor A.G., gli appellanti si limitano ad evidenziare che costui sarebbe deceduto in Libia nel 1941 e che pertanto non può esservi omessa fatturazione nei suoi confronti, essendosi la società limitata a fornire il disbrigo di pratiche amministrative. Trattasi di doglianza del tutto generica, posto che da un lato la contribuente non nega che un servizio sia stato reso in favore dei familiari di detta persona, dall’altro non indica quali pratiche amministrative siano state evase in concreto. Per ciò che concerne i cinque ulteriori nominativi indicati rispettivamente a pagina 13 e 14 dei due atti, rileva il collegio che l’allegato 5 che dovrebbe suffragare la lesi degli appellanti e che è menzionato nell’atto di impugnazione non corrisponde a quello indicato e, pertanto, alcuna prova può ritentai raggiunta al riguardo.
Infine, con riferimento alla dedotta illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 7 della L. 212/2000 va anche in tal caso rilevata la novità della censura e pertanto l’inammissibilità del relativo motivo di impugnazione.
Per tali ragioni gli appelli riuniti devono essere respinti. Spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sez. X,
respinge gli appelli riuniti;
pensa alle spese del grado.
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