Commissione Tributaria Regionale per il Lazio sezione 13 sentenza n. 6115 depositata il 4 novembre 2019

E’ soggetto ad imposta di registro in misura fissa l’atto notarile con il quale gli ex coniugi, dopo il divorzio, profilandosi la possibilità di vendita dell’immobile gravato dal diritto di abitazione riconosciuto alla moglie in sede di separazione, formulano rinuncia al diritto di abitazione.

Registro, ipotecarie e catastali – Separazione – Assegnazione della casa familiare – Atto di rinuncia per facilitare la vendita – Imposta di registro in misura fissa – Compete

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 12/2/2015, i sigg.ri S. F.e G.P., in atti generalizzati, impugnavano il silenzio rifiuto maturato in seguito a loro istanza, rimasta inevasa, datata 2/4/2014 all’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Roma I, di restituzione dell’imposta di registro per euro 13.189,00 “per la rinuncia all’assegnazione della casa familiare”.

I ricorrenti premettevano di aver acquistato in data 14/4/1987, all’epoca coniugi in regime di comunione legale, un appartamento sito nel Comune di Tivoli (distinto al N.C.E.U. al foglio xx, p.lla xx sub x, categoria xx, classe x, vani 10, r.c. di euro 1,730,13); esponevano che, in sede di separazione consensuale tra loro intervenuta in data 26/3/2004, rimase convenuto che l’abitazione familiare, ossia il suddetto appartamento, rimanesse assegnato alla moglie, assegnazione trascritta in data 16/5/2004 presso la Conservatoria dei Pubblici Registri; con sentenza n. 640/2008 il Tribunale di Tivoli, pronunciava il divorzio tra i suddetti ricorrenti; profilandosi la possibilità di vendere il suddetto immobile, i sigg.ri S. F. e G. P. hanno formulato rinuncia al diritto di abitazione con atto in data 25 settembre 2013 per Notaio F. Rep. N. xxx – Raccolta n. xxx, registrato all’Ufficio delle Entrate di Roma 1 in data 26/9/2913, dietro pagamento dell’imposta liquidata nella misura suindicata.

Le parti inserivano all’art. 9 dell’atto di rinuncia la seguente dicitura: “il presente atto dovrebbe essere assoggettato ad imposta di registro in misura fissa in quanto rassegnazione della casa familiare in sede di separazione personale tra coniugi costituisce diritto personale di godimento, per cui si riservano azione di ripetizione“.

Nelle controdeduzioni l’Agenzia delle Entrate ribadiva che la rinuncia al diritto di abitazione è assoggettata ad imposta proporzionale di registro ex art. 1 parte Prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/86, applicabile agli “Atti traslativi a titolo oneroso detta proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi. Secondo l’Ufficio pertanto, l’atto: di rinuncia in discussione, che ha determinato per gli intestatari dell’immobile il vantaggio su quest’ultimo della ricostituzione della piena proprietà, a norma del citato d.P.R, n. 131/86, è pienamente riconducibile ad un atto che trasferisca un diritto reale di godimento”.

Con sentenza. n. 9671/39/2017 dell’11/1/2017 (dep. il 19/4/2017) la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso, compensando le spese, affermando che “si deve escludere che la rinuncia a tale diritto possa comportare l’applicazione dell’art. 1 della tariffa parte prima allegata al d.P.R. n. 131/86, testo unico dellImposta di registro, poiché esso concerne unicamente atti traslativi a titolo oneroso detta proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi”, richiamando la sentenza n. 19756/2016 della sez. 61 della stessa CTP.

Ha proposto appello l’Ufficio eccependo violazione dell’art. 2, comma 49, del d.l. n. 262/2006, come modificato dalla L, n. 248/2006 e dell’art. 1 della tariffa e 10 del d.P.R. n. 347/90, premettendo che la sentenza n. 19756/61/16 richiamata e condivisa dai giudici di prime cure era stata impugnata dall’ufficio (pendendo il giudizio presso la CTR Lazio, sez, 8, iscritta al numero di ruolo 2248/17), ed affermando che l’atto di rinuncia a titolo gratuito del diritto di abitazione è riconducibile ad un atto che trasferisce un diritto reale di godimento, con arricchimento del beneficiario conseguente alla rinuncia da parte del suo titolare.

All’art. 3 dell’atto registrato le parti hanno infatti dichiarato “… con la presente rinuncia ne acquisiscono la piena titolarità in quote uguali ed indivise ed entrano nel pieno possesso materiale detto stesso in pari quote”.

L’appellante espone che, ai fini del corretto trattamento fiscale, gli atti a titolo gratuito che comportano trasferimenti di beni e diritti sono attratti nel campo applicativo delle disposizioni dell’imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal fatto che sottendano l'”animus donandi” nel caso di specie, quindi, la rinuncia del diritto di abitazione, in quanto atto che trasferisce a titolo gratuito un diritto di godimento, rientrerebbe nel campo di applicazione dell’imposta sulle donazioni. Ai fini della determinazione dell’Imposta dovuta, secondo l’Ufficio l’aliquota applicabile è quella di cui all’art. 2, comma 49 del D.L. 262/06, lett. c) e cioè dell’8%, in quanto all’art. 8) dell’atto registrato si legge “comparenti dichiarano che tra loro non sussiste rapporto di parentela in linea retta né di coniugio” , ai fini invece dell’imposta ipotecaria e catastale si applica l’imposta proporzionale di cui all’art. 1 della tariffa e 10 del D.lgs 347/90.

Ne conseguirebbe, pertanto, l’infondatezza della richiesta di rimborso avanzata dai contribuenti.

Si sono costituiti i sigg.ri S. F. e G.P., preliminarmente eccependo l’inammissibilità dell’appello in quanto nel primo grado l’introduzione e la trattazione è avvenuta in forma cartacea.

Nel merito, reiterando le proprie argomentazioni e, nel corso della odierna udienza, depositando sentenza della CTR n. 5270/2018 che ha respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate Dir. Prov. Roma 1 avverso la sentenza della CTP n, 19756/2016 – richiamata dalla sentenza qui impugnata – in base al principio affermato dalle Sezioni Unite (sent. n. 11096/2012) secondo il quale l’assegnazione della casa coniugale in sede di separazione personale dei coniugi non origina un diritto reale, ma un mero diritto personale di godimento”.

Motivi della decisione

Ritiene la Commissione che l’appello debba essere rigettato.

Preliminarmente, da. respingere l’eccezione preliminare sollevata dalla parte appellata, relativa alla asserita inammissibilità della notifica dell’appello.

Il decreto legge 23 ottobre 2018 n. 119 (“Disposizioni urgenti in materia fiscale e tributaria”’.) all’art. 16, comma 2, risolvendo una questione in precedenza dibattuta, introduce una interpretazione autentica delle norme in tema di processo tributario telematico, prevedendo che le parti possano utilizzare in ogni grado di giudizio la modalità telematica “indipendentemente dalla modalità prescelta da controparte nonché dall’avvenuto svolgimento del giudizio di primo grado con modalità analogiche”.

Nel caso in esame deve ritenersi dunque perfettamente legittima la notifica via pec dell’appello al contribuente, pur se in primo grado sia stata adottata la modalità cartacea.

Nel merito, va considerato che, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 11096/2002), si è consolidato, in giurisprudenza (SSUU n. 13603/2004; n. 1545/2006; n. 16398/2007), il principio per cui il diritto di abitazione assegnato in sede di separazione o divorzio ad un coniuge è un diritto personale di godimento, essendo ispirato ad un interesse pubblico di conservazione dell’habitat familiare nei confronti dei soggetti più deboli, essenzialmente in funzione di tutela dei figli; la necessità di trascrivere tale assegnazione non esclude la natura di diritto personale di godimento del diritto di abitazione, essendo posto a tutela della posizione del coniuge affidatario rispetto a terzi.

Quanto alla tassazione inerente alla rinuncia di tale diritto, pertanto, è da escludere l’applicabilità dell’invocato art. 1 della tariffa parte prima allegata al d.P.R. n. 131/86, concernendo questa norma soltanto “atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi”.

Una conferma a tale interpretazione è data anche dal fatto che, in materia di IMU, l’art. 4, comma 12 quinquies del d.l. n. 16/2012 ha previsto una deroga circa il profilo soggettivo del tributo, al fine: di consentire l’applicazione dello stesso al coniuge assegnatario; inoltre, in tema di benefici prima casa, la Corte di Cassazione (con sent. n. 3753/2014) ha statuito che, non costituendo rassegnazione della casa coniugale un trasferimento di diritti reali, essa non ne comporta la revoca.

Pertanto, la rinuncia al diritto di abitazione non comporta una riespansione del diritto di piena proprietà come nel caso di rinuncia al diritto di usufrutto, essendo i relativi diritti di proprietà già pieni, ma consente soltanto la commerciabilità dell’immobile.

A fini fiscali, pertanto, la rinuncia al diritto di abitazione deve essere pertanto ricondotta a “tutti quegli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione a revisione degli assegni di cui all’art. 5 e 6 della L. 1 dicembre 1970 n. 898 che sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.

Sul punto, la stessa Agenzia delle Entrate ha confermato, con circolare n. 2/E del 2014) che “tali disposizioni di favore si riferiscono a tutti gli atti, documenti e provvedimenti che i coniugi pongono in essere nell‘intento di regolare i rapporti giuridici ed economici relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso“.

Con riguardo alle spese, ove si consideri che la disciplina, applicabile ai processi in corso a decorrere dal 1° gennaio 2016, di cui ai nuovo testo dell’art., 15, comma 2, d.lgs. 546/1992 (come modificato dall’art, 9, comma 1, lett. f) d.lgs. 156/2015), stabilisce che “le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza recìproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”, si ritengono, nel caso di specie, sussistenti le predette circostanze, in ragione della particolare complessità della materia.

P.Q.M.

la Commissione rigetta l’appello. Spese compensate.